Il preside De Luca: “la scuola c’è, torneremo più forti”

Intervista – Tommaso De Luca, dirigente dell’Istituto tecnico Avogadro di Torino, riflette sul ruolo delle istituzioni scolastiche in un momento di “sosta forzata” a causa dell’emergenza Coronavirus

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Tommaso De Luca, una laurea in lettere, presidente dell’Associazione delle Scuole Autonome del Piemonte,  è dirigente scolastico dell’Istituto tecnico industriale Avogadro di Torino dove ha insegnato per molti anni. È stato preside dell’istituto professionale Plana e dell’istituto tecnico Pininfarina di Moncalieri. Lo abbiamo intervistato «a debita distanza», mentre con i suoi docenti sta perfezionando la didattica on line per i suoi allievi costretti a casa.

Tommaso De Luca

Professore,  per arginare il contagio da coronavirus le scuole di ogni ordine e grado in tutt’Italia saranno chiuse almeno fino al 3 aprile. Come reagisce al provvedimento del Presidente del consiglio il preside di uno dei più antichi istituti tecnici della città ma anche tra i più al passo con le nuove tecnologie?

La speranza del corpo docente dell’Avogadro è di essere all’altezza della nostra storia anche in questi tempi di emergenza. Per ora abbiamo ridotto l’orario di presenza dei docenti a scuola per rispettare le normative, cercando di mantenere la scuola aperta in modo che gli allievi ne percepiscano la presenza. Ci pare importante in questo momento cercare di attenuare la pressione sulla scuola perché c’è molta preoccupazione soprattutto da parte delle famiglie. Le cattiverie che girano in questi giorni sugli insegnanti in vacanza e gli studenti che si danno alla movida tutto il giorno sono sciocchezze inaudite. In tutti noi c’è la precisa sensazione che qualcosa non vada: credo che occorra attenuare questa sensazione di pericolo. Il compito della scuola è anche questo oltre che cercare di far fronte all’interruzione forzata delle lezioni che comincia a diventare pesante.

Molte scuole si stanno attrezzando con la didattica a distanza.  Ci sono esempi di istituti che funzionano altri che invece sono in ritardo sulle piattaforma on line. Come sta affrontando l’emergenza il suo istituto da sempre all’avanguardia con la tecnologia?

La questione della didattica a distanza  è diventata quasi un refugium peccatorum e credo siano opportune alcune considerazioni: la prima è che la didattica a distanza, anche non in periodi di emergenza come questo, non è un surrogato della didattica tradizionale. Gli esperti dicono che la didattica deve essere «blended», miscelata ma  equilibrata: cioè un po’ a distanza e molto più in presenza. Questa è l’integrazione auspicabile dei due sistemi, soprattutto per le scuole dell’obbligo fino ad arrivare alle superiori dove ci sono età, esigenze di apprendimento e di comportamenti diversissimi. La presenza di educatori e di adulti non sono surrogabili da un avatar o da una piattaforma, abbiamo bisogno del contatto con gli umani. Mi rendo conto che in tempo di coronavirus può essere complicato ma si cresce con i nostri simili e nell’alterità con gli altri, i più piccoli con i più grandi. Il concetto che ha sempre animato la scuola è quello della comunità di persone fisiche. C’è poi da considerare che la didattica a distanza  coincide con la tecnologia, le piattaforme del Miur, di Google e quant’altro. Farò un paragone improprio: pensiamo ai grandi sceneggiati  degli anni ’60-’70 quando si portavano in televisione i «Promessi Sposi», i «Fratelli Karamazov», i romanzi di Cronin: chi aveva pensato a quel tipo di intrattenimento, seppure con un mezzo di comunicazione non interattivo, aveva capito che il linguaggio della televisione richiedeva una grande varietà dal punto di vista della sceneggiatura: non si poteva mettere davanti alla telecamera Manzoni  o Tolstoj a leggere le loro opere, bisognava fare qualcosa di diverso.

Questo vale per le lezioni a distanza?

Voglio  dire che vanno benissimo le piattaforme ma l’aspetto problematico è il learnig objet, cioè cosa metti dentro la piattaforma. Sempre gli esperti di didattica sostengono che, se una lezione frontale è noiosa una lezione frontale in una piattaforma è soporifera… «Dal vivo» l’insegnante si muove, passeggia nell’aula; davanti alla telecamera fissa nella classe o dello smartphone c’è una sola angolatura… E a casa fare riprese professionali non é possibile, occorrono professionalità adeguate e mezzi adatti. Inoltre un’ora di lezione preparata bene in piattaforma richiede molte ore di studio con risultati molto belli e altri che lasciano a desiderare… Se penso poi ai numeri dell’Avogadro (oltre 1600 allievi divisi in 65 classi, 55 al diurno e 10 al serale, con una media di 6,7 materie per classe differenti) non ci si può improvvisare: alcuni professori avevano materiale già pronto, altri stanno facendo quello che possono, anche solo inviare via mail lezioni e compiti. Non ci nascondiamo che in questo momento non surroghiamo la scuola ma stiamo portando avanti una funzione di supplenza. Ciò che è davvero importantissimo è il contatto con i ragazzi, allentato certo ma non reciso, la scuola continua ad esserci e manda messaggi tranquillizzanti per i ragazzi e le loro famiglie. Ai miei allievi dico: «Finirà questa roba, studiate Leopardi perché poi quando tornerete ve lo chiederemo…». Può sembrare una minaccia ma credo che in questo momento sia una consolazione.

