
Mentre proprio in queste settimane ricorre il settimo anniversario dell’espulsione dei cristiani di Mosul da parte dei jihadisti sunniti dello Stato Islamico, l’Isis ha rivendicato l’attentato di lunedì 19 luglio scorso – all’inizio della principale solennità del calendario musulmano, la Festa del Sacrificio – in un affollato mercato a Baghdad nel quale sono rimaste uccise oltre 35 persone, tra cui donne e bambini. In un messaggio l’Isis ha comunicato che la strage è stata compiuta da un attentatore suicida, Abu Hamza Al-Iraqi, che ha fatto esplodere la sua cintura esplosiva. Il bilancio, ancora provvisorio regista anche 50 feriti. Ritorna dunque l’incubo degli attentati in Iraq, dove il Papa, durante il suo storico viaggio del marzo scorso, aveva supplicato «Tacciano le armi».
Era il 17 luglio del 2014 quando lo Stato Islamico, con un editto, comunicava ai cristiani di Mosul che avrebbero potuto rimanere nelle loro case solo a due condizioni: convertirsi all’Islam o pagare la tassa per la religione imposta ai non musulmani. L’alternativa, lasciare la città. Le milizie del califfo Al Baghdadi avevano conquistato, un mese prima, Mosul e parte della Piana di Ninive, costringendo alla fuga verso il Kurdistan migliaia di cristiani.
Il califfo Abu Al Baghdadi, il 29 giugno 2014, aveva annunciato, dalla moschea di al-Nouri, la rinascita del Califfato e proclamato lo Stato islamico dell’Iraq e del Levante con Mosul capitale. Con il proclama si portava a termine la «pulizia» etnico-religiosa dei cristiani e delle altre minoranze dalla città. Da allora case, negozi e proprietà abbandonate dai cristiani furono segnate con la «N» di «Nasrani», i nazzareni, seguaci di Cristo. Anche le case degli Shabak e dei Turkmeni, minoranze sciite, vennero contrassegnate con la «R», «Rafidah» cioè «infedeli» perché non avevano riconosciuto l’autorità di Abu Bakr, suocero di Maometto e primo Califfo dopo la sua morte. Mentre fuggiva da Mosul, questa schiatta di perseguitati veniva fermata ai check in e depredata di tutto: l’Isis si accanì anche contro gli Yazidi, di etnia curda, vittime di un vero e proprio genocidio, stupri su donne, minorenni e violenze inaudite.
È il dramma dell’esodo più atroce del nostro secolo che viene documentato nel libro «Tacciano le armi», titolo che riprende proprio l’appello lanciato da Papa Francesco in Iraq nel marzo scorso. E non ci poteva essere luogo più adatto, l’Arsenale della Pace del Sermig di Torino, per la prima presentazione, venerdì 16 luglio, del volume edito da Eugraphia in collaborazione con il Focsiv, curato dalla giornalista Adriana Fara con le suggestive immagini dei fotoreporter Stefano Stranges e Marioluca Bariona. È la testimonianza, come ha introdotto il giornalista del TGR Rai Piemonte Stefano Tallia, della tragica situazione del Kurdistan iracheno, paese di 5 milioni di abitanti, che ospita 1 milione di profughi scappati dalla Siria e dalle zone dell’Iraq occidentale violate dall’Isis. Un lavoro che i tre professionisti torinesi, in piena pandemia, hanno realizzato seguendo il viaggio di pace di Papa Francesco, grazie all’accredito e all’appoggio logistico del Focsiv (Federazione degli organismi cristiani di servizio internazionale volontariato).
