Nel novembre del 1821, giusti duecento anni or sono, iniziò a circolare, prima a Parigi e poi negli stati europei più liberali, un libro di un autore anonimo, scritto in francese ed intitolato De la Révolution Piémontaise. Nelle prime pagine, il suo sconosciuto autore afferma di scrivere «in una lingua straniera, perché è importante per il bene del mio paese che gli stranieri mi leggano». La prima traduzione in italiano (La rivoluzione piemontese nel 1821) fu fatta solo nel 1849, quando la parabola regale ed umana di Carlo Alberto (protagonista in negativo dell’opera, in quanto allora reggente inadatto a gestire la grave situazione creatasi nel ‘21) si era ormai compiuta, con la sua abdicazione prima e con la sua morte poi, entrambe accadute nel ‘49, dopo la sconfitta dei Piemontesi nella prima guerra d’indipendenza italiana contro l’Austria, ancora una volta nella “brumal Novara”, città che aveva già visto concludersi l’insurrezione del 1821.
Il saggio racconta le vicende collegate ai moti liberali piemontesi che si svolsero nei primi mesi di quell’anno. Fu la “rivoluzione” che ottenne la concessione della prima Costituzione del Regno di Sardegna, che comprendeva anche Piemonte, Liguria, Valle d’Aosta, il Nizzardo e la Savoia. Ma il regime liberale durò molto poco e lo stato assoluto sabaudo fu presto ripristinato grazie agli Austriaci, che di fatto controllavano tutta l’Italia. Il nuovo re Carlo Felice (Carlo “Feroce”, così chiamato dai suoi detrattori per la sua durezza) avviò una spietata repressione, che comportò l’esilio dei principali protagonisti dell’insurrezione: la “meglio gioventù” di quell’epoca.
La scelta della pubblicazione in forma anonima è spiegata dalla situazione del suo autore, che era uno dei rivoltosi condannati a morte in contumacia, con il rischio della confisca dei suoi beni in Piemonte, che erano le risorse necessarie al mantenimento della sua famiglia che ancora là si trovava. La stesura del saggio fu da lui ritenuta indispensabile, in quanto doveva esprimere il suo punto di vista, per difendersi dalle critiche e dalle calunnie che circolavano sull’operato dei patrioti che avevano guidato i Moti. Il volume fu un vero e proprio successo letterario e contribuì ad accrescere la fama dell’ignoto scrittore (che fu subito individuato): positivamente tra i liberali europei e ancora più negativamente negli ambienti reazionari.
Per chi volesse saperne di più, consigliamo la mostra: Che mai sarà per noi il 1821? I moti per la libertà nell’Europa di Santa Rosa, che si tiene a Savigliano, Palazzo Muratori Cravetta, fino al 30 gennaio 2022 (aperta il sabato e la domenica dalle 10 alle 18.30 e nei giorni feriali per gruppi e scuole su prenotazione).
Nota del redattore: la citazione di “Santa Rosa” nel titolo della mostra non si riferisce alla santa peruviana, che visse a Lima tra la fine del 1500 e l’inizio del 1600, ma al patriota Santorre di Santa Rosa, di fatto il capo dei Moti del ‘21, che fu anche l’anonimo autore del libro ricordato.