La “Camminare insieme” di Pellegrino 50 anni dopo

8 dicembre 1971 – Illustrata in una conferenza al Circolo della stampa il 16 gennaio 1972, la «Camminare insieme. Linee programmatiche per una pastorale della Chiesa torinese» nasce da scelte tipiche dell’episcopato del cardinale Arcivescovo Michele Pellegrino: in primis l’evangelizzazione, scelta preferenziale per i poveri e per il mondo del lavoro

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Al centro il cardinale Arcivescovo di Torino Michele Pellegrino - foto archivio storico La Voce e il Tempo

Evangelizzare la classe operaia è stata una delle preoccupazioni prioritarie della Chiesa torinese. L’attenzione, già forte con il cardinale arcivescovo Maurilio Fossati (1930-1965), si intensifica con Michele Pellegrino (1965-1977): «Se l’operaio vede nella Chiesa un centro di potere politico ed economico, sarà necessario che la Chiesa si liberi sempre più da ogni compromissione». Osserva lo storico don Giuseppe Tuninetti: «Uomo di libri, imparò a sfogliare e a interpretare il complesso libro della realtà e della vita. Con umiltà seppe ascoltare e imparare da tutti. Ai sacerdoti impegnati tra gli operai diceva: “Sono uomo dell’università e mi trovo vescovo di una città operaia. Vi chiedo consiglio”». Al sindacalista Mario Gheddo che lo informa su quanto accade in fabbrica, scrive: «La ringrazio delle informazioni su vicende che mi stanno particolarmente a cuore».

Pellegrino sostiene le esperienze dei preti, dei chierici e delle suore al lavoro. Il 18 febbraio 1967 trasforma il Centro cappellani del lavoro in Centro di evangelizzazione del mondo del lavoro: non solo un mutamento di nome ma l’espressione di una pastorale nuova. Numerosi preti sono assunti in fabbrica, tra essi i torinesi Carlo Carlevaris e Antonio Revelli che nel 1962 sono licenziati dalla Fiat perché «non funzionali alla politica dell’azienda».  La prima proposta di una lettera pastorale su questi temi nasce in Consiglio Pastorale diocesano e nei convegni di Sant’Ignazio 1969 e 1970 si chiede all’arcivescovo di «proporre alla diocesi, in una lettera pastorale, un programma d’azione, esigenza formulata da Paolo VI nella “Octogesima adveniens” (1971)» Sull’iter impegnativo, sono stato testimone in quanto membro (1970-73) del Pastorale. Maggio 1969 il CPD affronta «La pastorale nel mondo operaio». 28 novembre 1970 don Carlo Carlevaris, Giovanni Cassetta, Giovanni Gambino, Mario Gheddo presentano la «mozione Carlevaris». 16 gennaio 1971 votata a maggioranza la mozione «Ricerca di linee valide per l’evangelizzazione in diocesi». 12 febbraio il vescovo ausiliare e vicario generale Livio Maritano, a nome di Pellegrino, presenta la premessa teologica «La salvezza portata da Cristo». Febbraio «Proposta di iter» e «Istruzioni ai gruppi». Primavera-estate: al lavoro un centinaio di gruppi con 1.500 persone. 27-28 agosto a Sant’Ignazio si approva la «mozione». 12 ottobre il Collegio parroci analizza la «mozione» alla luce di: risorse economiche, opere di supplenza, comunità di base; 4 novembre il documento è approvato con 51 sì, 13 astensioni, nessun no.

L’arcivescovo la scrive in un mese. Racconta don Piergiacomo Candellone, segretario di Pellegrino: «Era un voluminoso dossier che il padre annotò su decine di fogli e che la segretaria dattiloscrisse. Ai più stretti collaboratori i vicari Maritano, Valentino Scarasso e Franco Peradotto vennero consegnate le pagine per averne osservazioni e critiche. Pure a noi della segreteria domandava pareri poiché nella sua umiltà riteneva che tutti potessero dargli un aiuto. Il titolo stentava a nascere. Si pensò dapprima a “Povertà, libertà, fraternità”, ma sapeva tanto di Rivoluzione francese. Un mattino, mentre passeggiava con Maritano e Scarasso, si fermò, ci guardò con un sorriso: “Che ne dite di “Camminare insieme”, come stiamo facendo noi, come ha fatto la diocesi quest’anno?».

