La trincea delle fabbriche chiuse dal Coronavirus

Intervista – Dario Gallina, presidente degli industriali torinesi, spiega la gravissima emergenza delle aziende costrette a interrompere la produzione per la pandemia. E incalza il Governo: «servono aiuti molto più consistenti»

1469

«In questo momento  dobbiamo concentrarci sul riavvio delle aziende: la ripresa non potrà avvenire in fretta poiché la crisi precedente l’emergenza coronavirus  ha reso il nostro Paese asfittico. Ora dobbiamo tornare a galla. Auspico che la riapertura possa essere possibile nella prima quindicina di aprile perché altrimenti sarà molto difficile tornare a galla». Non nasconde preoccupazione Dario Gallina, presidente dell’Unione Industriale di Torino, l’associazione a cui aderiscono 2.300 imprese piccole, medie e grandi, con circa 150 mila addetti.  L’abbiamo raggiunto telefonicamente tra conference e video  call  con cui sta coordinando, insieme alle attività della propria azienda, l’emergenza sanitaria, produttiva ed occupazionale  del sistema industriale torinese.

Dario Gallina, presidente dell’Unione industriale di Torino

Presidente, qual è il reale impatto del coronavirus sulle aziende del nostro territorio?

L’impatto è sicuramente forte: registriamo da un paio di settimane l’impennata delle procedure di cassaintegrazione, il termometro che noi abbiamo in presa diretta sulla salute delle nostre imprese: attualmente (martedì 30 marzo, ndr) abbiamo ricevuto 569 pratiche da aziende di Torino e Provincia (333 imprese metalmeccaniche e 236 di altri settori per un totale di 46 mila addetti, di  cui 32 mila metalmeccanici e 14 mila di altri comparti):  il 90% è in cig ordinaria, il resto usufruisce del fondo di integrazione salariale. Siamo di fronte ad una crescita esponenziale dell’arresto produttivo, di  mancato fatturato e reddito delle aziende che in questo momento sono ferme. Stanno lavorando bene, ovviamente, solo le imprese alimentari e quelle del settore farmaceutico. Il Piemonte e la nostra Provincia soffriva già per  una situazione di grande debolezza nell’automotive: ci preoccupa non tanto la fermata attuale delle aziende, quanto la mancanza di domanda che ci si aspetta nelle prossime settimane. Qualora anche le attività commerciali ripartissero, ci attendiamo in questo settore un calo di oltre il 50% e del 70-80% nel comparto dei beni durevoli come le automobili.

Cosa prevedete?

Ci sarà un forte calo dei consumi e dei fatturati che innescherà una catena di problemi di liquidità per cui sarà difficile far fronte non solo agli stipendi: in questi giorni, per fortuna, si è sbloccata la procedura di cig per le aziende sotto i cinque dipendenti che riguarda circa 166 mila lavoratori.  Ci sarà anche il nodo, oltre al sostegno al reddito, del sostegno alle attività di impresa che devono far fronte a pagamenti per mantenere i flussi produttivi: ci sono costi fissi che non possono essere rinviati  ma che devono essere sostenuti con risorse che non sono state prodotte nell’ultimo mese. In una parola: non entrano soldi ma ne devono uscire per saldare l’ordinario e temiamo un effetto a catena. Noi auspichiamo che gli imprenditori che possono far fronte ai pagamenti lo facciano e non si lascino prendere dal panico con eccesso di prudenza. La speranza è che si comportino così anche le grandi aziende per non danneggiare  le filiere perché, se i capi filiera pagano, permetteranno anche ai fornitori a monte di pagare a loro volta.

Prima dell’emergenza coronavirus Torino era in cima alle provincie più cassaintegrate di Italia. Il decreto «Cura Italia» aggiunge un serbatoio di nove settimane di cassa integrazione per le aziende industriali che già avevano accesso agli ammortizzatori. Sono provvedimenti sufficienti? Cosa sta facendo l’Unione Industriale per sostenere gli associati?

In questi giorni stiamo assistendo le nostre aziende per quanto riguarda le informazioni, le procedure e le scadenze fiscali che dovranno essere prorogate. Il Piemonte e Torino versavano in una situazione svigorita di disoccupazione anche se, negli ultimi anni la cig si era ridotta: se questa congiuntura  non si sblocca potremmo davvero trovarci ad affrontare difficoltà mai viste con esiti imprevedibili. È molto importante che le risorse vadano direttamente alle imprese: il mio impegno è di avviare un lavoro straordinario comune tra Unione industriale, Camera di commercio e Regione per mettere a sistema le risorse e predisporre anche un piano per il rilancio. Se non si pensa al dopo,  l’Italia rischia una recessione profonda.  Forse abbiamo l’opportunità di ripartire prima di altri Paesi ma dobbiamo cercare di mettere subito in canna le munizioni per rilanciare l’immagine del nostro territorio messo in ginocchio dal coronavirus nei settori della cultura e del turismo, asset fondamentali per la Penisola.

