La Resistenza di Torino

25 aprile/1 – I combattimenti sono aspri, anche se scarseggiano le armi e i partigiani, in ritardo, entrano a Torino il 27 aprile, due giorni dopo l’insurrezione di Milano il 25. I tedeschi se ne vanno nella notte del 27-28 ma il 30 compiono un’orribile strage: a Grugliasco massacrano 67 persone, tra le quali il sacerdote salesiano Mario Caustico, cappellano partigiano

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«Con ardita determinazione» il Comitato piemontese di Liberazione nazionale 75 anni fa, il 16 aprile 1945, lancia ai torinesi l’appello per lo sciopero generale del 18: «Aderite in massa contro la fame e il terrore nazifascista: si fermi il lavoro nelle fabbriche, nei tribunali, nelle scuole; chiudano i negozi; si blocchi la circolazione tranviaria. Il segnale è la sirena della prova d’allarme». Alle 10 il tram «14» tra via XX Settembre e corso Vittorio Emanuele II si blocca, il tranviere incrocia le braccia: «Scendete, inizia lo sciopero contro la fame e il terrore». Volontari fascisti si sostituiscono ai tranvieri: uno, particolarmente imbranato, fa deragliare e capovolgere un mezzo.

Il 18 APRILE 1945 LO SCIOPERO GENERALE – La città è invasa da volantini; sui muri spuntano scritte: «Viva l’esercito rosso, Viva Stalin, Arrendersi o perire», molte con falce e martello; in una cella delle carceri Nuove ci sono grandi scritte: «Spero in Dio. Santa Rita, liberateci». Gli Alleati guardano Torino con sospetto: temono che l’insurrezione si trasformi in una rivoluzione comunista. Il comando di piazza ordina: «I criminali di guerra e i collaborazionisti sono deferiti al Tribunale di guerra; fascisti e tedeschi devono essere catturati e avviati ai campi di concentramento; qualsiasi saccheggio e uso di armi è represso con la pena di morte». Lo sciopero si diffonde a macchia d’olio: scuole e fabbriche, negozi e uffici, trasporti, comizi e cortei nelle barriere operaie. Davanti a Fiat-Mirafiori i tedeschi schierano i carri armati, i fascisti invadono la Grandi Motori.

I PARTIGIANI LIBERANO TORINO, I TEDESCHI SE NE VANNO – I combattimenti sono aspri, anche se scarseggiano le armi e i partigiani, in ritardo, entrano a Torino il 27 aprile, due giorni dopo l’insurrezione di Milano il 25. I 75 mila uomini del generale Ernest Schlemmer – che minaccia: «Se ci attaccano, farò di Torino un’altra Varsavia» – attendono la ritirata. Gli occupanti sono in grandi difficoltà: i fascisti propongono il passaggio dei poteri; i nazisti, tramite la Curia arcivescovile, chiedono di transitare liberamente per 48 ore: in cambio promettono di non bombardare. Niente da fare: il Cln regionale, «delegato del legittimo governo italiano e rappresentante del popolo piemontese», respinge le richieste e assume tutti i poteri. È formato da: Franco Antonicelli, presidente (Partito liberale), Paolo Greco (liberale), Andrea Guglielminetti (Democrazia cristiana), Eugenio Libois (Dc), Mario Andreis (Partito d’azione), Sandro Galante Garrone (azionista), Rodolfo Morandi (Partito socialista), Giorgio Montalenti (socialista), Giorgio Amendola (Partito comunista), Amedeo Ugolini (comunista).

