Il respiro universale del Sinodo sull’Amazzonia

Conclusa l’assise – L’assemblea sinodale apre a nuove strade, nel solco della Laudato Si’, per la difesa del creato e l’evangelizzazione. L’ascolto degli Indios e del grido della terra; una Chiesa che vive le sofferenze di territori violentati e sfruttati

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Foto Sir

Se si potesse riassumere in un titolo il Sinodo sull’Amazzonia, che si è appena concluso in Vaticano, forse potrebbe essere: una Chiesa dal volto indigeno. Amazzonico.

Non che sia già una realtà concreta, ma il Sinodo, come ha sottolineato il cardinale Claudio Humes, Arcivescovo emerito di San Paolo in Brasile e relatore generale, è un cammino, e «il camminare rende la Chiesa fedele alla vera tradizione. Non il tradizionalismo che rimane legato al passato, ma la vera tradizione che è la storia viva della Chiesa». Certo passi in avanti sono stati fatti e l’appuntamento vaticano ne ha compiuti altri. Soprattutto su temi ‘caldi’ quali il ruolo della donna e l’ordinazione ai viri probati. Ma il Sinodo è anche, forse soprattutto, altro, si iscrive in quel pensiero che ha trovato contenuti e espressione dell’enciclica Laudato sì, che possiamo definire un vero e proprio manifesto nel quale la tutela dell’ambiente – una ecologia integrale – è collocata all’interno di un pensiero sul creato, per essere una vera e propria teologia del creato.

È ascolto dei popoli indigeni, del grido della terra; di una Chiesa che vive le sofferenze di territori violentati e sfruttati che gridano il loro «si» alla difesa della vita, della cultura e della tradizione dei popoli indigeni; un «si» alla terra, memoria sacra di una tradizione trasmessa oralmente. Fatta di saperi, danze, pitture, natura. Una Chiesa dal volto amazzonico che chiede di essere difesa dalle aggressioni culturali e politiche. Quasi un grido che negli anni ha trovato difficoltà ad essere accolto. Come quello del giovane indio del Chaco che dice a Giovanni Paolo II, nel 1988, di non volere la civiltà dei bianchi, la cui ingordigia deturpa e distrugge tutto ciò che essi toccano.

Nell’ottobre del 1991, Papa Wojtyla visita il Brasile, e compie una tappa anche a Cuiabà, capitale dello stato del Mato Grosso; qui ha parole dure contro i latifondisti: «Ci sono meccanismi perversi nella logica della dominazione economica». Parla della proprietà privata, quasi memoria delle parole pronunciate da Papa Paolo VI nella Populorum progressio e nel viaggio a Bogotà: «Diventa illegittima quando nasce dalla violenza, dall’illecito sfruttamento, dalla speculazione. Una tale proprietà non ha nessuna giustificazione e costituisce un abuso al cospetto di Dio e degli uomini». Quattro giorni prima dell’arrivo del Papa in Brasile, un sindacalista veniva ucciso mentre lavorava alla costruzione di una strada, assalito da dodici uomini armati di un fazendeiro di Belem. Uno dei tanti martiri di questa terra, come padre Moraes della Commissione pastorale della terra, ucciso perché difendeva i braccianti; o l’italiano padre Ezechiele Ramin, missionario comboniano, assassinato perché si batteva in favore degli indios e contadini senza terra; o, infine, Chico Mendes, sindacalista dei raccoglitori di caucciù, promotore della lotta per la tutela della foresta e per la riforma agraria.

Temi che anche Benedetto XVI affronta, in occasione del suo viaggio in Brasile, maggio 2007. Ai vescovi sottolinea l’importanza di praticare la solidarietà verso le persone che vivono in situazioni di povertà: la gente povera delle periferie urbane o della campagna ha bisogno di sentire la vicinanza della Chiesa, sia nell’aiuto per le necessità più urgenti, sia nella difesa dei suoi diritti e nella promozione comune di una società fondata sulla giustizia e sulla pace. «I poveri sono i destinatari privilegiati del Vangelo, ed il vescovo, formato ad immagine del buon Pastore, deve essere particolarmente attento a offrire il balsamo divino della fede, senza trascurare il ‘pane materiale’». Ai giovani, poi, chiedeva l’impegno di preservare e custodire l’ambiente naturale: «I nostri boschi hanno più vita: non lasciate che si spenga questa fiamma di speranza che il vostro Inno Nazionale pone sulle vostre labbra. La devastazione ambientale dell’Amazzonia e le minacce alla dignità umana delle sue popolazioni esigono un maggior impegno nei più diversi ambiti di azione».

