Il Coronavirus nelle carceri sovraffollate

Intervista – Il Papa ha affidato i commenti del Venerdì Santo ai detenuti di un carcere italiano. Durissima la condizione delle carceri nei giorni dell’emergenza Coronavirus. Parla la garante dei detenuti del Comune di Torino Monica Cristina Gallo

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Monica Cristina Gallo, dal luglio 2015 è la Garante dei diritti delle persone private della libertà del Comune di Torino. Tra le prime sostenitrici della campagna «abbona un detenuto» con cui il nostro giornale, grazie alla generosità di tanti lettori ogni settimana entra in 40 sezioni del carcere torinese, oggi è in prima linea, con la Direzione e chi lavora a vario titolo al «Lorusso e Cutugno» per arginare gli effetti del coronavirus in uno dei luoghi più a rischio della città. Fin dall’inizio del blocco dei colloqui dei detenuti, la Direzione del carcere ha attivato le videochiamate con i famigliari dei distretti attraverso gli smarphone giunti dal Dipartimento dell’amministrazione carceraria e Monica Gallo ha richiesto immediatamente di utilizzare la stessa modalità per i colloqui riservati con la Garante. «L’iniziativa apprezzata dal Garante regionale dei detenuti Bruno Mellano e condivisa con il Provveditorato dell’amministrazione penitenziaria è stata estesa, con l’approvazione del Dipartimento, a tutti i Garanti d’Italia» spiega Monica Gallo «mi è sembrato un modo per alleviare l’isolamento dei ristretti: non potendo vederli di persona da  due sabati – il giorno riservato per il miei colloqui – sono davanti al video a parlare con i detenuti che lo richiedono. In due giorni ho sentito molte persone detenute, per alcuni sono necessari interventi con la direzione, per altri è utile contattare la famiglia per rassicurare i familiari che il proprio caro recluso sta bene: faccio da tramite per quanto mi è possibile,  per alleviare la solitudine che in carcere in questi giorni è incolmabile».

Monica Cristina Gallo, garante dei detenuti del Comune di Torino

L’emergenza Covid-19 è scoppiata in un tempo problematico per i penitenziari italiani che già soffrono per  sovraffollamento e difficoltà dovute spesso a strutture obsolete e carenza di personale. Come si stanno affrontando le urgenze nel carcere torinese?

All’inizio dell’emergenza Covid-19 nella Casa Circondariale «Lorusso e Cutugno» erano recluse 1480 persone su una capienza regolamentare di 1062 posti. Un dato preoccupante che, dall’avvio del mio mandato, ha registrato un aumento importante: alla fine del 2019 le persone detenute presenti erano 1470, 1416 alla fine del 2018, 1371 alla fine del 2017, 1321 nel 2016, 1162 nel 2015. Al sovraffollamento vanno aggiunte condizioni strutturali fatiscenti che creano ambienti non tutelati sotto un profilo igienico sanitario. L’inizio dell’emergenza si è dovuta gestire con queste drammatiche problematiche e proponendo alla popolazione detenuta raccomandazioni impraticabili. Ma andiamo per ordine. Il primo problema, il blocco dei colloqui con i familiari non è stato preceduto da alcun dialogo e, a livello nazionale si sono registrate le tragiche vicende che conosciamo. A Torino, a partire da lunedì 9 marzo, quando è scattato il provvedimento, la Direzione ha iniziato un percorso di dialogo e condivisione con la popolazione detenuta, attraverso un ciclo di incontri  con i ristretti provenienti dalle varie sezioni del carcere, alle quali ho sempre partecipato. Le assemblee con cadenza settimanale hanno determinato un clima di fiducia, attraverso un cammino di mediazione e compensazione. Alcune raccomandazioni hanno giustamente incontrato imbarazzi fra i detenuti.

Quali?

È inutile pretendere la  distanza di sicurezza di un metro in piccole celle occupate da due persone, il lavaggio frequente delle mani senza sapone a disposizione e l’igiene degli ambienti in assenza di prodotti idonei.  E, a partire da quel lunedì, ci siamo messi tutti al lavoro, ognuno secondo le proprie competenze, e insieme abbiamo dato risposte concrete. Non abbiamo aspettato che le risposte alle carenze giungessero dai vertici ai quali spetterebbe il compito, in particolare in una situazione grave come questa, ma abbiamo attivato con la comunità il principio di sussidiarietà orizzontale tramite azioni che favoriscono l’autonoma iniziativa dei cittadini, singoli e associati, per lo svolgimento di attività di interesse generale. La risposta all’appello è stata tempestiva, in particolare dalla Caritas diocesana, da alcune associazioni legate al mondo penitenziario, da liberi cittadini che hanno compreso sin da subito la gravità della situazione e si sono spesi per far fronte alle emergenze materiali. Ad oggi, ad esempio, è attiva una significativa raccolta fondi nata su iniziativa di alcuni genitori di giovani reclusi e gestita  dall’Associazione Museo nazionale del Cinema. (www.produzionidalbasso.com/project/carcere-di-torino-emergenza-covid-19-liberazioni/)

Il blocco degli ingressi dei famigliari e dei volontari ha suscitato, come lei ha accennato, a proteste nelle carceri italiane ma a Torino le reazioni sono state contenute.  Come garanti avete fatto subito un appello alle Istituzioni e alle Asl  perché il mondo carcerario non venga lasciato solo ad affrontare l’emergenza. Quali sono state le risposte?

