Il terremoto dell’Irpinia e l’impegno della Chiesa torinese

Quarant’anni fa – La Diocesi di Torino partecipò, grazie al «gemellaggio» della Caritas con il Comune di Pescopagano (Potenza), alla ricostruzione dopo il terremoto che devastò l’Irpinia il 23 novembre 1980

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Quarant’anni fa la diocesi di Torino partecipò, con il «gemellaggio» della Caritas, alla ricostruzione dopo il terremoto dell’Irpinia. Alle 19.36 di domenica 23 novembre 1980 una forte scossa di 90 secondi – magnitudo 10 della Scala Mercalli e 6,5 della scala Richter – devasta 17 mila chilometri quadrati d’Italia: Campania, Basilicata, una zona della Puglia; Avellino, Salerno e Potenza le province più colpite; Lioni, Santomenna, Laviano e Muro Lucano rasi al suolo. In tutto: 2.914 morti; 8.848 feriti; 280 mila senzatetto; 77 mila case distrutte; 687 Comuni colpiti: 542 in Campania, 131 in Basilicata e 14 in Puglia. La più grave catastrofe, dopo il sisma di Reggio-Messina del 28 dicembre 1908.

Papa Francesco prega – «L’evento drammatico, le cui ferite non sono ancora del tutto rimarginate, ha evidenziato generosità e solidarietà degli italiani. Ne sono testimonianza i gemellaggi tra i paesi terremotati e quelli del Nord e del Centro. Queste iniziative hanno accompagnato il faticoso cammino della ricostruzione e la fraternità tra le diverse comunità della Penisola. La solidarietà nata da quel disastro si unisce al ricordo di quella drammatica pagina di dolore e sofferenza». Invita: «Oggi pensate a tante famiglie in difficoltà perché non hanno il lavoro, hanno perso il lavoro, hanno uno-due figli. Siate voi ad andare a cercare dove c’è necessità, dove c’è Gesù nel bisogno».

La denuncia di Pertini – Il presidente della Repubblica Sandro Pertini 4 anni fa visita i terremotati e resta sconvolto. Ha la pelle dura, ne ha viste di tragedie, ne ha contati di morti, ha combattuto guerre, ha sopportato le violenze e il carcere dei fascisti, è abituato all’orrore. Quella visita lo ferisce perché si rende conto dell’assenza dello Stato, dell’incapacità delle istituzioni, del fallimento dell’Italia. Il 26 novembre sera a reti unificate Rai fa un discorso che entra nella storia. Parole dure, nette, vere. Non si era mai visto un volto dello Stato condannare l’inerzia e la corruzione. Chiede alle istituzioni di non ripetere la vergogna del Belice in Sicilia dopo il terremoto del 14-15 gennaio 1968: «Dove è andato a finire il denaro? Chi ha speculato sulla disgrazia? E chi ha speculato, è in carcere?».

In Irpinia si vive la medesima tragedia del Belice – I fondi si perdono in corruzione e inefficienza; la ricostruzione sembra non finire mai. «Ho assistito a spettacoli che mai dimenticherò. La disperazione dei sopravvissuti vivrà nel mio animo. A distanza di 48 ore non erano ancora giunti gli aiuti. Gli abitanti hanno manifestato disperazione, dolore, rabbia. Non è vero – come ha scritto qualcuno – che si sono scagliati contro di me. Anzi, sono stato circondato da affetto e comprensione. Ma questo non conta. Ho constatato che non vi sono stati soccorsi immediati. Dalle macerie si levavano gemiti e grida di disperazione dei sepolti vivi. I superstiti pieni di rabbia dicevano: “Non abbiamo gli attrezzi necessari per salvare i nostri congiunti”».

Il presidente racconta scene disperate – «Una bambina mi si è gettata al collo e mi ha detto piangendo che aveva perduto padre, madre e i fratelli. Una donna piangendo mi ha detto: “Ho perduto mio marito e i miei figli”. I superstiti vagavano, impotenti a recare aiuto a coloro che erano sotto le rovine. Nel 1970 il Parlamento ha votato leggi sulle calamità naturali. Vengo a sapere adesso che non ci sono i regolamenti di attuazione delle leggi. Se i centri di soccorso sono stati istituiti, perché non hanno funzionato? Perché a distanza di 48 ore non si è sentita la loro presenza? I superstiti mi hanno detto: “I soldati e i carabinieri che si prodigano in modo ammirevole e commovente, ci hanno dato la loro razione di viveri perché non abbiamo di che mangiare”. Non erano arrivati i viveri. Quindi i centri di soccorso, se sono stati fatti, non hanno funzionato. Ci sono state mancanze gravi e chi ha mancato deve essere colpito, come è stato colpito il prefetto di Avellino, che è stato rimosso».

Con questo freddo non si può ricoverarli sotto le tende – Pertini continua la sua filippica: «Si avvicina l’inverno. È assurdo pensare di ricoverare i superstiti sotto le tende; bisogna ricoverarli in alloggi. E poi bisogna pensare alle case. Non deve ripetersi quello che accadde nel Belice. Ricordo che in una visita in Sicilia, a Palermo venne il parroco di Santa Ninfa (era il rosminiano don Antonio Riboldi, poi vescovo di Acerra in Campania, n. d. r.) con i concittadini a lamentarsi: a distanza di 13 anni non sono state costruite le case promesse. Ancora oggi vivono in baracche: eppure il denaro necessario fu stanziato. L’infamia maggiore è speculare sulle disgrazie altrui. Non si ripeta quanto è avvenuto nel Belice, perché sarebbe un affronto alle vittime e un’offesa agli italiani e alla Nazione. Numerosi emigrati, rientrati da Germania e Svizzera, con i risparmi si erano costruiti la casa: li ho visti piangere sulle rovine. Non c’è bisogno di nuove leggi. La legge esiste, la si applichi; si dia vita ai regolamenti di esecuzione; si porti subito soccorsi ai superstiti e li si ricoveri in alloggi. Gli italiani devono mobilitarsi per andare in aiuto ai fratelli. Il modo migliore di ricordare i morti è pensare ai vivi».

A Balvano 77 persone morti nel crollo della chiesa – Molti erano bambini e ragazzi che cantavano alla Messa. Vi si reca Giovanni Paolo II. Da un banco della scuola, recuperato dalle macerie, parla alla gente: «Voi pregate con la vostra sofferenza e portate al Signore la vostra sofferenza. Vi sono vicino». Tra i feriti nell’ospedale di Potenza: «Ho sentito un impulso del cuore a venire qui, di esservi vicino. Voi terremotati e i vostri morti siete circondati da compassione umana e cristiana dai connazionali, da tutta l’Italia e dalla Chiesa. Quando tanti soffrono ci vogliono tanti che stiano loro accanto». Come era successo in Friuli nel 1976, Torino stringe un gemellaggio con Pescopagano (Potenza) e il direttore della Caritas don Piero Giacobbo il 18-20 luglio 1981 accompagna in visita il cardinale arcivescovo Anastasio Alberto Ballestrero, che è anche presidente della Conferenza episcopale.

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