Chi costruisce muri ne resterà «prigioniero». Non servono barriere, ma ponti, che vanno messi anche «nei porti» per evitare che migliaia di migranti disperati affoghino in mare. Fedele al nome «Pontefice, Pontifex, pontem facere, costruttore di ponti», Francesco, sul volo di ritorno da Rabat dopo la visita in Marocco (30-31 marzo 2019), rivela di essersi commosso di fronte a immagini delle lame della struttura di separazione tra Marocco e Spagna. La migrazione non si risolve con barriere e paura. No all’uso strumentale della fede per discriminare e aggredire. Violenza e terrore sono offese alla religione e a Dio. Serve il coraggio dell’incontro per sconfiggere odio ed estremismo.
UNA SOCIETÀ APERTA, PLURALE E SOLIDALE – È necessario investire nel dialogo, unica strada per contrastare fanatismo e fondamentalismo, come dice il «Documento sulla fratellanza», firmato in febbraio ad Abu Dhabi. Gli 800 anni dell’incontro tra San Francesco e il sultano al-Malik al-Kamil dimostrano «che il coraggio dell’incontro e della mano tesa sono una via di pace e di armonia per l’umanità. Il rispetto e la collaborazione contribuiscono ad approfondire l’amicizia. È necessario unire gli sforzi per dare impulso alla costruzione di un mondo solidale e impegnato nello sforzo onesto, coraggioso e indispensabile del dialogo». La libertà religiosa non è solo libertà di culto «ma deve consentire a ciascuno di vivere secondo la propria convinzione religiosa».
GERUSALEMME PATRIMONIO COMUNE DELL’UMANITÀ – Francesco e re Mohammed VI firmano l’appello «per preservare la città santa di Gerusalemme/Al Qods Acharif come patrimonio comune dell’umanità e per i fedeli delle tre religioni monoteiste, come luogo di incontro e simbolo di coesistenza pacifica. Devono essere conservati e promossi il carattere specifico multi-religioso, la dimensione spirituale e l’identità culturale di Gerusalemme. Siano garantiti il libero accesso ai fedeli e il diritto di ciascuna religione di esercitarvi il culto e di elevare la preghiera a Dio». In volo verso Rabat risponde sul Congresso delle famiglie di Verona: «Non me ne sono occupato. Ho sentito quello che ha detto il segretario di Stato, parole giuste ed equilibrate».AdChoices Parolin aveva condiviso «la sostanza», cioè l’impegno per la famiglia, ma non le modalità,i toni e i linguaggi.
I MIGRANTI SONO UNA FERITA CHE GRIDA AL CIELO – Alla Caritas di Rabat incontra migranti subsahariani e magrebini. Rifugiati, migranti e «vittime della tratta e delle nuove forme di schiavitù» chiedono la protezione internazionale. Le sfide poste dalle migrazioni vanno affrontate «con generosità, prontezza, saggezza e lungimiranza». Bisogna riconoscere che «Non si tratta solo di migranti», come recita il tema della 105ª Giornata mondiale del migrante e del rifugiato che, su richiesta di varie Conferenze episcopali, il Papa ha spostato al 29 settembre 2019. Ripropone i quattro verbi «accogliere, proteggere, promuovere e integrare» che usa spesso: «Il primo volontario e amico del migrante è un altro migrante che conosce la sofferenza». È necessario un impegno comune per non dare nuovi spazi ai «mercanti di carne umana» che speculano sui sogni e sui bisogni; occorre prevenire xenofobia e discriminazioni e non lasciarsi vincere da paure e ignoranza.
IL PROBLEMA DEI CRISTIANI È L’INSIGNIFICANZA, NON I NUMERI –
«La Chiesa deve entrare in dialogo non per moda o strategia per aumentare i fedeli. Il problema è l’insignificanza, non i numeri bassi» dice a preti, religiosi e Consiglio ecumenico delle Chiese e cita Benedetto XVI: «La crescita avviene non per proselitismo ma per attrazione». Osserva: «I cristiani sono un piccolo numero in Marocco. A cosa è simile un cristiano in queste terre? È simile al lievito che la Chiesa mescola con una grande quantità di farina, finché tutta la massa fermenti. La nostra missione non è determinata dal numero o dagli spazi che occupiamo, ma dalla capacità di generare e suscitare cambiamento, stupore e compassione. Il proselitismo porta sempre a un vicolo cieco». La preoccupazione «sorge quando noi cristiani siamo assillati dal pensiero di essere significativi solo se siamo massa e se occupiamo tutti gli spazi». Essere cristiano non è «aderire a una dottrina, a un tempio, a un gruppo etnico ma è un incontro con Cristo. Siamo cristiani perché siamo stati amati e incontrati». Evoca Francesco d’Assisi che, in piena crociata, va a incontrare il Sultano al-Malik al-Kamil e il beato Charles de Foucault, «segnato dalla vita umile e nascosta di Gesù, fratello universale».
NON CADERE NELL’ODIO E NELLA DIVISIONE – Conclude il 28° viaggio con la Messa, presenti 10mila persone (su 27mila cattolici) di 60 nazionalità. Dalla parabola del figlio prodigo (Luca 15,11-32) trae la lezione sul mistero dell’umanità: da una parte la festa per il figlio ritrovato e dall’altra «un sentimento di tradimento e indignazione» perché si festeggia il ritorno del fratello più giovane. Il fratello maggiore non accetta di avere un padre «capace di sentire compassione, perdonare, vegliare. Sulla soglia di quella casa appaiono divisioni, scontri, aggressività ma su quella soglia brillerà il desiderio del Padre che tutti i figli prendano parte alla sua gioia e che nessuno viva in isolamento e amarezza. Odio e vendetta avvelenano la speranza dei nostri figli. La divisione uccide l’anima della gente, distrugge e porta via tutto quello che amiamo. Quando il figlio minore è ancora lontano, il padre lo vede, ha compassione, gli corre incontro, gli si getta al collo e lo bacia. La gioia del Padre sarebbe incompleta senza il figlio maggiore. Per questo lo invita a partecipare alla festa».