Torino recupera all’originario splendore uno dei suoi gioielli barocchi, la Santissima Trinità, che sorge da quattro secoli all’angolo tra via Garibaldi e Via XX settembre, con la sua caratteristica cupola centinata.
Una chiesa tanto centrale, quanto poco frequentata. I bombardamenti prima, l’incuria poi hanno causato danni ingenti: depositi carboniosi, infiltrazioni d’acqua, degrado generale, una miscela devastante, che ha messo a rischio la stessa sopravvivenza del monumento.
La proprietà, l’antica omonima Arciconfraternita, cinque anni fa ne ha deciso il restauro ottenendo il provvido sostegno della Compagnia di San Paolo. Nel 2016, il progetto è stato affidato allo studio Ruffino-Russo. Due lotti di lavori, sotto il controllo della Soprintendenza, per un recupero insieme complesso e minuzioso.
La presentazione, o, com’è stata chiamata, la restituzione alla città, è avvenuta nella stessa chiesa sabato 16 marzo, presenti tra gli altri il Presidente della Compagnia di San Paolo Francesco Profumo, la Soprintendente Luisa Papotti, il Presidente dell’Arciconfraternita della S.S. Trinità Stefano Caraffa Braga, l’architetto Lauretta Musso dell’omonimo studio.
Costruita tra fine ‘500 e primi ’600, sul sedime della fatiscente cappella medievale di Sant’Agnese, la chiesa è disegnata a pianta centrale, secondo lo stile del manierismo romano cui apparteneva il progettista Ascanio Vittozzi da Orvieto (lo stesso del santuario di Vicoforte), chiamato a Torino dal giovane Carlo Emanuele I.
Il richiamo al triangolo e al simbolismo della Trinità è ovunque. Una curiosità, l’architetto è sepolto nella chiesa, non si sa dove esattamente, ma sulla parete della sacrestia è tuttora murata la sua pietra tombale, datata 1615.
Il progetto originario è ancora pienamente apprezzabile, ma ha subito nei secoli diversi interventi di altri architetti famosi, Carlo di Castellamonte, autore dell’altare della «Madonna del Popolo», a sinistra dell’ingresso (prende il nome dall’omonimo dipinto del fiammingo Jan Kraek, italianizzato in Caracca, provvisoriamente spostato a Palazzo Madama) e soprattutto Filippo Juvarra, cui si deve lo scenografico paramento di marmi policromi, stucchi e dorature e l’altare, o cappella, di destra.
Michelangelo Garove infine ha disegnato l’altare maggiore, realizzato dallo scultore Francesco Aprile ai primi del Settecento. Ma ciò che più colpisce è la grandiosa cupola completata nel 1661, che s’innalza per 47 metri, con un diametro di 17, interamente affrescata.
Nel corso del restauro, a qualche centinaio di fortunati visitatori è stato consentito di salire sui ponteggi per ammirare da vicino le impressionanti figure dipinte da Luigi Vacca e Francesco Gonin.
Non meno notevoli stucchi e dorature barocche, recuperati con sensibilità storica, senza cioè cancellare artificiosamente i segni dei devastanti bombardamenti del 1943, quando gli spezzoni incendiari ridussero in cenere l’abside e il coro barocco.
Nell’incendio che infuriò per diversi giorni, andò perduto anche l’intero archivio della confraternita. Una sorta di grisè rende riconoscibili gli interventi recenti. Il restauro, costato in tutto 800 mila euro, ha interessato anche l’impianto d’illuminazione, ora interamente a Led, che oltre a esaltare dorature e marmi policromi, consente un taglio netto dei consumi energetici.
Tutto s’inserisce nel progetto «Torino città d’arte e cultura tra le chiese di Via Garibaldi e i Musei reali» (uno dei prossimi interventi riguarderà la Misericordia). Né è da sottovalutare l’intento di ritorno allo spirito originario, non solo come luogo sacro ma anche di aggregazione. L’Arciconfraternita della Trinità accoglieva i pellegrini, ora attua una politica di housing sociale negli alloggi dell’ala su via XX Settembre e nelle residenze realizzate alla Crocetta.
D’altra parte la chiesa di via Garibaldi, ha spiegato il rettore don Luca Peyron, sarà non solo luogo di preghiera e di devozione, ma anche di cultura, ospitando iniziative di performing art. Il restauro però non è ancora completo, restano da recuperare le due cappelle, o altari, laterali. È augurabile che chi ha fatto tanto come la Compagnia voglia compiere ancora quest’ultimo sforzo, e perfezionare un altro dono magnifico per Torino.