Quando si tratta di legalità e di giustizia, le parole più frequenti – ormai – sono quelle malate o false, mentre le parole scomode sono cancellate o stravolte.
Sono parole malate quelle usate per denigrare i magistrati definendoli (il catalogo è incompleto ma testuale): assassini, terroristi, faziosi, matti, cancro da estirpare, associati per delinquere, disturbati mentali, omuncoli bisognosi di una perizia psichiatrica, sadici, torturatori, antropologicamente diversi dal resto della razza umana, figure orribili e inique, peggiori del fascismo, maledette dal Vangelo, golpisti, venduti, falsificatori di carte, manipolatori di pentiti, peggio dell’inquisizione, macigni sulla strada della democrazia, bugiardi, predicatori di mostruosità, cupola mafiosa… Parole malate che, se possono andar bene a qualcuno per un comizio o per prevalere in una rissa televisiva, sono comunque causa di gravi perdite. Per tutti, senza distinzioni di casacca o schieramento politico-culturale: perché contribuiscono a sfiduciare pregiudizialmente un’istituzione fondamentale dello Stato. E così, nei tempi lunghi, una società non regge. […]
L’intervento integrale di Gian Carlo Caselli è pubblicato su La Voce e il Tempo del 29 aprile disponibile in edicola. Per abbonarsi