Sinodo che possiamo definire tempo di ascolto, di confronto, e anche di scontro. In modo particolare per due temi letti e calati nella realtà del territorio, ma che, sicuramente, oltrepasseranno i confini dei sette stati che racchiudono il grande polmone verde della foresta amazzonica: il ruolo della donna e l’ordinazione di preti sposati. In 120 paragrafi le raccomandazioni approvate, contenute nel documento finale consegnato al Papa. Prima fra tutte la proposta di «ordinare sacerdoti uomini idonei e riconosciuti della comunità, che abbiano un diaconato permanente fecondo e ricevano una formazione adeguata per il presbiterato, potendo avere una famiglia legittimamente costituita e stabile».

È il paragrafo 111, il più discusso, passato con una maggioranza di soli 5 voti, e che rappresenta una mediazione tra quanti auspicavano l’ordinazione di uomini sposati di provata fede e riconosciuti dalla comunità, e chi invece si opponeva ad una simile possibilità. Proposta, quella di ordinare preti dei diaconi sposati, già emersa durante i lavori del Concilio ecumenico Vaticano II ad opera di un vescovo del Brasile.

La richiesta è suffragata dal fatto che, si legge nel paragrafo 111, «molte delle comunità ecclesiali del territorio amazzonico hanno enormi difficoltà di accesso all’Eucaristia». Come ha detto il cardinale Christoph Schonborn, Arcivescovo di Vienna, la Chiesa non può essere solo «in visita» con un prete che passa a distanza di mesi, ma deve «essere presente». A volte ci vogliono «anche diversi anni prima che un sacerdote possa tornare in una comunità per celebrare l’Eucaristia, offrire il sacramento della riconciliazione o ungere i malati nella comunità», si legge sempre nel paragrafo 111.

Da ricordare che il celibato è una prassi, non un dogma, che Paolo VI ha voluto confermare nella sua enciclica Sacerdotalis caelibatus del giugno 1967, mantenuta, nella Chiesa latina, da Giovanni Paolo II. Per i padri sinodali «la diversità non nuoce alla comunione e all’unità della Chiesa, ma la manifesta e la serve, come testimonia la pluralità dei riti e delle discipline esistenti». Ma ci sono due altri elementi legati alla questione dell’ordinazione dei viri probati, che in qualche modo occorre evidenziare: da un lato c’è chi ha proposto un «approccio universale» all’argomento, quindi una possibilità anche per le altre Chiese del Nord Europa, la presenza delle comunità protestanti e anglicane, e le Chiese greco-cattoliche nell’Europa dell’Est.

Un secondo aspetto, la possibilità di studiare un rito amazzonico, nella cui celebrazione si tenga conto «degli usi e dei costumi dei popoli ancestrali» per esprimere il «patrimonio liturgico, teologico, disciplinare e spirituale dell’Amazzonia».

Ma non solo ordinazione di preti sposati; va anche affrontato, per il cardinale Schonborn, il ruolo «pericoloso» delle sette, che, ricordava, hanno un «influsso tale per cui si stima che già più del 50 per cento dei fedeli siano passati alle correnti evangeliche».

Un ultimo aspetto affrontato al Sinodo, il ruolo fondamentale delle religiose e delle laiche nella Chiesa amazzonica e nelle sue comunità. Lucetta Scaraffia, su «La Nazione», si pone questa domanda: «Sono veramente necessari i sacerdoti sposati per comunità cristiane che, almeno per i due terzi, sono state fondate e sono guidate da donne? La proposta di riconoscere alle donne ministeri come il rettorato e l’accolitato, che già praticano da tempo in tutto il mondo, non pare risolutiva, ma piuttosto in ritardo sulla realtà». In Amazzonia, la maggior parte delle comunità cattoliche sono guidate da donne, così il Sinodo chiede che «venga creato il ministero istituito di ‘donna dirigente di comunità’, solo undici voti contrari, dando ad esso un riconoscimento, nel servizio delle mutevoli esigenze di evangelizzazione e di attenzione alle comunità».

Nel 2016 Papa Francesco aveva creato una Commissione di studio sul diaconato delle donne, che aveva raggiunto un risultato parziale su come era la realtà del diaconato femminile nei primi secoli della Chiesa. Così, sulla spinta delle richieste dei padri sinodali, anche se in trenta hanno votato contro la possibilità che la Commissione continui i suoi lavori, Francesco ha preannunciato, nel suo discorso la sera di sabato 26 ottobre, che riconvocherà la Commissione speciale che negli anni ha indagato.

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