In un Paese su tre violata la libertà religiosa

Rapporto – Secondo la fondazione pontificia Aiuto alla Chiesa che soffre le principali minacce sono rappresentate da dittature e jihadismo. In 62 Stati su 196 del mondo si registrano gravi discriminazioni

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Cinque miliardi e 200 milioni di nostri fratelli oggi vivono in Paesi che non garantiscono la libertà religiosa. In 62 Paesi, sui 196 analizzati (31,6%), si registrano discriminazioni o aperte persecuzioni con un netto peggioramento del quadro complessivo negli ultimi due anni. Il Papa emerito, Benedetto XVI, nel messaggio per la XLIV Giornata mondiale della pace nel 2011, aveva sottolineato che «il diritto alla libertà religiosa è radicato nella stessa dignità della persona umana, la cui natura trascendente non deve essere ignorata o trascurata» facendo eco alla Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo (art. 18) che già nel ’48 riconosceva la libertà religiosa come un diritto primario.

A questo tema di grande attualità è dedicato il XV Rapporto sulla libertà religiosa della Fondazione pontificia Aiuto alla Chiesa che soffre (Acs), presentato martedì 20 aprile, a Roma, in modalità on line, causa le persistenti restrizioni dovute alla pandemia da Covid-19. Il rapporto rappresenta una delle voci più autorevoli del mondo sulla condizione di rispetto o, al contrario, di violazione della libertà religiosa. Iniziato nel 1999, oggi viene pubblicato ogni due anni e con un’attenta indagine su 196 Paesi del nostro pianeta.

La conferenza stampa on line ha favorito testimonianze dirette di persone che, per le proprie vicende, sono assurte a simboli di sofferenza e di lotta a favore della libertà religiosa come Asia Bibi in collegamento dal Canada, dove risiede dopo la liberazione dalla lunga prigionia, a cui l’aveva costretta l’accusa per blasfemia rivoltale nel suo Paese d’origine, il Pakistan, nel 2009. Nella sua testimonianza Asia Bibi mette l’accento sul perdurare in Pakistan dei rapimenti di giovani donne cristiane, spesso delle bambine, costrette a subire violenze sessuali, poi matrimoni e conversioni forzate.

Le fa eco il professor Shahid Mobeen, fondatore dell’Associazione pakistani cristiani in Italia, che aggiunge come pur nel quadro leggermente migliorato degli ultimissimi anni, persistano due grandi problemi: il reato di blasfemia e il graduale isolamento in cui sta ricadendo il Paese con il ritiro delle forze armate internazionali. Il Pakistan tornerà ad essere una lontana provincia islamista dominata da un sistema educativo unico e nazionale che il professor Mobeen accusa di essere all’origine di trasmissione di estremismo perché non solo prevede l’islam insegnato in ogni ordine e grado di istruzione, ma ha favorito l’inserimento di frasi coraniche anche nei libri di matematica e scienze.

A parte il Pakistan, la situazione mondiale non è rosea. Il Rapporto mette in evidenza come un netto peggioramento si sia verificato in Africa, dove Paesi un tempo pacifici ed esempi di convivenza sono diventati preda di jihadisti senza scrupoli. Fra questi occorre citare il Burkina Faso. Mons. Laurent B. Dabiré, intervenendo da Dori, città a Nord dello Stato e sede della sua diocesi, ha evidenziato come solo un decennio fa il suo Paese fosse noto come luogo in cui cristiani e musulmani convivevano serenamente fra loro e con le comunità animiste ancora presenti.

Sono personalmente testimone di una lunga conversazione, una dozzina di anni fa, con un giovane sacerdote del Burkina Faso in visita a Torino che raccontava la fortuna del suo Paese rispetto a tante altre situazioni africane. Oggi, invece, il Burkina è entrato, con il Mali e la Niger, in un triangolo di terrorismo jihadista sempre più violento. Secondo il Vescovo il jihadismo vuole creare una fascia che dall’Africa occidentale arrivi fino all’Etiopia e alla Somalia per controllare dall’Atlantico al Mar Rosso il commercio, il contrabbando, la situazione politica e creare una realtà sociale improntata all’islam più radicale.

La volontà espansiva del jihadismo è dimostrata dalle recenti incursioni in Benin e in Costa d’Avorio. Gli Stati da soli non possono reggere questa ondata di violenza, occorre l’unione, la collaborazione, sottolinea il presule, auspicando anche un fattivo intervento delle forze internazionali come l’operazione Takuba voluta dalla Francia per l’intero Sahel e a cui collabora anche l’Italia. Situazione sottolineata anche da Alessandro Monteduro, direttore di Acs-Italia, che ha evidenziato un sempre più aggressivo jihadismo transfrontaliero che da anni cerca di creare nell’area il ‘califfato’ fallito in Medio Oriente.

Non solo l’islam preoccupa. In molti Paesi è il nazionalismo che, unito a tendenze etniche-religiose (induismo e buddhismo in India, Thailandia, Myanmar…), vuole soffocare le minoranze religiose accusandole talvolta di complottare contro l’unità dello Stato. In alcuni paesi questo nazionalismo etnico-religioso ha provocato discriminazioni, aggravate dalla pandemia in corso, che sono giunte al rifiuto di distribuire gli aiuti umanitari alle minoranze. In altre realtà sono i regimi autoritari a provocare persecuzioni religiose come in Corea del Nord e in Cina dove, secondo un focus del Rapporto, sono sempre più utilizzati la tecnologia e i sistemi digitali per il controllo delle appartenenze e delle pratiche religiose. In Cina il programma «Occhi taglienti» ha oggi in uso circa 626 milioni di telecamere che dialogano con smartphone di ignari cittadini rivelando abitudini e opinioni.

Questi pochi spunti rendono chiaro quanto affrontare il tema della libertà religiosa sia importante. Il 28 maggio 2019 l’Assemblea generale delle Nazioni unite istituiva il 22 agosto come Giornata internazionale di commemorazione delle vittime di atti di violenza basati sul credo religioso. Su proposta della Polonia, con il sostegno di Usa, Canada, Brasile, Egitto, Iraq, Giordania, Nigeria e Pakistan, è stato lanciato un chiaro messaggio: gli atti di violenza religiosamente motivati non possono essere tollerati dalle Nazioni unite e dalla società civile. Purtroppo, quando è necessario definire leggi, proclamare Giornate speciali per affermare l’ovvio, vuol dire che l’ovvio non è tale e quindi è urgente operare per farlo rinascere.

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