La difficile estate degli ospedali piemontesi si annuncia come il primo tempo di un autunno rovente per la Sanità locale, tra approvazione dei Bilanci delle Asl e nuove direttive regionali (le prime della presidenza Cirio) sui servizi ospedalieri e territoriali, che potrebbero subire tagli ulteriori alle risorse economiche. Il caso simbolo della fatica in cui versa la Sanità subalpina è quello delle Molinette dove quasi un intero reparto di Medicina – 24 posti letto – viene chiuso in queste settimane per insufficienza di personale. L’ospedale sta affrontando un piano di rientro dal deficit di spesa draconiano: 100 milioni all’anno di tagli fino al 2021, paragonabili a quelli operati per l’intera Sanità piemontese dal 2010 al 2017.
Veniamo da anni di contenimento della spesa, che ha causato – ritengono gli osservatori più attenti – in molti casi ritardi nelle prestazioni, anche quelle di livello essenziale, o la loro definitiva negazione. In questo clima il neo assessore regionale alla Sanità Claudio Icardi ha dichiarato che l’esame dei Bilanci di previsione delle Aziende sanitarie prospetta «una perdita di 454 milioni di euro». Si prospetta un altro tuffo amaro in contenimenti di spesa a scapito dei servizi e dei pazienti? Le opposizioni chiedono chiarimenti, perché meno di un anno fa il Piemonte esultava per il primo posto nella classifica dei servizi sanitari regionali.
Sui posti letto chiusi alle Molinette Claudio Delli Carri, segretario regionale del sindacato infermieri Nursing Up, invita a non «dare la colpa alle, comunque dovute, ferie per il personale», ma ad uno stato «di carenza ormai strutturale dell’organico che viene tamponata con straordinari e assunzione di lavoratori delle cooperative». Secondo una stima del sindacato mancano «almeno 45-50 infermieri nella sola area Medica», un obiettivo, l’assunzione di questi professionisti, che al momento è irraggiungibile, a meno di una ridiscussione dei tetti di spesa con la Regione e il Governo.
Il tema della «carenza di personale» trova d’accordo Chiara Rivetti, segretario regionale dell’Anaao (medici e dirigenti sanitari) che spiega: «C’è un grande problema di carenza di servizi extra ospedalieri. Il rovescio della medaglia sono i pronti soccorso intasati in modo endemico, non solo più d’estate o per i picchi influenzali». Il motivo? «L’esiguità del sistema di cure sul territorio – a casa dei malati, in strutture di lungodegenza, di residenzialità definitiva – genera un afflusso all’ospedale dei malati, anche di quelli che hanno bisogno di risposte altrove, ma non le ricevono». E tra loro ci sono i trentamila malati non autosufficienti cui sono «negate dalle Asl le cure sanitarie dovute per legge, che hanno famiglie allo stremo sia economico, sia fisico e psicologico» sottolineano le associazioni di rappresentanza dei pazienti.
I malati e il personale di cura – anche in capo al privato sociale – vivono sempre a Torino un altro caso emblematico dell’empasse della Sanità piemontese (anche quando si tratterebbe di risparmiare): «Quello delle cure socio-sanitarie domiciliari – dice Maria Giovanna Cumino presidente della Cooperativa solidarietà, nata quasi 40 anni fa, legata alle Acli, attiva nell’assistenza domiciliare – La Regione non ha ancora dato il via libera e le necessarie risorse per queste prestazioni essenziali: viviamo insieme alle famiglie una condizioni di precariato permanente». Si tratta di fondi dell’Asl – garantiti fino al 31 luglio, in attesa di proroga – che insieme con quelli del Comune assicurano a oltre tremila anziani malati (circa un terzo dei quali presi in carico da Cooperativa solidarietà) cure continuative a casa a costi fino a venti volte inferiori rispetto alle spese per il ricovero.