Michele Aprà, classe 1927, di origini astigiane, prese parte alla resistenza partigiana militando a Torino nelle Brigate Giustizia e Libertà, confluite nel Partito d’Azione (PdA) dopo la guerra. All’epoca, tra il ’43 e il ’45, era poco più che un ragazzino, ora è uno degli ultimi componenti di una generazione ormai consumata quasi totalmente dall’incedere del tempo. Una generazione che è stata anima e corpo della lotta partigiana in Italia e che nei decenni successivi si è caricata sulle spalle il fardello del ricordo e l’arduo compito di tramandare memoria di quel periodo terribile che ha plasmato il nostro paese.
Dal suo punto di vista si è conservata giusta memoria della lotta anti-fascista?
«Purtroppo no. Settantatré anni sono passati dalla guerra e la memoria sembra affievolirsi e perdere forza dinanzi all’ondata estremista che sta travolgendo Italia ed Europa. Il dato più preoccupante con cui mi confronto quotidianamente, da ex-partigiano e da cittadino, è la diffusa rivalutazione in positivo dell’esperienza fascista ed una inquietante idealizzazione della figura di Mussolini, specialmente da parte di giovani e giovanissimi».
Cosa non ha funzionato, dunque, nel passaggio di testimone?
«Penso che la colpa sia attribuibile solo in parte alla generazione attuale, dovremmo pensare alle criticità del presente come figlie di quelle, irrisolte, del passato. La resistenza partigiana è stata capace di sconfiggere i fascisti ma non il fascismo. Abbiamo permesso che questa ideologia sopravvivesse sopita, latente in una politica nazionale che non è mai riuscita e non ha mai voluto liberarsene completamente, perché incapace di esistere senza il contributo di figure politiche legate indissolubilmente al fascismo. Il nostro errore è stato credere che l’Italia si sarebbe immunizzata da una possibile revanche fascista, non preoccupandoci sufficientemente di mantenere vivo il ricordo dell’essenza profondamente violenta e sbagliata del Ventennio. Così il fascismo si è fatto lupo travestito da agnello. Così la violenza squadrista ha ceduto il passo all’azione politica all’interno di una dimensione istituzionalizzata. In questo modo il fascismo è stato capace di riemergere, favorito da un clima politico instabile che dà spazio a ideologie che propongono soluzioni apparentemente facili ed immediate, ma allo stesso tempo violente ed illegali».
Perché ricordare continua ad essere fondamentale?
«La memoria ci permette di creare un legame istruttivo con il passato, determinando in questo modo il futuro consci dei successi e degli errori delle generazioni precedenti. Viviamo in un momento di transizione, l’euforia economica e il boom del benessere iniziati con il Dopoguerra sono terminati, iniziano a riaffiorare paure e incertezze e con esse riemerge la deriva fascista, forse diversa nella forma ma non nella sua sostanza. La medicina per curare questo male è anzitutto ricordare cosa abbia storicamente significato il fascismo nella sua essenza più violenta e repressiva, liberandoci di scorrette idealizzazioni di chi, anche di fronte all’evidenza dei fatti, guarda ancora con nostalgia al Ventennio e ai suoi protagonisti.