Molte grandi aziende hanno messo in campo misure di prevenzione e protezione rispettando il protocollo firmato tra sindacati e aziende il 14 marzo scorso.  Ma i sindacati sostengono che tante imprese non sono in grado di stare al passo…

Le aziende già prima di questo blocco più esteso si erano attrezzate: noi avevamo già firmato un protocollo d’intesa con il sindacato a livello nazionale con cui erano state definite le linee guida e le regole per lavorare con adeguati livelli di sicurezza. E dovremo continuare su questa linea ancora per molte settimane anche nel caso ci fosse la possibilità di riaprire alcune attività. Occorre che nelle aziende cresca questa consapevolezza e si faccia un grande sforzo perché i comitati di sicurezza istituiti tra sindacati e imprese riescano a far applicare davvero le misure di protezione, coinvolgendo tutti i lavoratori. Per uscire dall’emergenza molto dipende dai singoli, è necessario che cambino i comportamenti di ciascuno di noi. Certo, c’è un problema di approvvigionamento delle dotazioni di protezione: come Unione Industriale ci siamo messi in contatto con almeno cinque aziende che produrranno mascherine e faremo in  modo che arrivino alle imprese. Purtroppo le barriere burocratiche con lo sblocco delle dogane per le importazioni, nonostante gli sforzi di questi ultimi anni, non sono state ancora abbattute: i dazi, per esempio, sono stati tolti solo per le forniture ospedaliere non così per i privati. Ma senza le mascherine le aziende non possono andare avanti.

Se il Governo dovesse prorogare lo stop oltre metà aprile che impatto economico e sociale prevede? Ci sono già segnali preoccupanti di lavoratori in difficoltà: è di qualche giorno fa la notizia di un lavoratore di  Carmagnola che si è suicidato perché ha perso il lavoro a causa chiusura dell’azienda per coronavirus…

Occorre fare molta attenzione alla tenuta della società civile per non esacerbare gli animi.  Bisogna facilitare il dialogo e la collaborazione perché l’attività economica possa sostenersi: se abbattiamo il business e la produzione di reddito ne va della nostra pace sociale. Va bene quanto il Governo ha fatto inizialmente ma dal punto di vista finanziario doveva assicurare risorse straordinarie completamente diverse da quelle pensate. Deve essere sostenuto il finanziamento alle attività produttive, non solo con strumenti di liquidità e di credito, ma anche con il sostegno all’attività imprenditoriale con investimenti che dovranno comunque continuare ad essere fatti.

Cosa suggerite?

Occorrono tre bazooka di liquidità e di credito da sparare sull’industria, sul commercio e sul turismo proprio perché non possiamo permettersi che la macchina si fermi. C’è una mancanza di energia che dobbiamo sostenere con un gruppo di continuità importante da parte delle istituzioni, proporzionale alla fermata e al calo del Pil e anche al calo dell’occupazione. Questa persona che si è suicidata a Carmagnola è un segnale preoccupante: dobbiamo fare in modo che anche psicologicamente non cresca lo sconforto e mancanza di fiducia nella ripresa. E dobbiamo ringraziare coloro che ancora lavorano: grazie a loro che, vincendo la paura si recano ogni giorno sul posto di lavoro, la catena delle forniture necessarie, come alimenti e farmaci, non si è interrotta. Ringraziamo questi lavoratori, imprenditori e trasportatori che tengono la macchina accesa: dopo il personale sanitario sono le persone che hanno capito il senso di responsabilità. E dobbiamo fare in modo che questi lavoratori continuino ad avere il loro reddito e possano lavorare con le giuste dotazioni di sicurezza. Ma se le attività produttive non potranno rimanere ferme per un periodo troppo lungo, si dovranno attuare misure ancora più restrittive sulle fasce della popolazione più a rischio per permettere di gestire l’emergenza  negli ospedali al di sotto del limite di tollerabilità se no rischiamo che tutto il Paese si fermi con danni economici catastrofici. Più riduciamo il contagio nelle fasce a rischio più riusciamo a gestire la sanità per tutti.

LASCIA UN COMMENTO

Inserisci il tuo commento!
Inserisci il tuo nome