«La solidarietà non si ferma ai cancelli. La Chiesa torinese intende continuare l’impegno per i lavoratori più colpiti. Dobbiamo operare perché queste cose non accadano più». Nel 1980, quarant’anni fa, il cardinale arcivescovo di Torino Anastasio Alberto Ballestrero stimola la diocesi a un pieno coinvolgimento nello scontro Fiat-sindacati e nella «marcia dei quarantamila». Anche se sul piano concreto non può fare molto, la Chiesa non rimane neutrale; si schiera con i più deboli, i lavoratori; proclama il diritto al lavoro e la dignità dell’uomo in fabbrica.
LA CRISI FIAT NEGLI ANNI SETTANTA-OTTANTA – Il terrorismo rosso semina le strade di morti. Lo stragismo neofascista imperversa e quell’anno, il 2 agosto 1980, compie la strage più nefanda alla stazione di Bologna. La mafia uccide e non si trovavano i colpevoli. In Italia la politica industriale è alla frutta, per colpa di industriali, lavoratori, sindacalisti, politici. Il sindacato vive ancora sui fasti dell’«autunno caldo» 1969. Le ricorrenti crisi petrolifere – dalla «guerra del Yom Kippur» di Egitto e Siria contro Israele dell’ottobre 1973 – mettono in ginocchio l’industria automobilistica: in un giorno il prezzo del petrolio quadruplica; quando i governi non sanno cosa fare, rincarano le tasse sulla benzina. Irrompe la concorrenza giapponese. La Fiat soffre di più degli altri: troppo grande per l’Italia, troppo piccola in Europa, inesistente nel mondo. Servono nuovi modelli che consumino poco e massicci investimenti, ma la Fiat non ha soldi e le banche non li scuciono; bisogna recuperare produttività ma i grandi stabilimenti sono ingovernabili; la manodopera è troppa per le auto che si vendono.
«SI ALLONTANI LO SPETTRO DELLA DISOCCUPAZIONE» – Già in estate, intervenendo al «Quarto colloquio sulla parrocchia» (3-8 agosto 1980) a «Casalpina» di Pragelato (Torino) l’arcivescovo di Milano Carlo Maria Martini afferma: «Le Chiese locali devono prepararsi a un impegno di grande solidarietà e di grande attenzione per aiutare le comunità ad affrontare e superare la crisi economica, la recessione, i licenziamenti e la cassa integrazione per migliaia e migliaia di lavoratori». Il 12 settembre Ballestrero, impegnato a Roma con la Conferenza episcopale di cui è presidente, in una «dichiarazione» esorta a superare la grave congiuntura: «Si allontani dalle famiglie lo spettro della disoccupazione e dei licenziamenti. Ho seguito con ansia, fin dal primo manifestarsi, la gravissima crisi che tocca direttamente un largo settore del mondo del lavoro torinese e piemontese e molte altre persone, famiglie e situazioni. Credo mio dovere di pastore intervenire. La sicurezza del posto di lavoro e lo sviluppo industriale sono fenomeni interdipendenti, da qui la necessità che la ricerca di soluzioni non drammatiche, come i licenziamenti, avvenga nel dialogo paziente e nel confronto fiducioso fra tutte le forze interessate». Il Consiglio Presbiteriale e il Consiglio Pastorale di Torino e la Conferenza episcopale piemontese all’unanimità chiedono: «Assicurare il lavoro a tutti è l’obiettivo irrinunciabile di ogni sistema sociale». In un editoriale su «La Voce del Popolo» il direttore e vicario generale Franco Peradotto indica «che cosa possono fare i cristiani nella grave crisi del lavoro: nessuno si sottragga alle proprie responsabilità; non privare le persone del posto di lavoro; scegliere la solidarietà anche quando intacca privilegi e sicurezze, a vantaggio di tutti; preferire la trattativa allo scontro, il ragionamento alla violenza; superare i sospetti reciproci; vivere uno stile di verità».
«IL LAVORO NON SIA MAI A SCAPITO DELL’UOMO» –Si ricordano le parole di Giovanni Paolo II nella visita del 13 aprile 1980: «Il lavoro esalta e celebra le capacità dell’uomo; non sia mai a scapito dell’uomo; non disgreghi la famiglia; non degradi la gioventù; non faccia dimenticare i poveri e i sofferenti; non narcotizzi le facoltà umane; non le abbruttisca nell’odio». Alla parrocchia Redentore un’assemblea della zona pastorale sostiene «la scelta della classe operaia, la necessità della solidarietà concreta e dell’autocritica operaia sulla lotta all’assenteismo». L’11 ottobre, alla vigilia della «marcia dei 40 mila», secondo intervento di Ballestrero: «Il costo umano è già troppo elevato. Dopo le gravissime tensioni delle passate giornate, quando è sembrato che il conflitto sociale giungesse a limiti drammatici, sento il dovere di sottolineare l’assoluta urgenza che la buona volontà di tutti si impegni a ogni costo nel cercare soluzioni rapide e possibili per una situazione che si prolunga da troppo tempo. Torino abbia presto giorni sereni e tranquilli. Bisogna intensificare senza sosta e senza tatticismi la ricerca di soluzioni. Non si guardi soltanto ai privati interessi». A Maria Ausiliatrice 2 mila malati pregano «mentre si attende una schiarita».
LA CHIESA IN UNA SOCIETÀ INDUSTRIALE AVANZATA – Dopo la «marcia dei 40 mila», il 17 ottobre sera l’arcivescovo celebra Messa nella parrocchia Redentore a due passi da Mirafiori: «La sofferta e dura esperienza che abbiamo vissuto provochi in tutti una seria riflessione su che cosa dobbiamo fare perché siano evitate alla nostra città altre traumatiche vicende e perché torni serenità nel mondo del lavoro». L’auspicio è unanime: «Da questi avvenimenti una lezione per la società. L’egoismo individuale reca con sé frutti amari e velenosi». Partecipano i preti operai: dovrebbero intervenire al microfono il prete operaio Armando Pomatto e l’operaio delle Carrozzerie Giovanni Ferricchio. Ma non hanno la parola.
UN MODELLO ALTERNATIVO DI SVILUPPO – Il 26 ottobre dal dibattito organizzato dalle Acli e dall’Azione Cattolica emerge la constatazione che: «la vicenda Fiat sottolinea l’urgenza di un alternativo modello di sviluppo». Molti gli interventi di singoli e gruppi e numerosi trovano ospitalità e sul giornale diocesano: «Come viviamo da cattolici il rapporto con il sindacato?»; «La Chiesa in una società industriale avanzata»; «Impresa e lavoro dopo la vertenza Fiat. Valori riemergenti»; comunicati e volantini delle Acli e del Movimento cristiano lavoratori «L’impegno dei credenti a fianco dei lavoratori Fiat»; «Lettera aperta a Giovanni Agnelli» del Sermig, firmata da Ernesto Olivero; assemblee della Gioventù operaia cristiana. Anche una garbata critica del sottoscritto: al sociologo Giuseppe De Rita – che sul «Corriere della Sera» (16 ottobre) scrive che la Chiesa torinese «prende emotiva posizione per i “duri polacchi ai cancelli”» – spiego «Che cosa ha detto la Chiesa torinese» («Avvenire» 18 ottobre). La vicenda Fiat si conclude con la sconfitta del sindacato. Il Consiglio Pastorale annota: «I primi a essere travolti sono sempre i più deboli: chi ha contratto un’invalidità sul lavoro, i meno specializzati, gli immigrati. Bisogna animare tutti alla speranza, alla solidarietà nella difesa del posto di lavoro».