C’è bisogno di legalità contro la mentalità mafiosa. L’esempio viene dall’eroico gesto del sottufficiale dei Carabinieri Salvo D’Acquisto. Papa Francesco incontra in piazza San Pietro ufficiali e militari dell’Arma e, partendo dall’esempio di D’Acquisto – per il quale è in corso la causa di beatificazione – li invita a «rendere più giusta e umana la società».
In un tempo «inquinato» da individualismo e insofferenza verso il prossimo, dall’inasprimento della violenza e dell’odio, c’è «bisogno di legalità». Rende omaggio all’Arma alla vigilia dell’80° anniversario del sacrificio del vicebrigadiere D’Acquisto, medaglia d’oro al valor militare, ucciso dai tedeschi il 23 settembre 1943: si immolò «per salvare ostaggi innocenti catturati dalle truppe naziste». Un «collega» al quale guardare «non per una sterile commorazione ma per rinnovare l’impegno dell’Arma, a servizio del bene, della verità, della società. La sua testimonianza rappresenta un monito di grande attualità e consegna un messaggio carico della potenza dell’amore».
La sua vicenda è molto simile a quella di tanti martiri della Seconda guerra mondiale, da ultimo la famiglia polacca Ulma, beatificata il 10 settembre, sterminata dai nazisti perché rifugiava gli ebrei.
Dal Papa parole di grande elogio ai Carabinieri: «A voi, che siete quotidianamente impegnati a servizio della giustizia e della legalità – e quanto bisogno di legalità c’è – dico che tutto questo trova la sua ragione e il suo fine ultimo nell’amore. La giustizia non tende semplicemente a comminare le pene a chi ha sbagliato, ma a ristabilire le persone nel segno del rispetto e del bene comune. È bello, perciò, che siate persone appassionate, come Salvo D’Acquisto; servitori dello Stato e del bene comune, che combattono l’ingiustizia, difendono i più deboli, offrono protezione alle nostre città. L’affetto degli italiani per voi testimonia che queste non sono solo parole ma, grazie all’esempio di tanti di voi, sono realtà».
Sacrificio, impegno, disciplina, disponibilità e dedizione sono le caratteristiche proprie di un carabiniere, di chi «è immerso in contesti difficili, chiamato a lottare contro ogni genere di illegalità, contro la criminalità organizzata e contro un senso di impunità a volte purtroppo radicato, contro la mentalità mafiosa». Bergoglio ringrazia «chi svolge compiti investigativi perché la menzogna venga smascherata; chi lavora in luoghi di conflitto e in contesti internazionali, che diventa artigiano di pace tendendo la mano alle popolazioni locali; chi svolge servizio sulle strade delle nostre città e negli angoli dei nostri quartieri. Non scoraggiatevi mai, non cedete alla tentazione di pensare che il male sia più forte, che al peggio non ci sia mai fine e che il vostro impegno sia inutile. Guardando a Salvo D’Acquisto, lasciatevi animare dalla passione per il bene. Continuate a manifestare vicinanza alla gente, che da sempre riconosce questo vostro bel tratto».
Salvo D’Acquisto ottant’anni fa presso Roma immolò la sua giovane vita – aveva 23 anni – per salvare 22 innocenti dalla fucilazione. Nasce a Napoli il 7 ottobre 1920. Nel 1939 si arruola nell’Arma ed è vicecomandante della stazione di Palidoro (Roma) quando il 22 settembre 1943 le SS occupano una caserma abbandonata e, rovistando in una cassa, provocano lo scoppio di una bomba a mano: un tedesco è ucciso e altri due gravemente feriti. I nazisti accusano i partigiani di attentato e ordinano ai Carabinieri di individuare i responsabili, pena una rappresaglia: rastrellano 22 poveracci, li caricano su un camion, li trasportano alla Torre di Palidoro, li interrogano e li costringono a scavarsi la fossa. Racconta la testimone oculare Wanda Baglioni: «Quantunque malmenato e bastonato dai guardiani, D’Acquisto serbò un contegno calmo e dignitoso». E Angelo Amadio, altro testimone: «Tutti gli ostaggi si dichiararono innocenti. All’ultimo momento, contro ogni nostra aspettativa, fummo rilasciati, eccetto il vicebrigadiere D’Acquisto». Il sottufficiale è già dentro alla fossa, dinanzi al plotone d’esecuzione. Amadio lo sente gridare «Viva l’Italia» e sente una scarica di colpi. Si gira e vede un tedesco che gli spara il colpo di grazia. Le SS riconoscono: «Il brigadiere è morto da eroe. Impassibile anche di fronte alla morte».
Il 25 febbraio 1945 gli è conferita la medaglia d’oro al valor militare: «Esempio luminoso di altruismo, spinto fino alla suprema rinunzia della vita, sul luogo stesso del supplizio dove, per barbara rappresaglia, erano stati condotti dalle orde naziste 22 ostaggi civili del territorio della sua stazione, non esitava a dichiararsi unico responsabile d’un presunto attentato contro le forze armate tedesche. Affrontava così da solo, impavido, la morte imponendosi al rispetto dei suoi stessi carnefici e scrivendo una pagina indelebile di purissimo eroismo nella storia gloriosa dell’Arma». Il 4 novembre 1983 l’arcivescovo ordinario militare, il bergamasco Gaetano Bonicelli, apre la causa di beatificazione che nel 1991 approda alla Congregazione per le cause dei santi.
Dopo un inspiegabile rallentamento, sembra che la causa di beatificazione per «offerta della vita» abbia ripreso slancio, soprattutto grazie a Papa Francesco. Mons. Gabriele Teti, postulatore della causa, racconta che Salvo «a Roma incontrò un amico con il quale aveva fatto il corso da carabiniere. Dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943, ci fu un grosso gruppo di Carabinieri che passò alla clandestinità, per combattere i tedeschi a Roma. Il commilitone lo invitò a lasciare la divisa per unirsi ai partigiani. Rispose che il suo dovere era tutelare l’ordine, la sicurezza e l’incolumità delle persone che gli erano state affidate».
Salvo è nato e cresciuto in una famiglia molto religiosa. Confida il postulatore: «Nell’infanzia piccoli episodi fanno capire la sua indole. Tornando da scuola, donò le sue scarpe a un bambino che incontrava e che era scalzo. Un’altra volta si avventò a salvare un bambino che stava per finire sotto un treno». La causa di beatificazione si è arenata sul problema del martirio. Ora rientra più facilmente nell’«offerta della vita», criterio introdotto da Francesco l’11 luglio 2017 con il motu proprio «Maiorem hac dilectionem»: «Sono degni di speciale considerazione e onore quei cristiani che, seguendo da vicino le orme e gli insegnamenti del Signore Gesù, hanno offerto volontariamente e liberamente la vita per gli altri e hanno perseverato fino alla morte in questo proposito. L’eroica offerta della vita, suggerita e sostenuta dalla carità, esprime una vera, piena ed esemplare imitazione di Cristo ed è meritevole di quella ammirazione che la comunità dei fedeli è solita riservare a coloro che volontariamente hanno accettato il martirio di sangue o hanno esercitato in grado eroico le virtù cristiane». Il «dono della vita» è simile ma non uguale al martirio «in odium fidei». Il profano non capisce il ritardo di certe «cause» canoniche, per esempio di Pier Giorgio Frassati e Giuseppe Allamano, beati dal 1990.