«La disuguaglianza si può vincere. Il mondo ricco può e deve eliminare la povertà». Francesco il 5 febbraio 2020 parla a banchieri, economisti e ministri delle Finanze riuniti in Vaticano dalla Pontificia accademia delle Scienze sociali a discutere di «Nuove forme di fraternità solidale, inclusione, integrazione e innovazione». Ma per fare questo «serve una nuova architettura finanziaria internazionale» che non continui a rimpinguare le tasche dei ricchi ma aiuti i poveri. Alla faccia di quel politico italiano che proclamava: «Eliminerò la povertà per decreto».
«NON SIAMO CONDANNATI ALLA DISUGUAGLIANZA SOCIALE» – Un mondo ricco e un’economia vivace possono e «devono porre fine alla povertà, devono nutrire gli ultimi invece di escluderli». Una strada, già suggerita da Paolo VI e da Giovanni Paolo II, è alleviare il debito dei Paesi poveri; abolire paradisi fiscali, evasione e riciclaggio di denaro sporco, colpa di «governi che difendono l’ingordigia delle multinazionali». Bergoglio vuole coinvolgere banchieri e ministri in un lavoro che ponga fine «alle ingiustizie dell’economia globale». Constata: «Il mondo è ricco, tuttavia i poveri aumentano». Esemplifica: il reddito pro capite quest’anno sarà di 12 mila dollari, eppure milioni di persone «vivono in estrema povertà, senza cibo, alloggio, assistenza sanitaria, scuole, elettricità, acqua pulita, servizi igienici»; 5 milioni di bimbi moriranno di fame e povertà; 260 milioni di bimbi non riceveranno un’istruzione; milioni di persone «cadranno vittime della tratta e di nuove forme di schiavitù, lavoro forzato, prostituzione e traffico di organi».
CON LA RICCHEZZA E LA TECNICA NON CI SONO PIÙ SCUSE – Queste realtà «vanno viste sotto una nuova luce. Il livello di ricchezza e di tecnica accumulato dall’umanità, l’importanza e il valore che i diritti umani hanno acquisito, non ammettono più scuse. I 50 più ricchi del mondo potrebbero finanziare l’assistenza sanitaria e l’istruzione di tutti i bambini poveri del mondo». Purtroppo l’alta finanza è malata di «idolatria del denaro, avidità e speculazione», cose già condannate dal filosofo greco Aristotele (384-322 avanti Cristo). Sull’esempio di Donald Trump, «il presidente pistolero» dell’America, vari Paesi ipotizzano un vergognoso taglio delle tasse per i più ricchi, e non per i poveri; i paradisi fiscali sono sempre più opulenti con i soldi di privati e aziende; le grandi società corrompono i politici al potere. Circostanziata e impietosa l’analisi di Papa Bergoglio: «Ogni anno centinaia di miliardi di dollari, che dovrebbero finanziare l’assistenza sanitaria e l’istruzione, si accumulano nei conti dei paradisi fiscali, impedendo uno sviluppo dignitoso dei poveri. E i poveri nei Paesi fortemente indebitati soffrono di una pressione fiscale opprimente e tagli ai servizi sociali». Così il debito pubblico diventa insostenibile.
CITA LA «CENTESIMUS ANNUS» (1° MAGGIO 1991) – Già trent’anni fa Giovanni Paolo II sosteneva: «Non è lecito pretendere un pagamento quando questo impone scelte politiche che spingono intere popolazioni alla fame e alla disperazione. Non si può pretendere che i debiti siano pagati con insopportabili sacrifici». Papa Wojtyla, per il Grande Giubileo del 2000, chiese la ristrutturazione del debito per i Paesi poveri. Oggi Bergoglio condanna con parole durissime: «L’industria della guerra è la più grande struttura di peccato perché mettono denaro e tempo al servizio della divisione e della morte. Il mondo perde ogni anno miliardi di dollari in armamenti e violenza, somme che porrebbero fine alla povertà e all’analfabetismo se si potessero ridestinare» e, come diceva il profeta Isaia (2,4), «trasformare le spade in vomeri e le lance in falci». Invita banchieri ed economisti: «Ricordate ai pubblici poteri di offrire assistenza per lo sviluppo alle nazioni povere e di alleggerire il debito alle nazioni fortemente indebitate. Ricordate loro di fermare il cambiamento climatico in modo da non distruggere le fondamenta della nostra Casa comune». La nuova etica impegni tutti a lavorare insieme «per chiudere i paradisi fiscali, prevenire l’evasione e il riciclaggio di denaro sporco che viene rubato alla società, a difendere la giustizia e il bene comune rispetto agli interessi delle imprese e delle multinazionali più potenti». Cita una bellissima frase di Sant’Ambrogio, vescovo di Milano (IV secolo): «Tu ricco non dai del tuo al povero quando fai carità ma gli stai consegnando ciò che è suo». Questo – chiosa Francesco – «è il principio della destinazione universale dei beni, la base della giustizia economica-sociale e del bene comune».
«LE REGOLE FINANZIARIE GENERANO DISUGLIANZE» – Il 27 maro 2019 Papa Francesco nominò presidente della Pontificia accademia delle Scienze sociali il professor Stefano Zamagni, economista di grido, già docente di economia all’Università Cattolica e organizzatore dell’incontro vaticano. Afferma: «La novità dell’ultimo trentennio è che sono le regole economiche-finanziarie a generare le disuguaglianze: eswse sono provocate dal modo in cui funziona la finanza speculativa Internazionale». Secondo l’Onu più di due terzi della popolazione mondiale vive in Paesi in cui la disuguaglianza è cresciuta; l’1 per cento della popolazione di 18 Paesi – tra cui Stati Uniti, Russia, India e Brasile – detiene oltre il 20 per cento della ricchezza mondiale. Quindi serve «un patto globale a livello internazionale per modificare le regole del gioco economico. Fino a che non chiuderemo i paradisi fiscali, è ovvio che non si potrà intervenire più di tanto. La disuguaglianza semina l’odio, la violenza, la distruzione dell’altro, le guerre non dichiarate ma guerreggiate che alimentano correnti di pensiero ideologico».