STRAGE A GRUGLIACO: TRA LE 67 VITTIME DON CAUSTICO – Respinta una nuova richiesta di transito, i tedeschi se ne vanno nella notte del 27-28 ma il 30 compiono un’orribile strage, una delle ultime in Italia: a Grugliasco massacrano 67 persone, tra le quali il sacerdote salesiano Mario Caustico, cappellano partigiano. Il quotidiano cattolico «Il Popolo nuovo» il 28 aprile annuncia: «Torino è libera» con l’editoriale «Il grande evento» del direttore Gioacchino Quarello. Il 30 aprile al cimitero generale funerali celebrati dal cardinale arcivescovo Maurilio Fossati «dei gloriosi partigiani e dei patrioti caduti eroicamente per la liberazione della nostra Torino». Gli Alleati entrano il 3 maggio, e con esse le AM-lire e il Governo militare alleato: i primi sono i soldati della Forca Expedicionaria Brasileira della V Armata. Sono trascorsi 20 mesi dall’armistizio dell’8 settembre 1943 e dal terribile 10 settembre: alle 16.30 una colonna tedesca di 110 autocarri blindati con mitragliatrici e 5 carri armati entra in Torino; gli italiani ab­bandonano uffici, caserme, materiali; due squadroni di cavalleria abbandona­no anche i cavalli che si spargono per la città. Scrive il prefetto Vincenzo Ciotola: «La popolazione è indignata dello spettacolo di disordine e di paura offerto dalle truppe. Presi contatto con il comando germanico: le richieste tedesche finora non sono esorbitanti e la situazione non è grave. Le reazioni sono contenute e non hanno dato luogo che a esecuzioni isolate. C’è un senso di panico e di ondeggiamento generale, la popolazione è allarmatissima».

MESSA IN PIAZZA VITTORIO DAVANTI AI PARTIGIANI SCHIERATI – Il 5 maggio 1945 il sindaco comunista Giovanni Roveda annuncia: «La guerra contro l’invasore tedesco e i traditori fascisti è terminata». Domenica 6 maggio in piazza Vittorio Veneto ai Volontari della libertà è consegnata la bandiera di combattimento, «simbolo di 20 mesi di lotta e di inenarrabili sacrifici, per la quale hanno combattuto quelli che hanno posto fine al nostro servaggio e alle nostre sciagure, per la quale sono caduti i nostri migliori». Invitato dal Cln, Fossati celebra Messa davanti ai partigiani schierati. L’8 luglio, alla prima commemorazione dei Martiri del Martinetto, accorrono 100 mila torinesi. Fossati celebra la Messa nel luogo in cui venivano giustiziati i condannati politici: «Per noi tutti i Caduti sono sacri, ma queste vittime lo sono doppiamente perché sono morte per la Patria». Durante la guerra nelle lettere pastorali il cardinale analizza la situazione. Nel 1942 parla di «progressiva scristianizzazione e forte anemia religiosa alla base della situazione». Nel 1943 indica «le nostre responsabilità: la festa profanata, la bestemmia, il cinema, la moda, i guadagni illeciti».

IL CARDINALE FOSSATI CONDANNA LE RAPPRESAGLIE – Nel 1944 l’arcivescovo osserva: «Succede che degli innocenti scontino con la vita o nei beni le colpe altrui, e chi ne soffre è la collettività, che paga duramente l’atto inconsulto di un individuo, che si nasconde e non ne ricava il più piccolo vantaggio né per sé né per gli altri». Nel 1945 richiama «il dovere della carità di fronte a una società infettata dall’odio e dalla vendetta, Dobbiamo amare il prossimo perché Dio ama gli uomini e ce lo comanda, perché siamo membri del corpo mistico. La presente lettera sia letta ai fedeli in una funzione festiva di maggior concorso e i parroci insistano sul dovere di abbandonare ogni proposito di vendetta o rappresaglia onde non aggravare le già tristi condizioni: è necessario un pronto ritorno all’ordine e all’osservanza della legge divina per affrettare la pace e la concordia tra cittadini». Il 13 maggio rientrano le reliquie dei santi che all’inizio della guerra erano state riparate in chiese di campagna: i martiri della Legione Tebea, Giovanni Bosco, Giuseppe Benedetto Cottolengo, Giuseppe Cafasso, Maria Domenica Mazzarello, Domenico Savio. Il 31 ottobre la Sindone ritorna dall’abbazia benedettina di Montevergine in Campania. Il 18 maggio è ripristinato il servizio postale, il 19 le comunicazioni ferroviarie: il primo treno per Roma (25 agosto) impiega 32 ore.

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