Il reportage, in italiano e inglese (la traduzione è di Alessandra Mariano) come ha illustrato Adriana Fara, che ha collaborato per gli esteri con Rai, «La Stampa» e il «Corriere della Sera», è stato realizzato in due settimane: sulle orme di Papa Francesco, documenta la desolazione dei campi profughi e rifugiati di Erbil, di Suleimani verso l’Iran, fino sul confine con l’Iraq, a 20 chilometri da Mosul. «Abbiamo varcato confini porosi, insidiosi per la sicurezza anche dopo la visita del Papa», ha raccontato la giornalista (che ha scritto del viaggio su www.caffedeigiornalisti.it, sito al servizio della libertà di stampa con particolare attenzione ai paesi che si affacciano sul Mediterraneo), «ma sono stati giorni densi di incontri, ospitalità, storie agghiaccianti come i crimini sessuali dell’Isis sulle donne yazide: persone che adesso ci impongono di dare loro voce perché il mondo sappia cosa significa vivere anni in quei campi e decidere di fuggire anche a costo di morire». «Il ‘Diritto alla Meraviglia’ non è fatto di speranza», ha aggiunto Stefano Stranges, «ma è un modo per mettere la speranza nelle vite degli iracheni, come ci ha detto mons. Bashar Matti Warda, Arcivescovo della Chiesa Caldea di Erbil, nel lungo incontro-intervista che abbiamo riportato nel libro».

«I cristiani in Iraq non devono solo ‘sopravvivere’, devono vivere», dice mons. Warda nell’intervista, evidenziando come la visita del Papa sia stata per i cristiani un’iniezione di coraggio: «Noi abbiamo creato scuole, università, ospedali e lavoro. Se i cristiani vogliono lasciare il Paese è una loro scelta personale, ma se noi creiamo non una speranza di vita, ma mettiamo la speranza nella loro vita, con aiuti veri e seri, perché andare via?». È la missione del Focsiv, che, come ha spiegato la presidente Ivana Borsotto, «rappresenta 87 Ong italiane e che da quasi 50 anni operano nella cooperazione allo sviluppo in oltre 80 Paesi e, per i prossimi tre anni, con un progetto per le popolazioni irachene stremate dalla guerra». Il Focsiv, hanno illustrato Borsotto e Jabar Fatah, responsabile del progetto in Iraq, è da sei anni presente nel Paese e, in collaborazione con la Conferenza episcopale locale, opera nei campi profughi con scuole per i minori, promuovendo formazione e dialogo fra le donne cristiane e musulmane. «Il dialogo è un seme da far germogliare nelle anime», ha precisato la presidente Borsotto, perchè non riusciamo nemmeno ad immaginare la ferocia che hanno subito queste persone. Ma se Papa Francesco ha incontrato il leader della comunità sciita irachena Ali Al-Sistani, tutti possiamo seguire il suo esempio a cercare di dialogare nel rispetto dell’altro».

La penna competente della Fara (che ha vissuto in Arabia Saudita, Kuwait e Bahrain per 5 anni) e gli scatti di Stranges (le sue foto sull’umanità «scartata» del Sud del mondo hanno ottenuto premi internazionali) sono arricchiti dallo sguardo di Marioluca Bariona, docente al Master in emergenza e urgenza territoriale per infermieri nell’Ateneo torinese e attivista fotografo. «Il viaggio di speranza del Papa che abbiamo seguito si scontra tragicamente con le immagini dei campi che abbiamo riportato nel libro, famiglie, anziani, giovani che da cinque anni vivono in condizioni disperate, molti senza documenti, lasciati nelle loro case nella fretta di fuggire dalla furia omicida dell’Isis. I nostri scatti imprimono un istante, giochi improvvisati dei bimbi nel fango dei campi in una parvenza di falsa normalità: ma il nostro deve essere uno sguardo globale su quelle popolazioni perché riguarda tutti. Tra i disperati della rotta balcanica, a due passi dai nostri confini, ci sono centinaia di persone che fuggono dai quei campi senza speranza anche rischiando la vita». Ma perché «tacciano le armi», come supplica il Papa, occorre smettere di costruirle e di armare gli assassini (per informazioni sul progetto: info@eugraphia.com).