Nel 2020 il Piemonte ha perso 36.272 abitanti. Il numero dei morti è stato più che doppio rispetto al numero dei nuovi nati: un dato drammatico, aggravato dal Covid, che neanche i flussi migratori riescono a bilanciare. Un dato che disegna per il futuro una regione di vecchi, dove si nasce sempre meno.
È una piaga culturale, oltre che economica. I giovani ritardano la stagione degli impegni familiari per le difficoltà della vita, ma anche per gli effetti di una cultura che tende a mettere i valori della famiglia agli ultimi posti. Le culle vuote non sono un fenomeno solo piemontese, sono una piaga nazionale, ma in Piemonte l’invecchiamento della popolazione risulta particolarmente accentuato, se è vero che ogni sei persone anziane (oltre i 65 anni) si conta ormai appena un ragazzo sotto i 15 anni (la media nazionale è di un ragazzo ogni cinque anziani).
La deriva della popolazione si trascina da anni, è oggetto di sporadiche iniziative legislative per il sostegno alle nascite (notevole la recente istituzione dell’assegno unico per i figli a carico), anima l’azione politica di un piccolo partito, il Popolo della Famiglia, ma complessivamente viene subìta passivamente dal sistema Paese, senza vere controffensive che arrestino e invertano il trand negativo. In un Piemonte abitato prevalentemente da persone anziane, con pochi giovani e pochi adulti in età da lavoro, il sistema delle pensioni diventerà insostenibile, così come risulterà temeraria la gestione della rete sanitaria e assistenziale.
Nel suo rapporto annuale sui dati demografici della nostra regione l’Istat parla di «dinamica demografica recessiva»: se nel 2019 la popolazione piemontese contava 4.311.217 individui, nel 2020 siamo scesi a 4.274.945 (-0,84%). Si tratta di dati più o meno in linea con quelli nazionali: l’Italia, in un anno, ha perso 405.275 individui (-0,7%) e resta ormai ben al di sotto dei 60 milioni di abitanti, a 59.236.213.
Secondo dati Ires, nel 2020 in Piemonte sono nati solo 27 mila bambini, mai così pochi. Per la prima volta i nati sono risultati meno della metà del numero dei decessi. Rispetto al 2019 il calo è stato del 3%: 900 bambini in meno. Rispetto al 2011 la flessione appare del 28% (10.700 nascite in meno nell’arco di un anno). Per cogliere le dimensioni dell’emergenza basta pensare che negli anni Cinquanta del Novecento nascevano in Piemonte 40 mila bambini all’anno e negli anni Sessanta, quelli del baby boom, si giunse a 65 mila nascite. Ora siamo a 27 mila (6,3 ogni mille abitanti, erano 8,7 dieci anni fa).
Il calo della popolazione piemontese è una tendenza che neanche i flussi migratori riescono a contrastare. Nel 2020 gli stranieri residenti nella regione subalpina sono aumentati di appena 5.343 unità rispetto all’anno precedente (417 mila le presenza complessive): sono numeri bassi a confronto della Lombardia (+ 41 mila stranieri), del Veneto (+ 23 mila), dell’Emilia-Romagna (+ 25 mila) o della Toscana (+ 28 mila). Gli immigrati preferiscono vivere in altre regioni d’Italia, segnalando un altro fattore negativo del Piemonte: il declino industriale, che ha chiuso aziende, cancellato posti di lavoro, rallentato il mercato occupazionale. Anche il declino economico contribuisce al calo demografico.
Fra le cause del calo di nascite c’è il progressivo assottiliamento della popolazione femminile in età fertile, solitamente calcolata nella fascia d’età 15-49 anni. Se nel 2010 le donne piemontesi potenzialmente fertili erano 971 mila, nel 2019 sono scese a 832 mila (-14%). Per un regolare ricambio delle generazioni occorrerebbe la nascita di 2,1 figli per ogni donna, ma ne 2019 il numero medio dei figli si è attestato a 1,27. Quasi una donna su quattro (23,3%) è senza figli.
A livello nazionale, secondo l’Istat, «il record minimo delle nascite (405 mila) e l’elevato numero di decessi (740 mila) aggravano la dinamica naturale negativa che caratterizza il nostro Paese. Il deficit di ‘sostituzione naturale’ tra nati e morti (saldo naturale) nel 2020 raggiunge -335 mila unità, valore inferiore, dall’Unità d’Italia, solo a quello record del 1918 (- 648 mila), quando l’epidemia di influenza ‘spagnola’ contribuì a determinare quasi la metà degli 1,3 milioni di decessi registrati in quell’anno».