Il blocco degli ingressi dei familiari è stato tempestivamente affrontato con le misure compensative, oltre alle telefonate straordinarie concesse sin da subito: da due settimane sono attive le video chiamate con whatsapp che consentono alle persone di mantenere i rapporti familiari, le relazioni con i propri legali e il sabato è la giornata dedicata ai colloqui con la sottoscritta.  Gli appelli alle istituzioni del territorio sono stati moderati e cauti nella prima fase dell’emergenza, divenuti più incisivi nelle ultime settimane, quando la sanità penitenziaria ha iniziato ad appellarsi al Garante per trovare soluzioni alternative alla detenzione per le persone detenute contagiate o a forte rischio di contagio. Con stupore si è appreso che nulla di preventivo era stato previsto per l’uscita di coloro che diventano incompatibili per le ragioni sopra citate…

E allora come si sta gestendo la situazione dei contagiati e quali sono le richieste dei detenuti?

Non vi è alcuna gestione programmata, l’Unità di crisi territoriale non ha strutturato un piano per gestire l’emergenza covid 19 all’interno dell’Istituto di pena torinese: ne sono la prova l’affannata corsa di noi tutti, garanti, educatori, agenti nel trovare luoghi idonei affinché i detenuti che hanno contratto il virus vengano alloggiati in luoghi all’esterno per evitare il dilagarsi del contagio. La Direzione dell’Istituto ha immediatamente strutturato una piccola sezione della Casa Circondariale ma di transito. Ancora una volta emerge che il carcere è roba da ricchi: per coloro che hanno una famiglia ed una situazione di normalità all’esterno si aprono le porte e la possibilità di stare in isolamento altrove, per coloro che non hanno legami territoriali e una dimora inizia un calvario. Da alcuni giorni è attivo un bando dell’Ufficio di esecuzione penale esterna (Uepe) e a breve saranno disponibili fondi della Cassa delle Ammende, sostegni importanti ma che vedranno la loro piena realizzazione forse tra un mese… E nel frattempo?

Il direttore della Caritas torinese da queste colonne la scorsa settimana ha evidenziato come dopo il blocco degli ingressi e delle uscite dal carcere si siano interrotti tutti gli inserimenti lavorativi e i tirocini con cui i ristretti possono riprogettare un reinserimento a fine pena. Cosa succederà dopo la fine dell’emergenza?

Qui tocchiamo un altro tasto drammatico.  Molti detenuti erano stati avviati ad interessanti percorsi all’esterno che purtroppo sono stati interrotti. Gli inserimenti sono sempre complicati e chi li attiva sa bene a cosa mi riferisco. C’è da sperare che, finita l’emergenza, associazioni,  enti e aziende che avevano privilegiato questa tipologia di lavoratori continuino a considerare la loro collocazione una priorità per la riduzione della recidiva e la possibilità di rientrare in società.

«Tutti anche da condannati siamo figli della stessa umanità»: è uno dei brani della Via Crucis celebrata Venerdì Santo in piazza San Pietro e che il Papa ha voluto fosse scritta dal mondo carcerario, detenuti, magistrati, volontari, agenti… Che impressione le ha fatto la scelta di Francesco in un momento  così difficile per chi vive e lavora in carcere? 

Il Papa si è espresso più volte dall’inizio dell’emergenza a favore di quella parte di umanità dimenticata che popola le nostre carceri, così come il Presidente della Repubblica. Hanno commosso le meditazioni della Via Crucis, un altro delicato passo per connettere il mondo carcerario e la sua complessità al resto della società. Forte il vuoto tutto intorno che riconduce a quel senso di abbandono che si sente ancora troppo spesso dentro le mura del carcere.

In tanti in questi giorni in tanti si offrono per dare una mano a chi è più fragile e chi è in carcere in questo momento è doppiamente recluso: lei è in prima linea accanto a chi opera nel penitenziario torinese perché la situazione rimanga sotto controllo. Cosa possiamo fare per contribuire anche materialmente ad alleviare le difficoltà di chi vive in questi mesi dietro le sbarre ?

Azzardo una richiesta. Il vostro giornale è uno strumento importantissimo che serve per comunicare con la società libera e reclusa. È necessario più che mai spiegare ai lettori che le pene alternative sono previste dalle norme e si devono scontare fuori dal carcere, è urgentissimo comprendere cosa vuole dire ri-accoglienza senza distinzione, è necessario stimolare il lettore ad uno sguardo verso che quei  provvedimenti indispensabili per diminuire i numeri della comunità penitenziaria che non è fatta solo da detenuti, ma da agenti penitenziari, uomini e donne, da educatori e da tutto il personale  che sta  vivendo in condizioni difficilissime e ogni giorno che passa, con l’aumento dei contagi, si intravvede il dramma che ha duramente colpito le Rsa dove stanno morendo centinaia di anziani.

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