Immagini forti dal 52° Congresso eucaristico internazionale di Budapest, che Papa Francesco ha concluso domenica 12 settembre 2021. Sabato sera un’imponente processione si è snodata per le vie della capitale, da piazza Kossuth, davanti al Parlamento, a piazza degli Eroi: nel 1938, al 34° Congresso di Budapest, mons. Giovanni Battista Montini (poi Paolo VI), membro della delegazione guidata dal legato pontificio, il cardinale segretario di Stato Eugenio Pacelli (il 2 marzo 1939 diventerà Pio XII) la descrive: «Ieri sera meravigliosa processione sul Danubio durata fin verso la mezzanotte in mezzo a fantastiche miriadi di luci e di canti, e a una folla raccolta e tranquilla». Ottantatré anni dopo, la testa della processione è a piazza degli Eroi e la coda lascia piazza Kossuth, 4,5 chilometri più indietro tra migliaia di fiaccole, si ingrossa a man a mano che procede, tra due ali di folla, 200mila partecipanti, tra preghiere e canti; migliaia i giovani.
La visita a Budapest – Nelle 7 ore a Budapest, Bergoglio mette in guardia: «L’antisemitismo ancora serpeggia in Europa ed è una miccia che va spenta». Lo dice alle comunità ebraiche e al Consiglio ecumenico delle Chiese. Nella Messa spiega che la vita cristiana non è «una rincorsa al successo». Non c’è solo l’Ungheria, ma la Chiesa universale intorno al successore di Pietro. Il Papa presiede la Messa conclusiva nella forma della statio orbis, sosta di adorazione e preghiera per un impegno corale del popolo di Dio: «Pregate insieme, gli uni per gli altri; diamoci da fare insieme nella carità, gli uni con gli altri, per questo mondo che Dio tanto ama: ecco la via più concreta verso la piena unità». Invoca l’immagine del Ponte delle Catene, che scavalca il Danubio e collega le due parti della città: «Non le fonde insieme, ma le tiene unite. Così devono essere i legami tra noi. Ogni volta che c’è stata la tentazione di assorbire l’altro non si è costruito, ma si è distrutto; così quando si è voluto ghettizzarlo, anziché integrarlo».

Il Papa e il Presidente – Dura 40 minuti l’incontro con il presidente dell’Ungheria Jonas Ader, con il primo ministro Viktor Orbán e il vice primo ministro Zsolt Semjén, nella Sala Romanica del Museo delle Belle Arti. Di Chiesa, famiglia e ambiente si discute nell’incontro. Bergoglio è accompagnato dal cardinale segretario di Stato Pietro Parolin e dal segretario per i Rapporti con gli Stati mons. Paul Richard Gallagher: clima cordiale sul ruolo della Chiesa nel Paese, l’impegno per la salvaguardia dell’ambiente, la difesa e la promozione della famiglia. «La croce non è mai di moda, oggi come in passato. Ma guarisce dentro. Davanti al Crocifisso sperimentiamo una benefica lotta interiore e il conflitto tra il ‘pensare secondo Dio’ e il ‘pensare secondo gli uomini’. La struttura della Chiesa magiara risale al 1993 dopo gli interminabili anni della dittatura comunista che ha reso la Chiesa una delle più perseguitate nella quale rifulge l’eroica figura del cardinale arcivescovo di Budapest, József Mindszenty, venerabile dal 2019. Isten, áldd meg a magyart! Dio benedica gli ungheresi!». La frase in magiaro sorprende. Il testimone del 53° Congresso eucaristico internazionale passa a Quito, in Ecuador, nel 2024.
