«A Forlì è stata proclamata beata Benedetta Bianchi Porro, morta nel 1964 a 28 anni. Tutta la sua vita è stata segnata dalla malattia e il Signore le ha dato la grazia di sopportarla, anzi di trasformarla in testimonianza luminosa di fede e di amore». Papa Francesco all’Angelus di domenica 15 settembre 2019 ricorda la beata italiana e padre Riccardo Henkes, sacerdote pallottino, beatificato il 15 settembre a Limburg in Germania, «ucciso in odio alla fede a Dachau nel 1945. L’esempio di questi due coraggiosi discepoli di Cristo sostenga anche il nostro cammino di santità».
Benedetta è una bella una ragazza, graziosa e fine. Frequenta Medicina alla Statale di Milano (1953-59). Veste con cura e si concede alcune civetterie come tutte le ragazze: le piacciono molto gli orecchini, ne ha di tutte le fogge e li cambia sovente. Ha un bel viso ovale incorniciato da capelli scuri, occhi grandi e curiosi. Quando le rivolgono la parola, abbassa gli occhi con imbarazzo, accenna un sorriso e tace. Tutti pensano che sia molto timida. Lei si sente ridicola e vuole nascondere il suo penoso segreto: è quasi completamente sorda. Ma è difficile fingere, soprattutto nelle esercitazioni di laboratorio. Fa scena muta quando l’ assistente le rivolge la parola: china sul microscopio, non risponde. Qualcuno scrive su un foglietto la domanda. La verità poi viene a galla. C’è chi non concepisce come una, nelle sue condizioni, voglia diventare medico. Annota sul diario: «Sono tanto triste se penso che non riuscirò a resistere tutta la vita così sorda: un rimedio, qualunque sia, bisogna che lo trovi e al più presto».
Appena nata l’8 agosto 1936 a Dovàdola (Forlì) è colpita da emorragia. La malattia la costringe a interrompere gli studi. Nell’Anno Santa 1950 è pellegrina a Roma e ad Assisi; nel 1958 va da padre Pio a San Giovanni Rotondo; nel 1962 e nel 1963prega a Lourdes. Le sofferenze cominciano dalla nascita: nel novembre 1936 è colpita da poliomielite. Busto ortopedico per evitare malformazioni alla schiena (1949); intervento correttivo al piede (1951); sordità (1952) con infruttuose sedute psicoterapeutiche (1955-56); intervento per accorciare il femore sinistro (1955); neurofibromatosi diffusa o morbo di Recklinghausen (1957), malattia del sistema nervoso che provoca la paralisi totale. Altri ricoveri e operazioni: asportazione di un neurinoma dell’acustico, con successive complicanze; plastica facciale e intervento di anastomosi spino-facciale sinistra (1957); vertigini e difficoltà di deambulazione (1958); paresi agli arti inferiori e intervento di laminectomia con paresi totale degli arti inferiori e paralisi dello sfintere vescicale (1959); ascessi multipli ed estrazioni dentarie (1962); perdita visiva bilaterale; intervento di deviazione ventricolo-cava superiore; cecità completa (1963). Muore il 23 gennaio 1964 a 28 anni nella casa di famiglia a Sirmione, provincia di Brescia e diocesi di Verona.
Benedetta è un esempio di come si possa amare Dio e l’uomo vivendo – scrive nel suo diario – «giornate eternamente lunghe e buie, ma pur dolci di un’attesa infinitamente più grande del dolore, quella del Signore. Nel mio calvario non sono disperata. Io so che in fondo alla via Gesù mi aspetta». La fede le apre il cuore allo stupore per le meraviglie di Dio anche nell’abisso della malattia e della notte interiore. Lo scrittore miscredente e comunista Ignazio Silone confida: «Dinanzi a Benedetta si può solo tacere e adorare». Per il cardinale arcivescovo di Milano Carlo Maria Martini, Benedetta «concilia in sé la croce e la gioia: le vive, sono a lei familiari, dimostrazione che possono stare fecondamente insieme. È una proposta preziosa in questa nostra cultura dell’io, dell’efficienza, dello stare bene».
Le sue lettere arrivano nelle carceri e negli ospedali, tra i disperati e i drogati. La sua biografia è scritta in molte lingue: hindi e marathi (in India), boemo, giapponese, arabo, esperanto, in Braille per i ciechi. Il cardinale Giovanni Angelo Becciu, prefetto della Congregazione dei santi, la proclama beata a Forlì il 14 settembre 2019, festa dell’esaltazione della Croce, «la dimostrazione che Dio ci ama. La vicenda di Benedetta è incomprensibile se non è vista alla luce della fede e della Croce. Vera testimone, conferma che l’abbraccio con Cristo crocifisso è sorgente di luce, di pace e di gioia. Il suo corpo è diventato un “crocifisso vivente”: la sordità, la cecità, l’afonia, l’insensibilità, la paralisi. Accetta la malattia come vocazione e apostolato». Da dove trae la forza? «Dall’Eucaristia, nutrimento spirituale indispensabile: desiderava la Comunione ogni giorno, come ogni giorno aveva bisogno dell’alimento materiale. Dal Pane e dalla Croce traeva pienezza di luce e serenità».
Prima di morire scrive a Natalino, ragazzo sconosciuto che in una lettera al direttore di «Epoca», il carmagnolese Domenico Agasso senior, aveva sfogato la sua disperazione: «Caro Natalino, anch’io come te ho 26 anni, sono sorda e cieca. Fra poco non sarò più che un nome. Ma il mio spirito vivrà. Natalino, non sentirti solo. Mai. Procedi serenamente lungo il cammino del tempo e riceverai luce e verità. Le mie giornate sono dure ma dolci perché Gesù è con me. Ti abbraccio, tua sorella in Cristo». «Siate nella gioia» è il titolo dei suoi scritti pubblicati nel 1968 da padre David Maria Turoldo.