«Un’agenda cristiana comune per il bene comune» propongono concordemente, a fine maggio 2018, Papa Francesco e Bartolomeo I, Patriarca ecumenico di Costantinopoli e capo degli ortodossi. L’occasione è il 25° (1993-2018) della «Fondazione Centesimus annus-pro Pontifice». Eretta da Giovanni Paolo II il 5 giugno 1993, ha fini di religione e beneficienza, collabora allo studio e alla diffusione della dottrina sociale cristiana, come esposta in particolare nell’enciclica «Centesimus annus» (1° maggio 1991) scritta da Giovanni Paolo II nel centenario della «Rerum novarum» (15 maggio 1891) di Leone XIII. In essa Karol Wojtyla rievoca e attualizza gli insegnamenti della prima enciclica sociale della Chiesa.
CAPITALISMO E GLOBALIZZAZIONE – Il documento wojtyliano fa riferimento al crollo dei regimi comunisti, al consolidamento in Occidente dei sistemi democratici, al radicamento del capitalismo e della globalizzazione che rende alcune economie – soprattutto Stati Uniti, Cina, Europa, Giappone – sempre più forti e marginalizza sempre più il Terzo Mondo. Giovanni Paolo II riconosce in questi fenomeni, che cominciano a galoppare dagli anni Novanta del XX secolo, gli aspetti positivi, ne critica le insufficienze, sviluppa l’insegnamento sulla proprietà privata, sulla destinazione universale dei beni, sulla natura e funzione dello Stato. Il motivo ispiratore di fondo della «Centesimus annuus» è l’antropologia cristiana che afferma l’apertura dell’uomo alla trascendenza e la sua centralità nella società.
NESSO INDISSOLUBILE TRA ETICA ED ECONOMIA – Francesco prosegue e approfondisce tale insegnamento, invita a usare il messaggio evangelico per realizzare un reale sviluppo umano integrale: «La globalizzazione dell’indifferenza è la vera sfida a cui la famiglia umana è chiamata a rispondere. Troppo spesso una tragica a falsa dicotomia si è sviluppata tra la dottrina etica delle nostre tradizioni religiose e gli interessi pratici della comunità degli affari. Vi è una naturale circolarità tra il profitto e la responsabilità sociale. Vi è un nesso indissolubile fra un’etica rispettosa delle persone e del bene comune e la funzionalità del sistema economico-finanziario». L’impatto con l’era digitale rende più incerte le opportunità di lavoro: e questo è un ambito decisivo.
COMUNE RESPONSALITÀ DEI CRISTIANI – C’è anche un risvolto ecumenico: la presenza di Bartolomeo I, Patriarca di Costantinopoli «è un segno eloquente di tale comune responsabilità». Nel suo intervento Bartolomeo si sofferma sui problemi dell’economia e dell’ecologia, della scienza e della tecnologia, della società e della politica: «Non possiamo ignorare l’immensa crisi di solidarietà in atto perché i problemi economici e sociali colpiscono direttamente l’esistenza e la dignità degli esseri umani: è necessaria quindi un’agenda cristiana comune per il bene comune». Così il Patriarca alla conferenza internazionale «Dibattito sulle nuove politiche e stili di vita nell’era digitale» promossa dalla «Fondazione Centesimus annus».
LA DIGNITÀ DELLA PERSONA E I DIRITTI DELL’UOMO – Il Patriarca è convinto che «nessuno può affrontare da solo i problemi economici ed ecologici, scientifici e tecnologici, sociali e politici: «Abbiamo bisogno l’uno dell’altro e quindi di un’agenda comune, una mobilitazione comune, sforzi comuni e obiettivi comuni. In tale sforzo il contributo delle Chiese cattolica e ortodossa rimane cruciale perché hanno conservato valori elevati, un prezioso patrimonio spirituale e morale e una profonda conoscenza antropologica». È preoccupato di fronte «a una certa autonomia rispetto ai bisogni vitali dell’uomo» ed esorta a superare l’individualismo per guardare «a una comunità di persone in cui mente e cuore, fede e conoscenza, libertà e amore, individuo e società, essere umano e l’insieme della creazione sono riconciliati». Il 10 novembre si ricorderà il 70° della «Dichiarazione universale dei diritti umani», adottata dall’assemblea delle Nazioni Unite nel 1948. Al centro stanno la dignità della persona e i diritti inalienabili dell’uomo.
«IL MALATO NON È UNA MACCHINA DA RIPARARE» – Una testimonianza cristiana, «una forma peculiare di solidarietà umana», un lavoro arricchito dalla fede. Francesco declina così la professione di medico cattolico, ricevendo una delegazione della Federazione internazionale delle Associazioni dei medici cattolici (Fiamc) impegnata nel congresso mondiale «Sacralità della vita e professione medica dalla “Humanae vitae” alla “Laudato sì”». Impegnarsi in «una permanente formazione spirituale, morale e bioetica» non tralasciando il rapporto medico-paziente e l’attività «per migliorare le condizioni di salute delle popolazioni nelle periferie del mondo». La Chiesa è per la vita, per quanto debole o priva di difese, per quanto non sviluppata o poco avanzata. Francesco li esorta a «essere medici cattolici, che dalla fede ricevono un impulso per rendere sempre più infaticabile la propria dedizione.
L’INTEGRALE RISPETTO DELLA VITA – Per Bergoglio sono «testimoni coerenti e coraggiosi i medici che promuovono e difendono la vita dal concepimento al termine naturale» nel rispetto dei più deboli, nell’umanizzazione e socializzazione della medicina. Il Pontefice invita a intervenire su temi etici sensibili come «l’interruzione della gravidanza, il fine-vita e la medicina genetica». Va contrastata la tendenza a svilire il malato a una macchina da riparare e a sfruttare i più deboli scartando quanto non corrisponde all’efficienza e al profitto. Ha a cuore anche la libertà di coscienza dei medici e degli operatori sanitari: «Non è accettabile che il vostro ruolo venga ridotto a quello di semplice esecutore della volontà del malato o delle esigenze del sistema sanitario. Siate ministri di cure e di fraterna carità trasmettendo a quanti avvicinate, con l’apporto delle vostre conoscenze, ricchezza di umanità e di compassione evangelica».