Lunedì 22 maggio 2023 cade la festa di Santa Rita da Cascia. Nel suo santuario a Torino si celebrano Messe alle 6.30, 8, 10, 12, 16, 18, 19.30 e si conclude con la processione per le vie del quartiere presieduta dall’arcivescovo emerito mons. Cesare Nosiglia. Celebra mons. Nosiglia perché l’Arcivescovo Roberto Repole, che ha presieduto l’eucaristia in santuario la sera di domenica 21 maggio, è impegnato a Roma – come tutti gli anni nell’ultima settimana di maggio – nella 76ª assemblea generale della Conferenza episcopale italiana.
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Nel 1916 don Giovanni Baloire, giovane prete torinese e cappellano militare in Sanità, è mandato all’ospedale militare in corso Orbassano a Torino e vede da vicino il nuovo quartiere in espansione. Dopo la Grande Guerra, nel 1919 è viceparroco a San Secondo a Torino, dove è florida la devozione a Rita Lotti da Cascia, proclamata santa da Leone XIII nel 1900. Don Baloire insiste per costruire e intitolare un santuario a Santa Rita in Barriera di Orbassano perché le parrocchie della Crocetta, del Lingotto e di Pozzo Strada sono troppo lontane e insufficienti. Con l’appoggio di mons. Giovanni Battista Pinardi, vescovo-parroco di San Secondo, e il sostanzioso aiuto dei devoti di Santa Rita, si arriva al progetto approvato nel 1925 dall’arcivescovo Giuseppe Gamba.
Nato a Rivoli il 17 giugno 1885, frequenta i seminari di Giaveno, Chieri e Metropolitano di Torino dove nel 1908 consegue la laurea in Teologia. Il cardinale arcivescovo di Torino Agostino Richelmy lo ordina prete dallo stesso anno. Frequenta per un biennio il Convitto della Consolata; poi si laurea anche in «Utroque» (Diritto civile e Diritto ecclesiastico). Viceparroco a Savigliano, poi a Carignano, approda a San Secondo e, notando la devozione a Santa Rita nel suo altare nella chiesa parrocchiale, fonda la «Compagnia di Santa Rita» e il bollettino «Gli esempi e le grazie di Santa Rita da Cascia»: i devoti diventano la fonte dei fondi necessari per costruire la chiesa-santuario.
Il 17 luglio 1926 don Baloire firma il contratto con il Municipio: acquista circa 5 mila metri quadrati, pagabili in cinque anni, senza interessi. «Le mie disponibilità erano assai limitate: i debiti e gli interessi, finché potevo, li volevo evitare». Con un secondo e un terzo contratto porta il terreno a 10 mila metri quadrati. Il prof. Don Giuseppe Tuninetti informa: «Trovò un generoso architetto nel coadiutore salesiano Giulio Valotti, progettista di innumerevoli chiese, collegi e case salesiane, che prestò il lavoro gratuitamente». Il cardinale arcivescovo Giuseppe Gamba erige la parrocchia e il 22 maggio 1928 nomina don Baloire parroco. La chiesa fu finita nel 1931. Don Giovanni Baloire – annota Tuninetti – «era molto amato ma anche invidiato, accusato e calunniato. Un quotidiano torinese intitolò: “Il parroco di Santa Rita è fuggito da Torino con la cassa”». Notizia totalmente falsa.
Solo l’11 maggio 1957 il cardinale arcivescovo Maurilio Fossati consacra al culto il nuovo santuario e l’altare maggiore finalmente ultimato. Sostanzialmente occorrono più di vent’anni per completare il santuario in tutti i dettagli. La dedicazione è preceduta da una vigilia di preghiera durante la quale il cardinale Fossati colloca le reliquie nel cosiddetto «sepolcreto» dell’altare maggiore: le reliquie dei santi martiri Chiara e Desiderio, davanti alle quali l’arcivescovo e i sacerdoti vegliano in preghiera con una folla di fedeli tutta la notte.
L’11 maggio alle 7 il cardinale arcivescovo inizia la lunga e complessa cerimonia di dedicazione al culto procedendo – come da rituale – dall’estero all’interno: benedizioni, unzioni e litanie dei santi e Messa celebrata dall’arcivescovo. Mons. Baloire muore a 76 anni il 25 dicembre, la sera del Natale 1961 e riposa nel suo santuario. Nel 1955-74 sul vastissimo territorio di Santa Rita sorgono 8 nuove parrocchie: Ascensione, Santissimo Nome di Maria, Sant’Ignazio, La Pentecoste, Gesù Redentore, Maria Madre della Chiesa, Maria Madre di misericordia, Natale del Signore.
Perché un «panegirico» in onore dei santi?, si chiese il cardinale Michele Pellegrino, arcivescovo di Torino (1965-1977) il 22 maggio 1975 alla la festa di Santa Rita, ritornando in sacrestia dopo la celebrazione della Messa in santuario. Il cardinale, molto colpito dalla devozione di tanti fedeli, raccolse le cinque omelie pronunciate sempre in quell’occasione dal 1971 al 1975 in un opuscolo dal titolo «Il culto dei Santi. Attualità di Santa Rita da Cascia» (Elledici, 1975).
Il cardinale spiega il motivo: «Il culto di Santa Rita da Cascia, anche se risente, come tutte le devozioni, il contraccolpo della secolarizzazione, continua ad attirare ed entusiasmare folle di fedeli: anche il nostro santuario ne è testimone. Con quale spirito i devoti si avvicinano a Santa Rita? La risposta non è facile né identica per tutti. Che alcuni abbiano urgente bisogno di essere aiutati a capire il senso vero del culto dei Santi, purificandolo da facili contaminazioni superstiziose, è abbastanza evidente. È poi altrettanto evidente che il culto dei Santi possa essere un valido alimento della vita cristiana e che, in particolare, la figura di Santa Rita presenta degli aspetti singolarmente attuali anche per il cristiano d’oggi. Che cosa hanno fatto i Santi se non mettere in pratica la Parola di Dio, non limitandosi a esserne ascoltatori smemorati?».
Prosegue Pellegrino: «In questo santuario passano, e vengono anche da lontano, non meno di diecimila persone per la festa. E perché io, vescovo, che ho come principale missione il servizio della Parola di Dio sto al di fuori di questa gente, non ne approfitto per prendere contatto, per portar loro una parola evangelica? Allora ho accettato di andare e ho continuato perché mi sono accorto che c’è modo di purificare certe usanze, di correggere certe mentalità». In sostanza Pellegrino difende la religiosità popolare «perché bisogna cercare di scoprire gli elementi validi». È quanto sostiene in un corso del 1979 all’Università di Ginevra sulla «Religiosità popolare».