Un’economia attenta alla persona e all’ambiente. È la sintesi del messaggio forte di Papa Francesco ai giovani che il 19-21 novembre 2020 hanno seguito in teleconferenza «The Economy of Francesco»: duemila giovani su tremila candidati da 115 Paesi (56 per cento uomini e 44% donne): studenti, dottorandi, ricercatori, imprenditori capaci di creare cambiamenti con un forte impatto sociale e promotori di attività economiche che mirano al bene comune.
«Cultura dell’incontro» al posto della «cultura dello scarto». Rifiuto della logica del «si è sempre fatto così». Necessità di «far crescere e sostenere gruppi dirigenti capaci di avviare processi e allargare orizzonti». Bergoglio è convinto: «Voi siete molto più di un “rumore” superficiale e passeggero che si può addormentare e narcotizzare. Se non vogliamo che questo succeda siete chiamati a incidere nelle vostre città e università, nel lavoro e nel sindacato, nelle imprese e nei movimenti, negli uffici pubblici e privati con intelligenza, impegno e convinzione». Contro le ingiustizie ai danni del Pianeta non bastano «palliativi nel Terzo settore né modelli filantropici: servono politiche» istituzionali diverse perché è tempo di osare». Questo è l’appello di Bergoglio da sempre. Una chiamata all’impegno per cambiare, sulla scia della rivoluzione culturale rappresentata dalle due encicliche bergogliane, «Laudato si’» (24 maggio 2015) e «Fratelli tutti» (3 ottobre 2020): «Voi sapete che urge una diversa economia, urge prendere atto che “l’attuale sistema mondiale è insostenibile da diversi punti di vista” – come scriveva nella «Laudato si’», n.d.r. – e colpisce nostra sorella Terra, insieme con più poveri e gli esclusi, i primi danneggiati e dimenticati».
La gravità della situazione, che la pandemia fa risaltare ancora di più, «esige una responsabile presa di coscienza di tutti gli attori sociali: le conseguenze delle nostre azioni e decisioni vi toccheranno in prima persona, non potete restare fuori da dove si genera il presente e il futuro. O siete coinvolti o la storia vi passerà sopra. Se è urgente trovare risposte, è indispensabile far crescere e sostenere gruppi dirigenti capaci di elaborare cultura, avviare processi, tracciare percorsi, allargare orizzonti, creare appartenenze. Ogni sforzo per amministrare, curare e migliorare la nostra “casa comune” richiede di cambiare stili di vita, modelli di produzione e di consumo, strutture di potere. Senza fare questo, non farete nulla». Ricorda quello che diceva Benedetto XVI: «La fame non dipende da scarsità materiale ma da scarsità di risorse sociali». Aggiunge: «La crisi sociale ed economica, che molti patiscono nella propria carne e che sta ipotecando il presente e il futuro, non tollera che privilegiamo gli interessi settoriali a scapito del bene comune».
«Non basta puntare sui palliativi nel Terzo settore o sui modelli filantropici». Il Pontefice non vuole sminuirli ma «benché la loro opera sia cruciale, non sempre sono capaci di affrontare strutturalmente gli squilibri che colpiscono i più esclusi e, senza volerlo, perpetuano le ingiustizie che intendono contrastare. Non si tratta solo di sovvenire alle necessità più essenziali, occorre accettare strutturalmente che i poveri hanno la dignità sufficiente per sedersi ai nostri incontri, partecipare alle nostre discussioni e portare il pane alle loro case: questo è molto più che assistenzialismo». È un compito enorme e improrogabile e richiede «un impegno generoso nell’ambito culturale, nella formazione accademica e nella ricerca scientifica, senza perdersi in mode intellettuali o pose ideologiche che ci isolino dalla vita e dalla sofferenza della gente. Cari giovani economisti, imprenditori, lavoratori e dirigenti d’azienda, è tempo di osare il rischio di favorire e stimolare modelli di sviluppo, di progresso e di sostenibilità in cui le persone e “sorella Terra” cessino di essere una presenza nominale, tecnica o funzionale per diventare protagonisti». Invita a ricordare, ma non a imitare, «l’eredità dell’illuminismo: “Tutto per il popolo, niente con il popolo”. E questo non va. Non pensiamo per loro, pensiamo con loro».
La prospettiva dello sviluppo umano integrale va attuata perché «propone di ritrovarci come umanità sulla base del meglio di noi stessi: il sogno di Dio che impariamo a farci carico del fratello più vulnerabile. Molti di voi avranno la possibilità di agire e di incidere su decisioni macroeconomiche, dove si gioca il destino di molte nazioni. Questi scenari hanno bisogno di persone preparate». Non manca la stoccata alle banche: «I sistemi creditizi da soli sono una strada per la povertà e la dipendenza. Questa legittima protesta chiede di suscitare e accompagnare un modello di solidarietà internazionale che riconosca e rispetti l’interdipendenza tra le nazioni e favorisca i meccanismi di controllo capaci di evitare ogni sottomissione, e anche vigilare sulla promozione dei Paesi più svantaggiati e in via di sviluppo; ogni popolo è chiamato a rendersi artefice del proprio destino e di quello del mondo».
Ma, attenzione, niente scorciatoie. Passata la crisi sanitaria «che attraversiamo, la peggiore reazione sarebbe cadere ancora di più in un febbrile consumismo e in nuove forme di autoprotezione egoistica. Da una crisi mai si esce uguali: usciamo meglio o peggio. Facciamo crescere ciò che è buono, cogliamo l’opportunità e mettiamoci al servizio del bene comune. Nessuno si salva da solo». Ai giovani di 115 Paesi rivolge l’invito «a riconoscere che abbiamo bisogno gli uni degli altri per dar vita a questa cultura economica, capace di far germogliare sogni, suscitare profezie e visioni, far fiorire speranze, stimolare fiducia, fasciare ferite, intrecciare relazioni, risuscitare un’alba di speranza, imparare l’uno dall’altro, creare un immaginario positivo che illumini le menti, riscaldi i cuori, ridoni forza alle mani, e ispiri ai giovani la visione di un futuro ricolmo della gioia del Vangelo».