Il Vescovo Grassi fra le figure centrali della Resistenza in Piemonte

Alba – Franco Antonicelli, capo del CLN piemontese, elogia Luigi Maria Grassi, grande Vescovo di Alba, una delle figure centrali della Resistenza in Piemonte, come racconta nel diario «La tortura di Alba e dell’Albese»

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Mons. Luigi Maria Grassi

«Ci sono tutti, portati nei cuori dei familiari e dei compagni, anche i morti. Quel piccolo prete che conobbi docente di religione al Collegio di Moncalieri quando, insegnante anch’io, mi educava a educare. C’è anche lui, il piccolo prete, divenuto vescovo di Alba, il compianto mons. Luigi Maria Grassi e che voi di Alba, nei ricordi personali, e io, rileggendo il candido onesto libro che lasciò scritto, possiamo credere di rivedere: eccolo che va avanti e indietro, chilometri su chilometri, col cuore grosso per la commozione, col pianto che gli scoppia improvviso, per quelle strade che diventano sempre più difficili, sempre più misteriose; dovunque è chiamato, anche nella tana dei lupi, avanti e indietro con poco cibo, con molta stanchezza a portare conforto, a elevare una protesta, a strappare una vittima al suo destino, un’autorità a un’infamia, un popolo inerme a una tremenda minaccia di eccidio: lui, primo in qualunque momento, a capo dei suoi esemplari sacerdoti, sempre pronto a offrire umilmente la vita in cambio dell’altrui, con la sicurezza di raeppresentare il diritto calpestato, la giustizia assente, e sempre e dovunque la carità cristiana».

Franco Antonicelli, capo del CLN piemontese, elogia Luigi Maria Grassi, grande vescovo di Alba, una delle figure centrali della Resistenza in Piemonte, come racconta nel diario «La tortura di Alba e dell’Albese». Il suo successore Luigi Bongianino lo definisce «Bonus miles Christi, buon soldato di Cristo». Luigi Giuseppe (Luigi Maria da religioso) Grassi nasce a Mondovì il 7 marzo 1887 da una famiglia modesta. Studia in Seminario. Sacerdote dal 1910, è viceparroco a Lesegno (Cuneo). Entra nella Congregazione di San Paolo (Barnabiti) e si dedica ai giovani. Assistente dell’oratorio San Martino di Asti, fonda il circolo giovanile, riorganizza le scuole di catechismo, favorisce la cassa rurale, partecipa alle lotte sociali scrivendo sui giornali cattolici. È vicerettore del collegio «Le Quer­ce» di Firenze; rettore del collegio «Carlo Alberto» di Moncalieri.

Soldato e poi cappellano militare nella Grande Guerra, aiutante medico negli ospedali, anche in quello da campo in Macedonia. Dal 15 luglio 1917 cappellano militare del 45° Sanità vicino a Vicenza, vara iniziative per la truppa e la popolazione; va volontario col 145° reparto someggiato nell’altipiano di Asiago, assai battuto dall’artiglieria austriaca. Nel marzo 1918 raggiunge il 24° reparto fanteria alle pendici del Grappa; condivide la vita di trincea con i soldati ed è decorato con croce di guerra e medaglia d’argento al valor militare. Congedato, torna ad Asti, assistente della gioventù femminile di Azione Cattolica.

Nominato vescovo di Alba il 23 marzo 1933, è consacrato a Mon­calieri dal cardinale arcivescovo di To­rino Maurilio Fossati. Si impegna nella diffusione capil­lare dell’Azione Cattolica e alla valo­rizzazione della vita parrocchiale come documenta la lettera pastorale per la Quaresima 1933 «Parrocchia e vita parrocchia­le». Compie tre visite pastorali (1936, 1939, 1941) e nel 1944 tiene il Sinodo diocesano apprez­zato soprattutto per la parrocchia­lità con cui affronta i problemi e per la volontà di far partecipare i fedeli alla liturgia, all’apostolato e alla gestione delle materie temporali. L’abbondanza e la compattezza degli iscritti all’AC, specie giovani, manda in bestia Mussolini. Il federale di Alba e il prefetto di Cuneo sono molto infastiditi dal 17 per cento degli albesi iscritti all’AC.

La lettera pastorale «Invito alla verità», nella Quaresima 1938 con qualche diplomatica lode al regime, stigmatizza gli errori dogmatici e morali tendenziosamente diffusi e nel fascismo vede «la presuntuosa ostinazione di una minoranza non vagliata dal suffragio popolare e non confortata dal viatico ecclesiastico a reggere da sola le sorti del Paese». Il giornale diocesano «Gazzetta d’Alba» gode molto credito e spesso polemizza con il regime. Si crea una conflittualità diffusa tra parroci e dirigenti fascisti. Mons. Grassi – «pur non alieno inizialmente da simpatie per il fascismo» scrive lo storico Giuseppe Griseri – difende i sacerdoti denunciati «assumendo su di sé ogni responsabilità». Altro contrasto per il divieto di portare il distintivo dell’Azione Cattolica. Grassi e Sebastiano Briacca, vescovo di Mon­dovì, invitano i giovani a non sottomettersi e a fregiarsi e del distintivo. Ciò provoca l’intervento dell’am­basciatore italiano presso la Santa Sede e il richiamo del­la Segreteria di Stato nel settembre 1939. Grassi risponde denunciando le persecuzioni fasciste ad Alba, Fossano e Mondovì.

Dopo I’8 settembre 1943 è il coraggioso difensore del suo popolo. Nelle Langhe la Resisten­za è massiccia e i suoi interventi presso i comandi partigiani e nazifascisti sono sempre più frequenti per favorire lo scambio di prigionieri, scongiurare rappresaglie, nascondere ricercati, liberare detenuti. Deve fronteggiare le ingerenze  dei repubblichini, dei tedeschi occupanti e dei partigiani. Nel settembre 1943 il presidio militare di Alba è imprigionato dai tedeschi: Grassi ottiene garanzie di tutela giuridica e di assistenza materiale e spiritua­le, di fatto salva i soldati, già rinchiusi nei carri bestiame, pronti alla deportazione. Decisiva l’azione in difesa della città, liberata dai partigiani. Il 10 ottobre 1944 i nazifascisti, carenti di soldati, grazie alla mediazione di Grassi, abbandonano Alba ai partigiani senza danni e senza spargimento di sangue. Ma – colmo della malvagità – il 22 ottobre, tornano in forze, pretendono di rioccuparla. Stavolta la mediazione del vescovo fallisce e il 2 novembre è presa d’assalto. Dopo il 25 aprile si prodiga per salvare i fascisti prigionieri che i partigiani vorrebbero giustiziare.

Mons. Grassi muore ad Alba il 5 aprile 1948. Il sindaco, Cleto Giovannoni, lo ricorda: «Tutti i nostri morti sono presentì ma mi sia concesso ricordarne uno che seppe preservare questa città da gravissimi lutti. Vi fu un giorno – 25 luglio 1944 – in cui tutti trepidammo in angosciosa ansietà e quasi trattenemmo il respiro: le truppe tedesche avevano rastrellato più di 200 cittadini che dovevano essere fucilati a titolo di rappresaglia. Quel giorno, il compianto vescovo, che aveva nel suo stemma una spada adagiata in segno di pace, intraprese una lotta disperata per salvare dalla morte quegli innocenti. Dio l’aiutò: lo zelo del vescovo, che fra tanto corruscare di armi, era armato solo della sua carità, riuscì a compiere il miracolo: i rastrellati ritornarono alle loro case. Tutti in lui riconobbero il protettore, l’amico, l’angelo tutelare».

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