Forse l’elogio più significativo a Giorgio Napolitano lo ha espresso Papa Francesco: «Servitore della Patria» e, prima volta che accade, è andato al Senato alla camera ardente e si è fermato a lungo in preghiera. Eletto due volte alla più alta carica dello Stato, è morto la sera del 22 settembre 2023 nella clinica romana «Salvator Mundi» a 98 anni. Nel telegramma alla vedova Clio Bittoni Napolitano, Francesco esprime «commozione e riconoscenza per questo uomo di Stato che, nello svolgimento delle sue alte cariche istituzionali, ha manifestato grandi doti di intelletto e sincera passione per la vita politica italiana, nonché vivo interesse per le sorti delle nazioni. Conservo grata memoria degli incontri personali, nei quali ne ho apprezzato l’umanità e la lungimiranza nell’assumere con rettitudine scelte importanti, specie in momenti delicati per la vita del Paese, con il costante intento di promuovere l’unità e la concordia in spirito di solidarietà, animato dalla ricerca del bene comune».

All’immagine di «servitore dello Stato» – ben diversa da quella deturpata da partiti e giornali di destra – si unisce, a nome dell’episcopato italiano, il cardinale arcivescovo di Bologna Matteo Maria Zuppi e presidente della Cei: «Uomo delle Istituzioni, ha accompagnato il Paese in passaggi storici complessi. Il senso di responsabilità, espresso particolarmente nell’accettare il secondo mandato al Quirinale, resta una grande lezione per quanti sono impegnati in politica. È un’eredità preziosa perché ogni scelta in ambito politico e istituzionale abbia sempre come supremo obiettivo il bene comune. Riconoscenti per il suo servizio al Paese, rendiamo grazie al Signore per la testimonianza di questo nostro fratello e preghiamo per la sua anima, affidandola alle braccia misericordiose del Padre». Il cardinale segretario di Stato Pietro Parolin lo definisce «autorevole protagonista della vita sociale e politica del Paese, che con abnegazione e senso di responsabilità si è generosamente dedicato al servizio delle istituzioni per consolidare i rapporti di mutua amicizia e di fattiva collaborazione tra l’Italia e la Santa Sede». Papa Francesco e il Presidente Napolitano si sono incontrati tre volte nel 2013: 19 marzo, 8 giugno e 14 novembre.
Giorgio Napolitano nasce a Napoli il 29 giugno 1925. Attivo negli ambienti universitari – si laurea in Giurisprudenza nel 1947 – dopo una breve esperienza nei gruppi fascisti, nel 1942 entra nei gruppi antifascisti e dal 1945 aderisce al Partito Comunista Italiano, militante e dirigente fino al Partito Democratico della Sinistra (1991). Parecchi sostenitori della prima ora di Mussolini si pentono e diventano risoluti antifascisti: il repubblicano Pietro Nenni, futuro segretario Psi, volontario e ferito sull’Isonzo, aderisce ai Fasci di Bologna. Quando capisce l’aria che tira, molla tutto, fugge in Francia e si avvicina ai socialisti. Il grande direttore d’orchestra Arturo Toscanini, candidato senza successo con il Fascio alle politiche 1919 – a Milano raccoglie 4.795 voti e i socialisti 170 mila -, poi risoluto antifascista, più volte aggredito dalle squadracce che gli ordinano di andare in esilio.
Dal 1953 l’attività parlamentare di Napolitano si concentra su: Mezzogiorno, economia nazionale, politica internazionale. Esponente e capo dell’«ala migliorista», sostiene l’accettazione e la riforma del capitalismo. Membro del Parlamento europeo (1989-92); presidente della Camera (1992-94); ministro dell’Interno (1996-98) nel governo di Romano Prodi; parlamentare europeo e presidente della Commissione Affari costituzionali (1999-04); senatore a vita dal 2005 nominato da Carlo Azeglio Ciampi. Il 10 maggio 2006 è eletto presidente della Repubblica (543 voti) e rieletto il 20 aprile del 2013 (738 voti): «Non mi sono sottratto a questa prova ma quanto accaduto ha rappresentato il punto di arrivo di una serie di omissioni e guasti, chiusure e irresponsabilità». Il 14 gennaio 2015 si dimette. Al Quirinale (2006-15), è il primo presidente a essere rieletto. Il Vaticano ne elogia «la dedizione ad avvicinare il comunismo italiano al socialismo europeo; non fu notaio della Costituzione ma sagace interprete e la sua rielezione fu segno di grande responsabilità».