Datata 8 dicembre 1971 e illustrata in una conferenza al Circolo della stampa il 16 gennaio 1972, la «Camminare insieme. Linee programmatiche per una pastorale della Chiesa torinese» ha uno strepitoso successo editoriale: 120 mila copie in varie edizioni e in vari anni. Nasce da scelte tipicamente pellegriniane: evangelizzazione, scelta preferenziale per i poveri e per il mondo del lavoro; dalla proposta di don Carlevaris e di alcuni operai; dallo studio «Vangelo e scelta di classe» del gesuita Bartolomeo Sorge su «La Civiltà cattolica»; dal lavoro a vasto raggio: «Si tratta di evangelizzare e promuovere le classi più povere, un impegno della Chiesa fedele alla sua vocazione: essa non si identifica con gruppi politici o sindacali ma deve farsi carico delle sofferenze dei poveri». Le radici non sono marxiste ma profondamente cristiane. Il nucleo portante è l’evangelizzazione, la conversione e l’annuncio declinati nei valori di fraternità, povertà e libertà in una stagione di forte conflittualità sindacale. Pellegrino propone la «scelta preferenziale dei poveri» individuati, in quel contesto storico, negli operai e negli immigrati. La «scelta cristiana di classe» va intesa non con i paraocchi dell’ideologia ma con le categorie della pastorale, non con demagogia ma come imperativo etico. Scritto di schietta ispirazione biblica, avvalorata dai Padri della Chiesa e confermata dal Concilio, la lettera applica la dottrina sociale della Chiesa alla situazione torinese. La parola «poveri» ha una valenza ampia e si estende «alle categorie sociali che non contano, di cui si dispone senza chiedere il parere».

«La scelta prefe­renziale è un dovere evangelico». Pellegrino riprende da due articoli di Sorge ne «La Civiltà Cattolica» sulla «scelta di classe cristiana come dove­re evangelico della preferenza per i poveri. Si tratta di evange­lizzare e promuovere le classi più povere, due aspetti di un impegno ecclesiale che, come ha mostrato il Sinodo 1971, non si possono separare se la Chiesa vuol essere fedele alla sua vocazione. Se in un dato momento storico una classe o delle classi sono vittime di sperequazioni intollerabili, la Chiesa, senza identificarsi con una classe né associarsi organicamente con raggruppamenti politici o sindacali, non può rimanere neutrale: deve farsi carico delle soffe­renze dei poveri e assumere in tutta la loro gravità i problemi che li affliggono».

La lettera fu esaltata e denigrata, studiata e applicata, attaccata e dimenticata. Paolo VI gli esprime «compiacenza gustandone l’accento semplice, calmo e autorevole e scoprendo il cuore pastorale da cui questo documento trae la sua sapienza e la sua aderenza all’insegnamento evangelico e alle condizioni presenti del popolo di Dio e del mondo in cui vive sommerso». Piovono le accuse di «neo-marxismo» de «Il Sole-24 ore» e Alberto Ronchey, direttore de «La Stampa», perla di «nuova retorica prelatizia che dalla Patristica è passata a un singolare neo-marxismo per cui l’”oppio dei popoli” sarebbe l’alienazione industriale. Il nostalgico Michele Brambilla accusa Pellegrino (e i collaboratori) di nefandezze e propala colossali falsità: «Personaggio più rappresentativo della sterzata a sinistra della Chiesa; la diocesi vera Mecca del dissenso; simpatia per il comunismo; ordinò il ritiro dei cappellani dalla Fiat; abolì i pellegrinaggi a Lourdes; bloccò i processi di beatificazione; “Camminare insieme” manifesto del cattocomunismo, stampata e diffusa dalla Giunta di sinistra; città-laboratorio del dissenso cattolico; parla come un comunista, comanda come un fascista, vive come un liberale».

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