Il preside De Luca: “violenze a scuola, specchio dell’Italia”

Emergenza educativa – Il dirigente scolastico torinese interviene per capire cosa sta succedendo negli istituti italiani, teatro di episodi di bullismo non solo fra ragazzi ma anche con i docenti: è solo colpa dei media e dei social che amplificano questi fenomeni o è in pericolo l’intero «nostro sistema istruzione» (e la nostra democrazia)?

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L’episodio della professoressa alessandrina con difficoltà di deambulazione sbeffeggiata e ripresa nella sua umiliazione, il docente di Lucca insultato dall’allievo che gli intimava di mettergli il sei mentre i compagni filmavano e i molti altri episodi che si potrebbero citare esigono una riflessione.

Innanzitutto su cosa stia succedendo a scuola che sembra essere diventata un terreno di scontro per le aggressioni, il bullismo, i mille segni del disagio e del malessere che la caratterizzano; almeno stando alle cronache. Perché abbiamo la sensazione che si stia scoprendo che la scuola non è lo spazio protetto dei buoni sentimenti, dell’ingenuità, dell’infanzia e dell’adolescenza generosa. La madre che insulta il professore del figlio è la stessa signora che ti è saltata agli occhi perché troppo insistentemente hai suonato il clacson affinché spostasse la sua auto che in seconda file bloccava la tua. L’avvocato patrocinante lo studente bocciato che ricorre è il professionista assai stimato, vincitore di numerose cause di condominio, di incidenti stradali. La scuola appare improvvisamente (e ai più incredibilmente) un pezzo di mondo: egoista, litigioso, anche violento.

A cosa potranno mai servire le nuove norme che le 60 mila firme chiedono a gran voce per disciplinare i rapporti genitori-docenti-studenti? Hanno un fascino irresistibile le norme di emergenza, l’inasprimento delle pene, le leggi eccezionali; le esigiamo, le scriviamo, le promulghiamo e questo ci pacifica, a tal punto da dimenticarci spesso di applicarle.

Il problema però è un altro. I giovani di Lucca avranno punizioni esemplari perché il loro gesto è grave, ma anche perché se ne sono impossessati i media ed in particolar modo i social media. Ma è pensabile che qualcuno posti un video sperando che non lo veda chi, per i fatti raffigurati, potrebbe punirlo? Quei ragazzi hanno voluto sfidare la scuola e hanno perso la sfida? Per rispondere dovremmo ascoltare attentamente la loro vittima: il professore. Docente di 64 anni, dunque con una lunga carriera nell’insegnamento, il professore ha spiegato alla Gazzetta di Lucca di aver avuto come l’impressione che lo scoppio d’ira improvviso fosse recitato, una parte studiata; «probabilmente volevano metterlo sul telefono e poi farlo girare» ha detto. L’insegnante ha sbagliato a non denunciare nemmeno al suo preside l’accaduto, ma da professionista, esperto conoscitore dei ragazzi ha intuito che non era oggetto di un’aggressione, ma attore sul set di una scena di violenza. Un altro professionista esperto, il preside, citando la percezione alterata che i ragazzi hanno del confine tra reale e virtuale, ha detto: «sono preoccupato perché adesso c’è un rischio emulazione».

I ragazzi che filmavano il loro compagno che insulta il professore hanno raggiunto l’obiettivo delle molte migliaia di like, hanno il riconoscimento di quel noto social media che certifica il successo con la menzione: «Il tuo post ha raggiunto l’87% di visualizzazioni in più di quelli dello stesso genere». Sono usciti dall’anonimato. Un grandissimo insegnante morto troppo presto, Sandro Onofri, diceva che la parola «giovani» è «il più grande e spaventoso plurale che esista, capace di inglobare in sé e quasi omologare e uniformare un mondo intero fatto invece di realtà diversissime tra loro, tante quante sono le cornici geografiche o politiche o culturali in cui le si inquadra».

Sono passati vent’anni da quando queste parole sono state scritte ed il plurale «giovani» continua ad omologare e per di più a livello statistico: la disoccupazione giovanile; la dispersione scolastica; i neet; la fuga dei cervelli. Il plurale uniforma e frustra e la frustrazione genera rabbia. L’individualità perduta viene compensata sui social dal potere della condivisione, dal mito del diventare l’influencer i cui post sono seguiti da molte migliaia di fan. Nessuno vuole essere normale, avere equilibrio, seguire le regole, essere coerente, onesto. Quando si è giovani la normalità è noiosa. La legge è normale (infatti detta le norme), punisce quando può i reati, ma considera reato anche scaricare una canzone, fotocopiare un libro, insomma cose che fanno tutti. La scuola è normale, punisce i comportamenti scorretti, ma con grande indulgenza e non è poi così difficile farla franca. Postare un video su facebook vuol dire esporsi, ma su twitter hai già possibilità migliori di sfangarla, su Instagram gli adulti sono pochi e su Snapchat si può stare pressoché tranquilli.

Mentre ci preoccupiamo giustamente di ridare autorità al mondo adulto e dignità alla scuola, poniamoci un’altra domanda. Ma davvero i giovani confondono reale e virtuale? Ritengono veramente che nel secondo mondo vi siano meno  responsabilità o siano attenuate? Se è così ci sarà una fortissima emulazione, perché sarà giudicata irresistibile la fama sancita dai contatori di visualizzazioni, commenti, condivisioni. Speriamo di no, ma intanto vale la pena affrontare una riflessione sull’identità. Ipotizzare che non ci sia una confusione fra virtuale e reale, ma affiancamento, che si vivano cioè più vite, o le vite di più persone come il Leonard Zelig, protagonista del film di Woody Allen.

Questa pluralità è resa possibile e facilitata proprio dalle tecnologie digitali. È il tema delle identità o delle maschere che ha riempito di sé la cultura degli inizi del secolo scorso e che ritorna persino in ambito giuridico, visto che abbiamo scritto e promulgato la Dichiarazione dei diritti in internet che dedica una buona parte dei suoi 14 articoli proprio all’identità.

Dunque severità nelle scuole, ma anche media literacy, come recita l’art. 3 della Dichiarazione: «Le Istituzioni pubbliche promuovono, in particolare attraverso il sistema dell’istruzione e della formazione, l’educazione all’uso consapevole di Internet […] fondamentale garanzia per lo sviluppo di uguali possibilità di crescita individuale e collettiva, il riequilibrio democratico delle differenze di potere sulla Rete tra attori economici, Istituzioni e cittadini, la prevenzione delle discriminazioni e dei comportamenti a rischio e di quelli lesivi delle libertà altrui».

Un testo così significativamente vicino all’art. 3 della nostra Costituzione che dice: «È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà  e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana».

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