«Ministro degli Esteri ombra del Pci», tiene i rapporti con l’Unione Sovietica e i «partiti fratelli» del Patto di Varsavia ma è anche uomo di cultura laica e di liberalismo crociano, tenta di portare il Pci all’incontro con il socialismo liberale e democratico europeo e all’atlantismo. In questo matura nel 2006 una dichiarazione piena di onestà intellettuale: «Sui fatti d’Ungheria, sulla rivoluzione e sulla repressione aveva ragione Nenni», cioè la posizione dei socialisti nel 1956 contro l’invasione sovietica, avallata, invece, dal Pci e dal segretario Palmiro Togliatti. Il 1956, «annus horribilis» per i comunisti, inizia con l’ondata di speranze sollevate dal segretario Nikita Kruscev al XX congresso del Pcus (14-26 febbraio 1956): alzò il velo sulle nefandezze e sulle «purghe» di Jozif Stalin che ammazzò milioni di russi con l’appoggio di Togliatti. Nel giugno 1956 scioperano gli operai polacchi al grido «Pane e libertà» e liquidano la vecchia guardia stalinista.
Nell’ottobre 1956 la tragedia ungherese che gli storici dividono in due parti: 1) 23 ottobre-3 novembre rivolta popolare, invasione dei carri armati con la stella rossa e avvento di Imre Nagy che guida un governo democratico, instaura il pluralismo politico, dichiara la neutralità. 2) Dal 4 novembre una nuova invasione sovietica («Operazione ciclone») arresta e uccide Nagy, impone il nuovo capo János Kádár sul sangue dei patrioti ungheresi. Come reagiscono comunisti e socialisti italiani? Giuseppe Di Vittorio, capo comunista della Cgil, è obbligato a ritrattare l’entusiastica adesione alla rivolta. «l’Unità» – con Togliatti e il gruppo dirigente, compreso Napolitano – sostiene l’invasione: «È stato messo in atto a Budapest un putsch controrivoluzionario. Si è trattato di un attacco armato contro i gangli vitali della capitale ungherese, rivolto a rovesciare con la violenza il regime di democrazia popolare, il governo legittimo, l’assetto sociale e politico del Paese». Napolitano si allinea: «L’intervento sovietico ha non solo contribuito a impedire che l’Ungheria cadesse nel caos e nella controrivoluzione, ma alla pace nel mondo». Parole terribili. Nenni, invece, invita i comunisti «a spezzare gli schemi della dittatura in forme autentiche di democrazia e libertà».
Cinquanta anni dopo, nel 2006, Napolitano esprime la più motivata autocritica e definisce la sua affermazione «il prodotto di zelo conformistico: fu una tragedia, anche per il Pci, un errore grave e clamoroso del gruppo dirigente, a partire da Togliatti. La mia riflessione autocritica sulle posizioni del Pci e da me condivise, valgono anche come pieno e doloroso riconoscimento della validità dei giudizi e delle scelte di Nenni e del Psi». Riflette sul senso sulla sua vita: «Ho combattuto buone battaglie e sostenuto cause sbagliate. Ho cercato via via di correggere errori, di esplorare vie nuove». Nel 2006, nella visita ufficiale come presidente a Budapest, omaggia la tomba di Imre Nagy, ucciso dai sovietici. Nel 2009 aggiunge che la sua storia «è passata attraverso evoluzioni della realtà internazionale e nazionale e attraverso personali, profonde, dichiarate revisioni».
Pier Giuseppe Accornero