Partiamo da qualche dato, ovvero dal confronto tra la situazione di Fiat Auto a fine Novecento, la situazione dell’anno in cui Marchionne divenne Amministratore delegato (2004) e quella del 2017.
La tabella A che pubblichiamo qui sotto mostra che la crisi di Fiat Auto, come è noto, fu particolarmente pesante a cavallo del nuovo secolo: tra il 1997 e il 2004 la produzione Fiat in Italia diminuì di quasi il 50%, quella di Torino del 67,5%, e gli addetti di Torino del 64%. La crisi di Torino iniziò prima dell’arrivo di Marchionne.

Oggi, considerando i dati del 2017, risultano evidenti due situazioni divaricate. La prima riguarda la produzione rimasta a Torino rispetto al resto d’Italia: a Torino la produzione rappresenta solo più il 9% di quella del 1997 (ma il minimo si raggiunse nel 2015 con 13.900 vetture prodotte), mentre quella italiana è ancora pari al 47%. Il polo produttivo che più ha pagato la crisi generale e le difficoltà di Fiat in specifico è stato, insomma, quello torinese.
3.750 operai. La seconda divaricazione riguarda i livelli produttivi di Torino rispetto all’occupazione: seppur con una forte presenza di cassintegrati, gli addetti del 2017 nel polo torinese non si discostano molto da quelli del 2004 e ciò è anche dovuto ai lavoratori trasferiti da Mirafiori a Grugliasco nel nuovo Stabilimento Maserati. Occorre però fare una precisazione: quando si parla di Mirafiori si fa abitualmente riferimento ai 3.750 addetti di produzione, dimenticando che sullo stesso sito si hanno anche oltre 6.300 impiegati degli Enti Centrali, il 70% in più degli operai. Forse sarebbe utile una riflessione su questi lavoratori.
Insomma, siamo di fronte a dati che vanno in direzioni diverse: la produzione a Torino oggi è ai minimi livelli con solo più una linea produttiva, quella della Maserati Levante, visto che da poco è cessata la prodizione dell’Alfa Mito; ma l’occupazione tiene, seppur non dimenticando la Cassa integrazione.
Il problema di Mirafiori. Il problema è relativo alla gamma produttiva di Fiat che è notevolmente mutata negli ultimi anni, con una quasi inversione del peso tra la produzione dei veicoli di segmento basso e quella di segmento alto, evidenziata qui sotto nella tabella B.

L’inversione corrisponde alla scelta, operata con il Piano 2014-2018, di puntare in Italia sia sui segmenti Premium (Maserati e Ferrari) sia su quelli medio-alti, come Alfa e Jeep, in questo modo ponendo in difficoltà lo stabilimento di Mirafiori più concentrato tradizionalmente sui segmenti medio bassi.
Le difficoltà di Mirafiori non dipendono dalla strategia in sé, quanto dagli investimenti sulla gamma che hanno privilegiato altri stabilimenti italiani (vedasi Melfi e Cassino), e dalle incertezze sugli investimenti nella gamma produttiva che riguardano Torino.
E qui veniamo a uno dei punti deboli della strategia della Fiat di Marchionne: la difficoltà a dare al marchio Alfa una carattere innovativo e identitario tale da farlo competere con marchi come BMW e Mercedes. È stata infatti una costante, anche con Marchionne, che gli obiettivi produttivi disegnati per Alfa non venissero raggiunti (sia nel piano del 2010 che in quello del 2014 le previsioni produttive per fine quadriennio oscillavano tra le 300.000 e le 400.000 vetture, quando lo scorso anno sono state prodotte a Cassino non più di 135.000 vetture), come pure il piano dei nuovi modelli da immettere sul mercato. Proprio quest’ultimo punto è legato a Torino: sono finora mancati i modelli previsti e resta da vedere se con il nuovo gruppo dirigente cambierà qualcosa in positivo o in negativo.
La sfida mondiale. Un altro punto connesso a Torino è lo spostamento del baricentro produttivo, finanziario e legale fuori della nostra città dopo l’acquisizione di Chrysler. Possiamo essere critici sulle conseguenze di questa operazione, ma occorre anche fare un ragionamento controfattuale: dove e cosa sarebbe oggi Fiat senza Chrysler? Non possiamo dimenticare che questa impresa, grazie ai suoi profitti, ha permesso al lato italiano di FCA di sopravvivere (come era già successo con la filiale brasiliana). Avrebbe potuto Fiat reggere da sola in un mercato in espansione ma con una posizione sempre più forte sia di altri produttori europei (valga per tutti la VW) sia, soprattutto, dei produttori cinesi, giapponesi e coreani?.
Qui sta un altro punto debole della strategia della Fiat di Marchionne (in questo seguendo le orme di suoi predecessori): il fallimento di una presenza significativa in Cina visto che l’anno scorso Fiat ha realizzato 2.276 immatricolazioni, mentre Jeep ha raggiunto in poco tempo le 202.901 vendite con un mercato che è stato di 28 milioni di immatricolazioni.
Ma se il ragionamento su Chrysler è rivolto al passato lo stesso tema si pone di nuovo oggi: può FCA continuare da sola o è necessario un altro matrimonio di qualche tipo? Si era parlato di GM e oggi di Hyundai.