Il Piemonte frena la piaga del gioco d’azzardo

Focus – I rapporti del Libro Blu delle dogane e dei monopoli e del Cnr di Pisa mostrano come con la legge regionale del 2016 il gioco sia cresciuto meno che nel resto del Paese. Paolo Jarre – Asl To 3: “la limitazione al consumo d’azzardo ha comportato ad oggi un risparmio per i piemontesi di oltre 2 miliardi”

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In Piemonte nel 2019 il gioco d’azzardo lecito ha comportato una raccolta complessiva di 6.806 milioni di euro, globalmente 1.568 euro per abitante; nel resto d’Italia il volume di denaro giocato ammonta a 103.736 milioni di euro (1.856 euro per abitante, 288 euro in più che in Piemonte). Nella regione piemontese, quindi, l’importo giocato rappresenta il 6,16% del dato nazionale a fronte di una popolazione che è il 7,24% di quella italiana.

I dati pubblicati l’11 settembre scorso dal Libro Blu delle Dogane e dei Monopoli di Stato sui volumi del gioco d’azzardo in Italia fanno subito saltare all’occhio come in Piemonte, nel 2019, si sia giocato meno nell’azzardo che nel resto del Paese.

Si tratta di dati che verosimilmente sono da collegare alla legge regionale 9/2016 a contrasto del gioco d’azzardo patologico approvata all’unanimità dall’allora Giunta Chiamparino.

«Una legge», sottolinea Augusto Consoli, neuropsichiatra, già direttore del Sert (servizio dipendenze) dell’Asl di Torino, «che ha messo in campo strumenti che favoriscono una prevenzione strutturale contro l’insorgere di patologie a salvaguardia delle persone più fragili e vulnerabili della popolazione».

I punti di forza della legge sono rappresentati dagli articoli 5 e 6. Il primo ha stabilito il divieto di installare slot machine e video lottery in locali che si trovano ad una distanza inferiore a 300 metri, per i Comuni con popolazione fino a 5.000 abitanti, e inferiore a 500 metri, per i comuni con popolazione superiore a 5.000 abitanti, dai «luoghi sensibili», ovvero scuole, parrocchie, impianti sportivi, ospedali, istituti di credito, sportelli bancomat, stazioni ferroviarie…. Il secondo ha, invece, imposto ai Comuni di limitare gli orari di funzionamento delle macchinette.

Abbiamo chiesto a Paolo Jarre, direttore del dipartimento di patologia delle dipendenze dell’Asl Torino 3 (Collegno-Pinerolo), come la legge abbia influito sulla prevenzione del gioco patologico a fronte dei dati pubblicati dallo studio «Gaps» del Cnr (Consiglio nazionale delle ricerche) di Pisa.

Paolo Jarre, direttore dipartimento patologie delle dipendenze Asl To 3

«Analizzando il rapporto del Cnr di Pisa», spiega Jarre, «emerge come in Italia i cittadini che avevano giocato almeno una volta nell’anno precedente sono il 42%, in Piemonte il 33%. Questo significa che nella regione piemontese i giocatori sono diminuiti. Notiamo poi come il gioco sia stato praticato in misura nettamente inferiore nei Comuni piemontesi che hanno adempiuto in modo serio all’articolo 6 della legge, che prevedeva riduzioni orarie sugli apparecchi. I municipi che hanno ristretto il funzionamento delle slot machine e dei video lottery a 10 ore al giorno hanno visto ridurre la spesa e anche la prevalenza della pratica di gioco su questi dispositivi, che sono certamente quelli più pericolosi».

La riduzione, in particolare, è significativa in 16 dei 19 Comuni maggiori del Piemonte (fanno eccezione solo Moncalieri, +1,4%, Vercelli, + 4,2%, e Verbania + 3,5%).

I dati della ricerca del Cnr di Pisa dimostrano come non solo sia diminuito il numero dei giocatori in generale, ma anche il numero dei cittadini che giocano in maniera rischiosa. Mentre nel resto d’Italia il gioco problematico nel 2019 ha riguardato circa il 3,3% dei residenti, in Piemonte poco più dell’1,5%.

«Un dato», evidenzia Jarre, «che ci dice che in Piemonte si è giocato in modo meno problematico che nel resto d’Italia».

Dal 2015 al 2019 la spesa globale del gioco in Piemonte è aumentata del 10,3% (+633 milioni, da 6.173 a 6.806 euro), nel resto d’Italia del 26,6% (da 81.965 milioni a 103.736 milioni di euro). Bisogna però considerare come il gioco on line piemontese sia aumentato del 102%, mentre quello italiano del 116%.

«In questo caso», evidenzia Jarre, «parlare di inefficacia della legge portando il solo dato della crescita piemontese dell’online (+102%) senza confrontarla con quella del resto del paese (+116%) rappresenta un’operazione di falsificazione della realtà».

Allo stesso tempo la riduzione della spesa su piattaforma fisica in Piemonte è scesa del 10%, nel resto d’Italia è salita del 5%. Questa ridotta crescita è dovuta dalla minore spesa sugli apparecchi di gioco, diminuita di oltre il 20%.

Se il fatturato del gioco in Piemonte fosse cresciuto come nel resto del Paese dal 2016 in avanti (rispetto al 2015) si sarebbe verificato un eccesso di spesa rispetto a quanto effettivamente accaduto: «il freno al consumo d’azzardo imposto dalla legge regionale», commenta Jarre, «ha comportato ad oggi un risparmio per i piemontesi di oltre 2 miliardi di euro».

Il dibattito sul tema è molto ampio. La maggioranza nell’attuale Consiglio regionale a giugno e a settembre ha proposto diversi emendamenti per modificare la legge del 2016 in quanto, secondo i consiglieri di maggioranza proponenti, la norma è «troppo restrittiva e penalizzante sotto il profilo economico e occupazionale ed è necessario tutelare i posti di lavoro del settore».

Su quest’ultimo punto per l’Osservatorio sul lavoro della Regione, che pubblicherà a breve un rapporto, «i posti di lavoro nel settore in Piemonte sono 1.500 complessivamente e dal 2016 al 2019 hanno subito un leggero aumento. La crisi economica non ha toccato questo comparto, nonostante la riduzione del fatturato».

Per mons. Marco Brunetti, Vescovo di Alba e incaricato della Pastorale della Salute della Cep (Conferenza episcopale piemontese), «la legge, guardando i dati che sono oggettivi, è riuscita a mettere un freno al fenomeno del gioco patologico. Ritengo che non si debba demonizzare il gioco, ma continuare sulla strada avviata dalle istituzioni di proteggere i soggetti più vulnerabili in particolare in questo periodo di crisi generato dalla pandemia in cui è possibile che persone in difficoltà cerchino risposte nelle macchinette mangiasoldi».

mons. Marco Brunetti – foto Gazzetta d’Alba

Ed ecco una proposta forte: «il punto di debolezza della legge», conclude mons. Brunetti, «è dato dalla sua applicazione esclusivamente sul territorio piemontese, e dunque è naturale che la norma sia esposta a proposte di modifica che puntano a normative meno restrittive in analogia alla legislazione vigente nelle altre regioni. Molti cittadini che abitano ai confini della regione percorrendo pochi chilometri non trovano le restrizioni imposte dalla legge. Ritengo, quindi, sotto questo profilo, che sia giunto il momento di avviare un dibattito serio affinché il Governo e il Parlamento prendano a modello la legge piemontese per realizzarne una analoga a livello nazionale e non il contrario, ovvero che la norma del 2016, all’avanguardia, debba essere smantellata per adeguarsi ai modelli delle altre regioni».

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