Direttore Manca, ci siamo abituati a pensare la ripresa dell’anno scolastico come una grande emergenza: migliaia di cattedre senza insegnanti, scuole senza dirigenti, denaro insufficiente per la manutenzione delle scuole o anche solo per comprare il materiale di cancelleria, la carta igienica… Sarà così anche quest’anno?

Purtroppo i problemi menzionati (tranne uno: la carenza di dirigenti, che abbiamo finalmente risolto) permangono anche quest’anno: si ripetono ad ogni autunno, mi pare eufemistico definirli ancora «emergenze».
Lei come li definisce?
Credo sia onesto parlare di deficit strutturali.
Irrimediabili?
Ovviamente no, ma non saremo mai in grado di risolvere il problema partendo dal Piemonte. Per cercare di correggerlo bisognerebbe che l’Italia modificasse le procedure nazionali di reclutamento del personale scolastico, implementando lo strumento principe del concorso ordinario. Oggi molte graduatorie di professori abilitati si esauriscono prima che vengano banditi nuovi concorsi per rimpolpare gli elenchi: insomma è necessario programmare i flussi, con continuità e certezza. Purtroppo non accade. Si trovano in difficoltà soprattutto le regioni del nord, come il Piemonte.
Ad oggi (4 settembre, mentre andiamo in stampa) quante cattedre le risultano ancora vacanti in Piemonte?
Eravamo stati autorizzati a immettere in ruolo 5.950 insegnanti, ma dalle graduatorie di merito dei concorsi e dalle graduatorie ad esaurimento abbiamo potuto reperire solo 1.285 nominativi (22%). Ben 4.665 cattedre (78%) risultano ancora scoperte: saranno coperte con incarichi di supplenza nelle prossime settimane, purtroppo spesso a lezioni già iniziate. Considerando anche i posti istituiti in organico di fatto, l’anno scolastico si apre con circa 6.000 supplenti da nominare nei prossimi giorni (occorrerà circa un mese, la palla è passata ai dirigenti delle singole scuole), su un corpo insegnanti complessivo di 43 mila insegnanti. Il deficit maggiore riguarda il sostegno agli alunni disabili dove le assunzioni in ruolo sono state limitatissime e limitate alle scuola dell’infanzia e primarie: rispettivamente 51 e 84 docenti in tutto il Piemonte con titolo di specializzazione. La carenza di docenti specializzati nel sostegno ha assunto da anni, soprattutto al Nord, una dimensione strutturale.
Perché il buco di insegnanti di sostegno?
Perché i posti a disposizione nei percorsi accademici di specializzazione per i docenti che vorrebbero dedicarsi al sostegno sono una goccia d’acqua nel mare delle necessità. In Piemonte le Università si sono rese disponibili ad accogliere 200 docenti, a fronte di un fabbisogno di organico che a oggi, alla partenza del presente anno scolastico, ha già superato i 12 mila posti (6.244 di diritto più 6.000 in cosiddetta deroga) che noi direttori abbiamo l’obbligo di attivare in presenza di disabilità gravi certificate. La stragrande maggioranza di questi posti saranno coperti da supplenti privi di titolo di specializzazione perché in Piemonte abbiamo esaurito tutte le graduatorie concorsuali e pure le graduatorie ad esaurimento.
È stata invece colmata la mancanza di dirigenti, presidi, direttori didattici.
Sì, possiamo dare almeno questa notizia positiva: nel corso dell’estate sono stati assunti in Piemonte 227 dirigenti scolastici vincitori dell’ultimo concorso nazionale. Tra ferragosto e la scorsa settimana li abbiamo assunti a tempo indeterminato e assegnati alle sedi scolastiche. Le «reggenze» (scuole affidate a dirigenti di altre scuole) saranno solo più 12. Non ci fossero state le nuove assunzioni, le reggenze avrebbero sfiorato quota 240, pari al 44%.
Tornando agli insegnanti, quali ordini di scuole risultano più penalizzati? In quali materie?
Sicuramente le scuole secondarie di primo e secondo grado, in particolare nell’area matematico e scientifica; ma iniziano a scarseggiare anche gli insegnanti delle altre materie generaliste, come l’italiano, la storia, la geografia e le lingue straniere. Come ho già detto, occorrerebbe ripristinare con regolarità le procedure concorsuali ordinarie. Ma questo dovrebbe avvenire nell’ambito di un serio programma di ricambio generazionale della classe docente (è fra le più vecchie d’Europa e del mondo), che sappia restituire il valore sociale che un tempo aveva il ruolo e la funzione dell’insegnamento.
Cosa manca agli insegnanti?
Retribuzioni più adeguate. Meccanismi di carriera basati sul merito, per chi si vuole impegnare di più o è pronto ad assumere responsabilità ulteriori rispetto all’attività didattica di base (coordinamento di progetti, attività pomeridiane, supporto all’organizzazione, cura delle relazioni esterne con le istituzioni territoriali e il mondo del lavoro, ecc.). Se si operasse in questa direzione io credo che riusciremo anche a rendere più attrattiva la professione agli occhi dei giovani laureandi, di cui la scuola avrebbe tanto bisogno.
Le chiedevamo anche della penuria di risorse economiche…
È l’altro problema da affrontare di petto: servono investimenti imponenti per incrementare le dotazioni finanziarie delle scuole, vittime da anni dei tagli orizzontali alla spesa pubblica. Senza investimenti, l’autonomia scolastica continuerà a rimanere sulla carta.
