Poco più di un mese fa, il 15 aprile 2020, a Moncalvo (Asti) è morto il vescovo Aldo Mongiano, missionario della Consolata, difensore dei popoli indigeni in Brasile, in particolare gli Yanomani. Cento anni, 5 mesi e 15 giorni; 80 anni di professione religiosa; 76 anni di sacerdozio; 44 anni di episcopato, il vescovo più anziano della Conferenza episcopale brasiliana e uno più anziani del mondo.
L’Italia stava lentamente tornando alla normalità dopo la Grande guerra – «inutile strage» la definì Benedetto XV – quando Aldo Mongiano il 1° novembre 1919 nasce a Pontestura, provincia di Alessandria e diocesi di Casale Monferrato. A 12 anni entra in Seminario ma nel 1939 sceglie, come i suoi due fratelli Pietro e Luigi, i Missionari della Consolata, fondati nel 1901 dal beato Giuseppe Allamano. È ordinato a Torino dal cardinale Maurilio Fossati il 3 giugno 1943. Lavora in Portogallo e in Mozambico (Africa). Nel 1975 Paolo VI lo nomina, vescovo della prelatura di Rio Branco al confine con l’Amazzonia, dal 1979 diocesi di Roraima (Brasile). È consacrato vescovo nella chiesa juvarriana di San Filippo a Casale da mons. Carlo Cavalla. Rimane in Brasile fino al 26 giugno 1996 quando rinuncia per età e torna in Italia.
Roraima è lo Stato più a Nord del Brasile tra il Venezuela e le Guyane. Scrive il brasiliano Jaime Carlos Patias, missionario della Consolata, responsabile dell’America: «La sua vita è sempre stata guidata dalla verità del Vangelo e della fede in Gesù Cristo, il liberatore. La sua traiettoria è stimolante e mostra il significato della missione incarnata nella realtà, con la sua testimonianza profetica, impegnata nella difesa delle popolazioni indigene contro l’invasione di cercatori d’oro, “fazendeiros”, allevatori di bestiame e coltivatori di riso. Questo suo coraggio ha portato a diverse conquiste, principalmente nella demarcazione e omologazione delle terre indigene: São Marcos (1991), Yanomami (1992) e Raposa Serra do Sol (2005). Il più importante risultato è che gli indigeni riacquistano la dignità».
Nel 1974, 45 anni prima del Sinodo sull’Amazzonia (2019), i missionari della Consolata scelgono gli indigeni come la priorità del loro lavoro. Anche a Roraima scelgono gli indigeni e mons. Mongiano pubblica la lettera pastorale «I missionari evangelizzano gli indios» in risposta alla «Fondazione nazionale dell’indio» che aveva proibito ai missionari di lavorare con gli indigeni. Il vescovo denuncia la vergognosa situazione di abbandono e sfruttamento e la Chiesa continua la sua missione, nonostante il divieto. Mongiano è minacciato di morte. Carlo Miglietta, segretario di Co. Ro. Onlus (Comitato Roraima) di Torino, scrive su «La Voce e il Tempo»: «Le radio locali sobillano la popolazione contro la Chiesa e un sicario, in diretta, giura di uccidere il vescovo e di metterne la testa sulla “bateia”, piatto per setacciare le sabbie del cercatore d’oro. Il bersaglio di tanto odio dei “fazendeiros” e dei proprietari delle industrie minerarie e del legname, è un vescovo pio e umile, determinato nello schierarsi dalla parte dei poveri e delle popolazioni indigene oppresse e violentate dalla protervia dei bianchi». Quarantamila mila «garimpeiros» (cercatori d’oro illegali) invadono le terre degli Yanomani portandovi distruzione, morte, desolazione. La Chiesa si schiera con i popoli e subisce una forte persecuzione aizzata dai giornali nazionali e locali. Gli indigeni gli sono grati perché «ci ha fatto capire che noi indigeni siamo uguali agli altri». Non solo garantisce loro il possesso dei territori ma li spinge a sentirsi protagonisti della loro storia.
Mongiano e i missionari della Consolata inventano la campagna di solidarietà «Uma vaca paro o Indio» perché gli indios possono avere la terra solo se sono proprietari di bestiame: regalando loro mucche e tori hanno la possibilità di avere la terra. Alla sottoscrizione partecipano anche Giovanni Paolo II e il cardinale arcivescovo di Ravenna Ersilio Tonini. Confida padre Patias: «Io non ho vissuto con mons. Mongiano, ma l’ho conosciuto come un confratello maggiore, leggendo articoli e notizie sulla Chiesa perseguitata di Roraima, terra bagnata di sangue e resistenza. Nella redazione della rivista “Missões”, dove ho lavorato, la lotta degli indigeni ha sempre avuto un’attenzione particolare. Aveva una parola di tenerezza e compassione per tutti, compresi quelli che lo perseguitavano. Durante le sue visite a São Paulo l’ho sentito e intervistato: ero colpito dalla sua fermezza e serenità». Patias visita Roraima nel 2003, anni dopo che Mongiano si è dimesso: «Il vescovo italiano era molto ricordato e le testimonianze traboccavano dal cuore delle persone. Recentemente a Roraima ho verificato che il suo messaggio era scritto nel cuore delle comunità. Si rese conto che, nell’evangelizzazione era necessario assumere la visione del Concilio, che riconosceva i diritti umani e la necessità di rispettare le culture locali, con un’ampia visione della persona e della sua dignità. Era vescovo di tutti, ma la sua scelta preferenziale era per gli indigeni e i poveri».
Come si deduce dal libro di memorie: «Roraima, tra profezia e martirio: testimonianza di una Chiesa tra gli indios», Mongiano è un esempio per coloro che si impegnano per la giustizia e i diritti dei popoli, tanto più ora nell’attuale situazione del Brasile dove il presidente Jair Messias Bolsonaro, non solo nega il coronavirus, ma si schiera palesemente con quelli che negano i diritti dei popoli e schiavizzano gli indigeni, e che difende le compagnie minerarie che sfruttano indiscriminatamente l’Amazzonia. Mongiano, a Torino e a Pontestura, nelle Messe per i 100 anni ha candidamente confessato: «Ho ricevuto solo favori e grazie. Ho consacrato la mia vita a Dio, alla Madonna e alle missioni». Il casalese di Villanova Monferrato, Luciano Pacomio, vescovo emerito di Mondovì, definisce Mongiano «uomo vittorioso. La sua amabile mitezza, unita a perseveranza, ha creato meraviglie» perché Mongiano n non si è mai arreso.