Il Papa ai Rom: “perdono per pregiudizi e discriminazioni”

Viaggio apostolico – La storica visita di Francesco in Romania si è chiusa con due momenti forti: la beatificazione di sette Vescovi Martiri del regime Comunista e le scuse alla comunità Rom a Blaj con l’invito “ad aprirsi agli altri”

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Foto Sir

Papa Francesco ha scelto «Camminare insieme» come motto della visita in Romania, che si è conclusa domenica 2 giugno. Il Vescovo di Roma cammina con i popoli della Romania – 19,6 milioni: 89 per cento di etnia romena, 7 per cento ungheresi, 2 per cento rom e 1 per cento tedeschi – e con gli ortodossi (87 per cento) e i cattolici (7 per cento).

Tutti figli e figlie del medesimo Padre nostro

Come fratelli, Papa Francesco e il Patriarca Daniel di Romania entrano nella nuova, monumentale Cattedrale ortodossa di Bucarest dedicata alla Salvezza del popolo – Giovanni Paolo II nel 1999 donò 200 mila dollari per la costruzione – e pregano «il Padre nostro che contiene la certezza della promessa di Gesù ai discepoli di non lasciarli orfani. Ogni volta che diciamo ‘Padre nostro’ ribadiamo che la parola ‘Padre’ non può essere né stare senza la parola ‘nostro’. Al Padre nostro domandiamo la concordia in nome di tanti fratelli e sorelle nella fede che, per il solo fatto di essere cristiani, hanno molto sofferto le persecuzioni inflitte dal regime comunista. Il Papa proclama beati sette vescovi martiri del regime stalinista che ha dominato in Russia e nell’Europa centro-orientale per vent’anni (1924-1953) e ha sterminato da 20 a 60 milioni di persone. Si rivolge a Dio: «Immersi in un consumismo sempre più sfrenato, con bagliori luccicanti ma evanescenti, aiutaci a rinunciare alle comode sicurezze del potere, alle ingannevoli seduzioni della mondanità, alla presunzione di crederci autosufficienti».

Vent’anni fa la folla proruppe nel grido improvviso e spontaneo «Unitate, unitate»

Era il 9 maggio 1999 e Giovanni Paolo II celebrava Messa a Bucarest, alla quale assisteva il Patriarca ortodosso Teoctist. Tra ortodossi e cattolici la situazione, a parere degli osservatori, è migliorata, tanto che Francesco incontra il Sinodo permanente della Chiesa romena. Il fermento scuote il mondo ortodosso e il viaggio tende a rilanciare il dialogo con gli ortodossi in un momento difficile, dopo la rottura della Chiesa ucraina con il Patriarcato di Mosca e dopo la nascita, il 5 gennaio 2019, di una Chiesa riconosciuta dal Patriarcato di Costantinopoli, ma osteggiata da quello russo. Adesso sono 15 le Chiese ortodosse autocefale, cioè indipendenti. Dietro la rottura, ci sono le rivalità etniche e politiche tra Russia e Ucraina: Putin nel 2014 fece invadere la Crimea e la staccò dall’Ucraina. La Santa Sede ha più volte affermato che «il Vaticano rimane strettamente neutrale».

Chiede perdono ai rom per le discriminazioni e le segregazioni

Al popolo rom Papa Francesco dice: «Non siamo umani se non vediamo la persona prima dei pregiudizi» e lo invita ad aprirsi e a condividere i propri doni. Bergoglio porta «nel cuore il peso delle discriminazioni, delle segregazioni e dei maltrattamenti subiti dalle vostre comunità, al quale non sono estranei i cristiani. Chiedo perdono per quando vi abbiamo discriminato, maltrattato o guardato in maniera sbagliata. L’indifferenza di Caino per il fratello Abele alimenta pregiudizi, fomenta rancori, crea distanze. Vi invito a camminare insieme nella costruzione di un mondo più umano andando oltre le paure e i sospetti, lasciando cadere le barriere, alimentando la fiducia reciproca». Insomma un impegno a camminare insieme.

Il «mea culpa» è l’ultimo di una lunga serie pronunciata dagli ultimi Papi

Il 26 settembre 1965 Paolo VI celebra Messa al campo internazionale degli zingari a Pomezia: «Voi nella Chiesa non siete ai margini ma, sotto certi aspetti, siete al centro, nel cuore della Chiesa perché siete soli». Giovanni Paolo II chiede perdono agli zingari durante il Giubileo del 2000: «I cristiani sappiano pentirsi delle parole e dei comportamenti che a volte sono stati loro suggeriti dall’orgoglio, dall’odio, dalla volontà di dominio sugli altri, dall’inimicizia verso i gruppi sociali più deboli, come gli immigrati e gli zingari». In 25 anni di pontificato Wojtyla rivisita diversi fatti della storia: le Crociate; divisioni tra le Chiese; ruolo delle donne; processo a Galileo; Inquisizione; persecuzione degli ebrei; sterminio degli Indios e degli africani. Benedetto XVI riconosce: «Lungo i secoli i rom hanno conosciuto il sapore amaro della non accoglienza e della persecuzione. L’Europa non può dimenticare tale dolore. Mai più il vostro popolo sia oggetto di vessazioni, rifiuto e disprezzo». Francesco chiede perdono agli Indios del Chiapas in Messico nel 2015 e per le violenze sui minori nell’agosto 2018: «Ammettiamo che non abbiamo agito in tempo riconoscendo la dimensione e la gravità del danno causato in tante vite».

«Tutti siamo responsabili dell’Unione europea»

Ne è convinto Papa Bergoglio che risponde alle domande dei giornalisti sul futuro dell’Europa, sul volo di ritorno dalla Romania: lo stuzzicano sul voto alle Europee. Insiste sulla responsabilità che hanno i Paesi membri, la Romania presiede la Ue nel semestre 1° gennaio-30 giugno 2019: «Se non guarda bene le sfide future, l’Europa appassirà». Ribadisce ciò che disse al Parlamento europeo a Strasburgo, il 25 novembre 2014: «L’Europa da “madre” sta diventando “nonna” perché è invecchiata, ha perso l’illusione di lavorare insieme, tanto che qualcuno si chiede: non sarà questa la fine di un’avventura durata oltre 70 anni?». Occorre riprendere «la mistica dei padri fondatori: l’Europa ha bisogno di se stessa, della propria identità e della propria unità e di superare, con le tante cose che la buona politica offre, le divisioni e le frontiere».

Ritorna su un concetto che i sovranisti – da Trump a Putin, da Salvini a Orbàn, da Le Pen a Meloni – non vogliono sentire: «Stiamo vedendo delle frontiere in Europa, questo non fa bene. È vero che ogni Paese ha la propria cultura e deve custodirla, ma con la mistica del poliedro: c’è una globalizzazione dove si rispettano le culture di tutti. L’Europa non si lasci vincere dal pessimismo o dalle ideologie».

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