Il tesoro (troppo nascosto) dei libri religiosi

Salone del Libro – Negli ultimi 6 anni il mercato italiano dei libri religiosi ha perso il 33,2%, contro il 15,1% dei libri in generale. A conclusione della Fiera di Torino Giuliano Vigini, fra i massimi studiosi dei mercati editoriali, analizza le difficoltà strutturali del settore

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Salone del Libro 2019

Sulla situazione attuale e sulle dinamiche future dell’editoria cattolica abbiamo chiesto il contributo di Giuliano Vigini, saggista e docente di Sociologia dell’editoria contemporanea presso l’Università Cattolica di Milano, considerato uno dei massimi esperti di produzione e mercato del libro. Fra le sue opere più recenti si ricordano «Il libro cristiano nella storia della cultura» (Vita e Pensiero, 2015-2017, 3 voll.), «Storia dell’editoria cattolica in Italia» (Editrice Bibliografica, 2017). Ha pubblicato commenti e dizionari per la «Bibbia Paoline» e il «Dizionario della Bibbia» per la Libreria Editrice Vaticana; scritti e edizioni di sant’Agostino (tra cui «Sant’Agostino. Dizionario delle opere», Il pozzo di Giacobbe, 2018); saggi e traduzioni di classici e numerose antologie dedicate ai Papi di ieri e di oggi, soprattutto Benedetto XVI e Francesco. Collabora a quotidiani e riviste, tra cui «Corriere della sera», «Avvenire», «Famiglia cristiana» e «Vita e Pensiero».

Da diversi anni l’editoria cattolica e, più in generale, l’editoria religiosa attraversano momenti di difficoltà su diversi fronti. Mentre la produzione libraria si mantiene sempre elevata (tra i 5.500 e i 6 mila titoli l’anno), andando ad occupare il terzo posto tra i generi più pubblicati dagli editori confessionali (185) e dalle case editrici laiche operanti nel settore, 631), si assiste a un calo consistente delle vendite (oltre il 5 per cento l’anno), tanto che nel periodo 2012-2018, secondo il Rapporto Uelci elaborato da Giorgio Raccis, il mercato del libro religioso ha perso il 33,2 per cento, contro il 15,1 del libro in generale. È pur vero che nell’ultimo anno c’è stato un recupero, nel senso che le perdite per gli editori cattolici sono state contenute al 2,3 per cento, mentre i laici con pubblicazioni religiose hanno perso il doppio, ma questo non significa un superamento della crisi strutturale del settore e l’inizio di una ripresa non effimera.

Questa situazione impone quindi una riflessione, sia a livello imprenditoriale individuale, sia sul piano del dibattito complessivo, nel tentativo di individuare le cause, interne ed esterne al mondo cattolico, che fanno sì che oggi l’acquisto e la lettura del libro religioso restino confinati in Italia a un numero molto ristretto di titoli e in aree commerciali determinate. Tutto intorno, per gran parte della pur consistente produzione, c’è una sorta di deserto, illuminato ogni tanto da qualche fuoco d’artificio, passato il quale, però, si torna al silenzio e alla calma piatta, fino ai tempi liturgici e al Natale che danno una boccata d’ossigeno, soprattutto a librerie spesso esangui. Ma per il resto dell’anno?

Non credo che ci si possa consolare di questo stato di cose con il dato che circa il 60,1 per cento dei libri religiosi si vende nelle librerie religiose di catena e il 13,2 nelle librerie religiose indipendenti, perché in realtà questo è uno dei dati deboli del sistema, nel senso che sta a significare che si riesce a vendere troppo poco nelle librerie di catena laiche (7,6 per cento) e in quelle laiche indipendenti (5,7), neppure quei titoli che, per la fama degli autori o il loro contenuto di attualità, avrebbero tutte le caratteristiche per entrarvi. Ora qualcuno potrebbe osservare che l’esserci o non esserci spesso dipende da quello che l’editore è disposto a concedere in termini di sconti: se, ad esempio, per entrare nelle librerie Feltrinelli e avere una certa visibilità valga la pena concedere uno sconto molto più alto del normale, supponiamo tra il 55 e il 60 per cento. Sarà anche per questo che la più estesa e importante catena di librerie d’Italia assorbe per il libro religioso solo il 3,5 per cento a valore (e l’1,9 a copie).

Se lasciamo da parte i problemi organizzativi, gestionali e distributivi interni al sistema editoriale cattolico nel suo complesso (pur fondamentali, ma che non possiamo qui esaminare in dettaglio), porrei l’attenzione su quella che è la prima questione di fondo: oggi manca anche in ambito cattolico un contesto culturale ed educativo che riconosca il valore della lettura e, in ogni caso, che lo traduca in fatti concreti. In realtà, il problema maggiore è costituito dal pubblico cattolico che si va restringendo sempre di più. Una larghissima parte già non legge per mancanza di istruzione, formazione o mancanza d’abitudine alla lettura; un’altra piccola parte legge e studia, ma meno di un tempo, acquistando meno libri (non parliamo poi delle riviste, costrette a chiudere) e limitandosi all’essenziale. Lo stesso pubblico laico legge sì più libri di argomento religioso, ma sensibilmente meno rispetto ad alcuni anni fa. Gli stessi sacerdoti, di fatto, spesso considerano il tempo da dedicare alla distensione, alla meditazione e all’aggiornamento culturale un lusso, a fronte di impegni pastorali pressanti che non concedono alcun tipo di tregua, mentre quel tempo di lettura dovrebbe proprio servire come oasi ristoratrice da cui attingere energie per ricaricare se stessi e in definitiva per servire meglio anche la propria comunità.

Da questo punto di vista, il secondo problema, strettamente collegato al primo, è in genere l’assenza sul piano ecclesiale, sia centrale che diocesano, di iniziative che favoriscano la lettura, semplicemente perché non è percepita, non dico come priorità pastorale, ma almeno come tappa necessaria dell’orizzonte educativo. Ora è evidente che, se manca un terreno culturale in cui la lettura assuma il ruolo di un bene desiderabile, è difficile che essa possa mettere radici e svilupparsi. È anche in questo campo che urgono iniziative.

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