Slovacchia, «la croce non è una bandiera da innalzare» – Francesco omaggia i martiri della vicina Slovacchia nata dopo una decisione parlamentare del 1992, con la scissione della Cecoslovacchia in due entità separate dal 1º gennaio 1993: Repubblica Ceca con capitale Praga e Slovacchia con capitale Bratislava. I martiri «hanno testimoniato l’amore di Cristo in tempi molto difficili, quando tutto consigliava di tacere, di mettersi al riparo, di non professare la fede. Non potevano non testimoniare». A Presov, Papa Bergoglio presiede la Divina Liturgia: «Oggi non c’è più chi perseguita i cristiani. Ma la testimonianza può essere inficiata da mondanità e mediocrità. La croce esige una testimonianza limpida, perché non è una bandiera da innalzare, ma la sorgente pura di un modo nuovo. Il testimone della croce non usa le vie dell’inganno e della potenza mondana; non ricerca i propri vantaggi per mostrarsi devoto; persegue una sola strategia, quella del Maestro: l’amore umile. Non attende trionfi quaggiù, perché sa che l’amore di Cristo è fecondo nella quotidianità e fa nuove tutte le cose ma dal di dentro, come seme caduto in terra, che muore e produce frutto».
«Che la croce sia il vostro ponte tra il passato e il futuro – Il sentimento religioso è la linfa di questa Nazione, tanto attaccata alle radici. Ma la croce, piantata nel terreno, ci invita a radicarci bene; innalza ed estende le sue braccia verso tutti; esorta a mantenere salde le radici, ma senza arroccamenti; ad attingere alle sorgenti, aprendoci agli assetati. Il mio augurio è che siate così: fondati e aperti, radicati e rispettosi». Onora tre beati martiri: i vescovi Pavel Peter Gojdic e Vasiľ Hopko e il religioso Metod Dominik Trcka. Il 28 aprile 1950 si tiene il cosiddetto «Sinodo di Prešov», che proibisce l’esistenza della Chiesa greco-cattolica in Cecoslovacchia. Organizzato dai communisti secondo gli ordini di Mosca, «ripuliva» i territori conquistati. Purtroppo, anche la Chiesa ortodossa prende parte alla liquidazione, incamerando chiese, case parrocchiali, beni mobili e immobili della Chiesa cattolica. Vescovi e sacerdoti cattolici sono imprigionati e condannati a molti anni in carcere.
«Difficile sognare un’Europa senza ideologie, se i cristiani sono ancora divisi» – Alla nunziatura di Bratislava incontra i membri del Consiglio ecumenico delle Chiese: «La schiavitù interiore è peggiore di quella del regime. I cristiani sono ancora separati nella mensa, ma siano uniti per servire i poveri. Solo stando dalla parte dei deboli usciremo dalla pandemia». Il tema è appassionante: «Vivere la fede da liberi, liberi da calcoli di convenienza e legami politici che possono ostacolare il cammino ecumenico e la riscoperta delle radici cristiane di un’Europa impregnata di ideologie». Dal cuore dell’Europa il vescovo di Roma invita la Chiesa «a testimoniare libertà, creatività e dialogo».
«La Chiesa non è una fortezza, un potentato, un castello situato in alto che guarda il mondo con distanza e sufficienza». La Chiesa è comunità «che desidera attirare a Cristo con la gioia del Vangelo: non cediamo alla tentazione della magnificenza, della grandezza mondana! Usciamo dalla preoccupazione per noi stessi e per le nostre strutture». Senza libertà «non c’è vera umanità», come insegna la storia, anche della Slovacchia: «Quando la libertà è stata ferita, violata e uccisa, l’umanità è stata degradata».
Aggiunge a braccio: «Tante volte facciamo le cose che decidono i media per noi. E si perde la libertà». A volte anche nella Chiesa questa idea può insidiare: «Meglio avere tutte le cose predefinite, le leggi da osservare, la sicurezza e l’uniformità, piuttosto che essere cristiani responsabili e adulti, che pensano, interrogano la propria coscienza, si lasciano mettere in discussione».
Serve creatività anche nella pastorale e nella predicazione, sperimentando altre. È accorato Francesco: «Pensiamo ai fedeli, che devono sentire omelie di 40-50 minuti, su argomenti che non capiscono, che non li toccano. Per favore, sacerdoti e vescovi, pensate bene come preparare l’omelia, come farla perché ci sia un contatto con la gente. L’omelia di solito non deve andare oltre dieci minuti, perché la gente dopo otto minuti perde l’attenzione».