La scuola italiana dunque è all’altezza della sfida digitale?

Certamente quando usciremo da questa «prova» avremo imparato tanto sull’utilizzo della didattica on line: la scuola e gli studenti che in nuove tecnologie sono molto più esperti di noi stanno già  facendo cose straordinarie. L’anno prossimo potremo approntare una quota notevole di didattica mista «on line» e «in  presenza». Credo che i ragazzi da questa esperienza riconoscano che il corpo docente si sta dando da fare e che cerca in qualche modo di affrontare la sfida delle nuove tecnologie. Ma  attenzione: la sfida digitale è una straordinaria favola del nostro mondo. Il lavoro flessibile non è per tutti e non si può improvvisare. Pensiamo alla scuola: come si può realizzare il lavoro flessibile di un collaboratore scolastico? Si porta a casa i banchi da pulire e li riporta puliti?  Non tutto si può fare con lo «smart working»…

Tra i problemi da affrontare in questi giorni e che preoccupano alunni e famiglie ci sono gli esami di maturità: si ventilano esami solo orali e sospensione di Invalsi. Cosa suggerisce ai maturandi?

Bisogna fare di tutto perché questo non sia un anno perso perché, uno dei mali della scuola è «l’andamento  sussultorio» a seconda del ministro dell’Istruzione in carica: se nasci nel 2001 ti tocca l’alternanza scuola lavoro, se nasci nel 2002 l’alternanza c’è ma è ridotta… Questa volta siamo di fronte ad una vera emergenza non fosse altro per  l’imprevedibilità: pertanto bisogna mettere in campo tutte le risorse disponibili. Se alla maturità non si faranno gli Invalsi pazienza, per un anno non sarà valutato il sistema scolastico. Ritengo che quando torneremo a scuola, il 4 aprile o quando sarà, tutto ciò che non attiene alle lezioni dovrà essere assolutamente cancellato. Inoltre, credo che anche in tempo di emergenza l’esame debba essere sia orale che scritto: quella che chiamiamo maturità è un esame di Stato previsto dalla Costituzione: non si può riformare cambiando le regole un attimo prima dell’esame ma si può rimandare: chi ha la mia età ricorderà che la maturità si sosteneva a luglio. Non credo sia un grosso danno: forse questa proposta solleverà  mugugni  particolaristici magari anche sindacali ma è un momento di emergenza e all’emergenza si risponde con provvedimenti di emergenza. Ai miei maturandi ricordo che la maturità è un esame in cui viene valutata la capacità di mettere a frutto ciò che si è imparato in 5 anni ivi compreso anche il fatto che,  se non so una cosa ma dimostro di sapere trovare soluzioni al problema, questo è che veramente ciò che conta, non tanto avere una memoria straordinaria. Per cui è nostro compito fare di tutto perché l’esame sia onesto per i ragazzi, cioè in linea con quello che è successo prima del coronavirus e con quello che succederà dopo quando i «sopravvissuti» dovranno sostenere un altro esame di stato.

La sospensione forzata della scuola cosa insegna ad alunni, famiglie e professori? Qual è il consiglio  di un Preside, che più che mai in un momento come questo per i suoi ragazzi è un rappresentante delle istituzioni, per vivere questo tempo in modo fruttuoso?   

«La sosta forzata» prima di tutto ci insegna a fare i conti con il tempo in un modo non routinario: la convinzione che «io ho sempre fatto così e sarà sempre così» non regge più perché non fa i conti col tempo appunto. Per la scuola significa che, se il tempo si è ridotto dal punto di vista organizzativo, ripeto, cancellerò  tutto quello che non  è strettamente indispensabile; dal punto di vista dei docenti rimodulerò i miei programmi responsabilizzando di più i ragazzi mentre gli studenti, a seconda dell’età, dovranno imparare una gestione più autonoma anche se è complicato e dobbiamo avere molta pazienza e comprensione. Stiamo imparando che la routine non è affatto scontata  è persino consolante e, in questo momento, da rimpiangere. È un tempo che  mette alla prova persone e istituzioni. Non solo alla scuola il coronavirus insegna a tornare all’essenziale, ad alleggerire la nostra vita: la sobrietà tiene lontano l’ansia.

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