La Sindone e le sofferenze nel mondo del lavoro

4 maggio – La Messa nella festa liturgica della Sindone, come lo scorso anno, è stata celebrata da mons. Cesare Nosiglia nella Cappella del Guarini: “la ricorrenza di oggi ci sollecita, oltre che a tanti altri aspetti importanti della vita, anche a quello del lavoro che non è certo secondario”

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Pensando alla «festa del lavoro» il Primo Maggio, riflettevo che il primo incontro di Papa Francesco con la gente di Torino il 21 giugno del 2015 è stato quello con i «mondi» del lavoro, al mattino in Piazzetta Reale, prima di venire a venerare la Sindone. Così ho messo insieme Sindone e lavoro, come capita a volte ai pensieri in libertà. E ho pensato una cosa che mai mi era venuta in mente – non pretendo di essere originale, anzi! – E cioè che le piaghe e le ferite visibili sull’Uomo della Sindone sono state inferte da persone che obbedivano ad ordini ricevuti, facevano il loro mestiere. Erano pagati per quel dolore, per dare morte. E i miei pensieri immediatamente sono stati travolti dalle immagini terribili di come, tante volte, e in ogni tempo della storia, il «lavoro» sia stato e sia tuttora non solo dignità, creatività, libertà: ma piuttosto ingiustizia, dolore, malvagità… Da chi  in nome del padrone di turno torturava e uccideva come avviene anche oggi in diverse parti del mondo, fino ai bambini o alle donne in tanti Paesi, costretti allo sfruttamento in condizioni disumane.

Il lavoro come strumento di ingiustizia e di morte; il lavoro come opportunità di dignità e di libertà per ogni persona. In questa dialettica sempre drammatica si giocano il nostro impegno per la giustizia sociale, e dunque la nostra testimonianza di cristiani per «promuovere» il lavoro alla sua vera realtà: quella di essere, per ognuno, l’occasione di «continuare la creazione» – di rendere il mondo più bello e più giusto. Promuovere la dignità delle persone significa riconoscere in ciascuno di essi – in ciascuno di noi – l’immagine di Dio, il suo comandamento di «amare il prossimo come noi stessi».

Mi sembra così di capire meglio il grande dono dei nostri cosiddetti «santi sociali», da don Bosco al Cottolengo e al Murialdo: loro compresero che, nella realtà del loro tempo, il lavoro (anche in condizioni difficili, di disuguaglianza, di sfruttamento) rappresentava l’unica vera via d’uscita da una condizione ancora più disperata. Ricordiamo  come  il  primo contratto  per i giovani  che  erano obbligati a lavorare tutto il giorno e ogni giorno con un salario minino e  sfruttati anche a una giovane età, è stato quello di san Giovanni Bosco che ha  voluto  così dare ai suoi ragazzi una prospettiva di lavoro quale via di libertà e di educazione.

Non è casuale che proprio  questi santi sociali abbiano voluto impiantare le loro opere attraverso i servizi della scuola. Scuola di base, scuola professionale, che diventava, per alcuni, anche occasione per scoprire «vocazioni» più profonde, come la consacrazione totale della propria vita al Signore.

Anche per questo e  anche a noi, oggi, tocca «investire» tutto quanto possiamo, le nostre risorse migliori, sui giovani e sulla loro formazione e il lavoro. Per cui lo stesso welfare non può limitarsi a distribuire sussidi e beni pure necessari ma a sostenere e accompagnare ogni persona perché trovi un percorso  lavorativo che ne garantisca la libertà e la speranza nel futuro. Il lavoro di oggi, ambiguo e precario, sovente irraggiungibile per tanti giovani e adulti, continua a rimanere un segno di contraddizione, per una società che si vorrebbe sempre più ricca di beni, di tempo, di libertà individuali e che poi si scopre sempre meno capace di fornire quelle altre cose essenziali che sono l’equità, la dignità, la solidarietà. Anche per  tutto questo la Sindone, è sempre stata ed è ancora per me e per moltissimi lavoratori, il segno di una speranza e di un amore più grande di cui c’è bisogno per rendere il mondo del lavoro  più umano e giusto  come  vorremmo che fosse.

La festa di oggi che ci vede ancora insieme a celebrare la Sindone mi sollecita oltre che a tanti altri aspetti importanti della vita anche a questo del lavoro che non è certo secondario. Contemplare la Sindone, e celebrarla come facciamo noi oggi  riveste un valore che  fa sì che tutta la vita assuma  lo stesso  dono di amore che la sindone offre ad ogni persona. Sì l’amore più grande che la Sindone ci rivela è la misura e l’accoglienza nel vissuto concreto di ogni giorno della vera libertà che il lavoro offre a quanti possono averlo e ne facciano occasione di dignità e strumento di realizzazione di se stessi e di pace.

+ Cesare NOSIGLIA 

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