Uber Italy, una delle maggiori società di consegna di cibo a domicilio, dovrà applicare a 10 riders – gli addetti che pedalano nelle nostre città con zaini termici alle spalle per recapitare nelle nostre case piatti pronti per poche lire – il contratto di lavoro subordinato del settore logistica.
La Corte d’Appello di Torino, martedì 13 settembre scorso, ha confermato sostanzialmente la sentenza con cui il Tribunale del lavoro, in prima istanza, lo scorso 18 novembre, aveva riconosciuto a dieci ciclofattorini di Uber Eats – che avevano intentato una causa alla società di consegne il diritto a essere considerati lavoratori subordinati (il nostro giornale aveva parlato dei nuovi schiavi del cibo a domicilio in un ampio servizio)
Nel novembre 2021 il Tribunale di Torino aveva condannato Uber al pagamento dei salari di 10 lavoratori sulla base del fatto che Uber Italy era il soggetto da considerarsi reale datore di lavoro (e non la società Frc formalmente intestataria dei contratti di lavoro per conto di Uber Italy) e che i 10 riders dovevano considerarsi lavoratori subordinati. Uber ha deciso di portare i lavoratori di fronte alla Corte di Appello di Torino per chiedere (invano) la riforma della sentenza di primo grado che invece è stata confermata. Il datore di lavoro reale deve considerarsi Uber Italy e ai 10 riders deve essere applicato il contratto di lavoro subordinato del settore logistica. Ci sarà solo una parziale correzione degli importi dovuti a titolo retributivo: viene esclusa la 14ª e l’indennità di mancato preavviso dal computo delle somme dovute. Uber viene comunque condannata al pagamento delle spese processuali. «Siamo soddisfatti della sentenza» commentano gli avvocati Sergio Bonetto e Giulia Druetta, legali dei 10 ciclofattorini, in gran parte immigrati stranieri accoglienza «In ogni caso continuerà il nostro impegno per far riconoscere – ciò che sembrerebbe logico – ossia che questi lavoratori hanno diritto ad un salario dignitoso e un normale contratto di lavoro. Malgrado le numerose sentenze e modifiche legislative già intervenute ancora oggi infatti la stragrande maggioranza delle imprese del settore considera i riders non come normali lavoratori ma come precari da impiegare senza tutele con contratti di fantasia (come i «contrattini» di lavoro occasionali, i più diffusi nel settore)».
Sergio Bonetto, giuslavorista torinese, difensore di parte civile in processi come Eternit, Thyssen e Ilva di Taranto, è tra i primi che nel 2018 ha iniziato ad occuparsi della difesa dei riders. «Attualmente sono 15 in Italia le sentenze che fanno riferimento alle diverse società di consegna del cibo e non solo, un settore che con la pandemia ha rivoluzionato il terziario con con guadagni enormi grazie anche al precariato: è da 5 anni che ci occupiamo di questi lavoratori ma c’è ancora molto da fare soprattutto al nord dove i ciclofattorini sono per lo più stranieri e non si rivolgono ai sindacati perché non conoscono la nostra legislazione e parlano a malapena la nostra lingua. Diversala situazione al sud dove la maggior parte dei rider sono italiani». L’avvocato Bonetto evidenzia come nonostante numerose sentenze che intimano alle società di regolarizzare i lavoratori, molte di queste non si sono adeguate ai pronunciamenti di tribunali e continuano ad assumere lavoratori precari e saltuari costringendo i riders a condizioni di lavoro al limite della schiavitù e senza norme di sicurezza. «Inoltre sono pochissimi i cliclofattorini sindacalizzati, alcuni per paura di ritorsioni, altri – soprattutto gli stranieri – perché non conoscono i loro diritti. Il nostro timore è che se il Governo non interviene su questo settore tutta l’economia delle consegne a domicilio continuerà a sfruttare il precariato con un danno che presto diventerà emergenza sociale».