Le scuole paritarie, prive di rilevanti sostegni economici dallo Stato e dagli enti locali, combattono per tenere alto il loro servizio dalle materne su fino alle superiori. A quale livello di collaborazione si colloca l’azione della sua Direzione regionale?
Le scuole paritarie devono essere considerate parte integrante del sistema educativo nazionale, non solo perché ce lo dice la Costituzione e la sua legge attuativa, ma perché il loro contributo è necessario e determinante per garantire a tutti e a ciascuno il pieno esercizio del diritto fondamentale all’istruzione. In alcuni casi, poi, il servizio che assicurano non solo è complementare a quello delle scuole statali, ma addirittura suppletivo, come accade sia nel segmento dell’infanzia, consentendo a tante famiglie di beneficiare di una offerta formativa che altrimenti lo Stato non sarebbe in grado di erogare, sia nella formazione professionale, dove gli enti di ispirazione religiosa primeggiano per qualità e tradizione storica.
Quindi?
Da quando guido l’Ufficio Scolastico Regionale ho sempre cercato di tenere vivo un rapporto di collaborazione attiva con le scuole paritarie coinvolgendole nelle politiche e nelle strategie dell’Amministrazione. Ci credo fortemente ma sono consapevole dei nostri limiti, anche organizzativi, e della necessità di dover fare ancora di più per sviluppare e integrare i due sistemi. Ecco, questo è l’impegno che sento il dovere di assumere nei confronti di tutti i gestori di questo imprescindibile servizio.
Siamo all’ennesimo cambio di Governo. Un anno e mezzo fa assistemmo al precedente. I continui cambi di direzione pesano oppure sono irrilevanti per la gestione ordinaria delle scuole piemontesi? Nel 2019 cos’hanno comportato per voi – ad esempio – l’ennesima riforma dell’esame di maturità, il dimezzamento delle ore di alternanza scuola-lavoro?
Il problema non è la gestione ordinaria, che siamo tenuti sempre e in ogni circostanza a garantire alla collettività. Il tema vero, che tocca il cuore degli interessi rimessi alle nostre cure, è di visione politica: mettere davvero la scuola e gli studenti al centro dello sviluppo sociale, culturale ed economico del Paese.
Come?
A mio avviso, oltre al ricambio generazionale del corpo docente, che ho già menzionato, siamo di fronte a due priorità che non possono essere più eluse o rinviate. Una è l’emergenza demografica, l’altra è l’innovazione delle metodologie didattiche. Ulteriori temi di cui si parla pochissimo sono la preoccupante ripresa dei fenomeni della dispersione scolastica e il crescente analfabetismo funzionale.
In tema di emergenza demografica: una scuola primaria di Mirafiori è avviata a chiudere perché non ci sono abbastanza bambini. Non le sembra una sconfitta per il territorio, ove le scuole e le parrocchie sono spesso l’unico centro aggregativo?
Il problema di presidiare il territorio esiste, ma dobbiamo anche fare i conti con i numeri. Secondo analisi recenti (mi riferisco in particolare a uno studio condotto un anno fa dalla Fondazione Agnelli) indicano che la popolazione scolastica nei prossimi 10 anni diminuirà di un milione di studenti a causa del blocco delle nascite. Il fenomeno interesserà per la prima volta anche le regioni del nord. Negli ultimi due anni, in Piemonte, la popolazione scolastica, soprattutto nella scuola dell’infanzia e primaria, è diminuita di circa 12 mila unità.
L’altra priorità – ci diceva – è l’innovazione didattica.
Sì, è l’aggiornamento dei contenuti delle discipline e, soprattutto, l’orientamento e l’innovazione delle metodologie didattiche e degli ambienti di apprendimento, attraverso il superamento del modello tradizionale della lezione frontale, che non è più sufficiente, e del paradigma fisico della classe. Se davvero, come a parole diciamo spesso, consideriamo gli studenti al centro dell’azione educativa, non possiamo più permetterci di separare la dimensione dell’istruzione da quella dell’orientamento al lavoro.
I fondi per l’alternanza scuola lavoro risultano però in diminuzione…
Siamo sempre al problema delle risorse. Va risolto perché oggi la Scuola con la «S» maiuscola deve educare le persone ad apprendere di «se stesse» e del loro potenziale, guidarle nella scoperta dei propri talenti, delle proprie attitudini e inclinazioni, rispettando i tempi e le modalità di apprendimento di ciascuno, attraverso un percorso di crescita graduale ed equilibrato, in grado di sviluppare tutte le capacità, cognitive e meta cognitive, dallo spirito critico all’assunzione di responsabilità, e tutte le dimensioni della conoscenza, il sapere, il saper essere e il saper fare.
Lei, Direttore, ha figli iscritti alle scuole torinesi. Pensando alle famiglie di chi si affaccia per la prima volta, con qualche preoccupazione, alla primaria o a un ciclo superiore, quale messaggio sente di poter lanciare loro?
Vorrei dire alle famiglie che la scuola piemontese ha molti problemi organizzativi, ma resta complessivamente in buona salute e tiene il passo con quelle più virtuose del Paese. Si agitano attorno a noi le sfide della quarta rivoluzione industriale, con i mutamenti repentini indotti dalle continue trasformazioni tecnologiche: ebbene la nostra scuola cercherà di non cullarsi sugli allori, è un lusso che non possiamo permetterci; dobbiamo avere l’assillo del miglioramento continuo della preparazione dei nostri figli.