Nella pandemia la trincea delle scuole cattoliche

L’anno più difficile – Finanziamenti irrisori, costi crescenti, coronavirus… Don Angelo Zucchi racconta la «resistenza» della scuola San Giuseppe Cafasso nella periferia nord di Torino mentre numerosi istituti stanno chiudendo in tutt’Italia perché non reggono alla crisi

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La pandemia ha messo in difficoltà le scuole paritarie cattoliche: l’incertezza economica e lo scarso sostegno dello Stato ne stanno minando la sopravvivenza. Ne abbiamo parlato con don Angelo Zucchi, parroco a San Giuseppe Cafasso, in corso Grosseto, Borgo Vittoria, periferia nord di Torino, che da mesi patisce i disagi del cantiere del Passante ferroviario. Slogan della parrocchia è «Il Centro della periferia» proprio per indicare come, anche nelle zone delle città in cui si fa più fatica, una comunità cristiana può fare la differenza. Parte integrante della parrocchia è la Scuola Cafasso che l’Arcivescovo ha scelto in settembre per inaugurare l’anno scolastico 2020-21. Con i suoi 500 allievi, l’Istituto Cafasso è punto di riferimento educativo per la zona nord di Torino e non solo.

Don Angelo Zucchi

Don Angelo, come avete fatto a resistere in questo periodo in cui la crisi economica, già precedente al Covid, ha messo in ginocchio molte famiglie?

Abbiamo fatto da soli. Gli aiuti economici promessi a marzo dalla Regione per la scuola dell’Infanzia sono arrivati la settimana scorsa e sono solo la metà delle rette non pagate. Anche gli aiuti del Governo promessi durante il primo lockdown sono arrivati solo questa settimana e ci permettono di pagare a malapena i debiti che abbiamo contratto con le banche. Bisogna dire grazie alla Cei e al nostro Arcivescovo, se a settembre sono arrivate delle boccate di ossigeno alle famiglie che hanno un reddito Isee basso. Ma molti non ce la fanno più. È solo una gestione virtuosa che ci ha permesso di non chiudere la scuola. Da soli, con le nostre risorse, durante l’estate abbiamo fatto la programmazione e tutti i lavori di adeguamento che ci hanno permesso di partire il 1° settembre con tutto l’organico pronto e con un protocollo che ci permette di far entrare in scuola più di 500 bambini, senza assembramenti, con un triage completo e in soli 15 minuti. Devo ringraziare il personale, i consulenti e i volontari che hanno sperimentato i durante l’Estate Ragazzi e poi, dopo pochi giorni di vacanza, erano già operativi per la Scuola al 18 agosto.

La scuola che lei dirige è una delle pochissime che ha aumentato l’organico: alla Scuola dell’infanzia (7 sezioni) e alla Primaria (11 classi) si è aggiunta 3 anni fa una sezione delle Medie e le richieste di iscrizioni non sono mai mancate nonostante la recessione e la pandemia. Su cosa avete scommesso?

C’è una storia di appartenenza al territorio. Le famiglie vedono come lavoriamo. I figli raccontano a casa quello che vivono a scuola. C’è il passaparola. Credo che il segreto sia nel fatto che noi «siamo lì». Anche col Covid, «siamo rimasti lì». Continuiamo a essere quello che siamo sempre stati: un corpo docenti unito, una sintonia d’intenti, una vicinanza con le famiglie, un’offerta formativa (Ptof) che non è solo sulla carta… Continuiamo a fare quello che abbiamo sempre fatto: una didattica di qualità, l’insegnante madre lingua, un pc portatile per ogni alunno delle medie, la cucina «in casa» (i bambini dell’infanzia non si lamentano per la minestra scotta)… Facciamo scuola, non facciamo niente di particolare, però c’è una novità che si vede: facciamo le solite cose in modo diverso. Ma credo che anche questo non basti a spiegare l’affetto per la nostra scuola. Forse, lo dico con una battuta, bisogna proprio ipotizzare l’esistenza dello Spirito Santo…

Con oltre 900 mila studenti, le scuole paritarie sono fondamentali per il sistema integrato dell’istruzione italiana, ma ancora non siamo arrivati alla parità: le famiglie che mandano i loro figli nelle vostre scuole non hanno incentivi fiscali, i vostri insegnanti non sono equiparati a quelli statali e molte scuole faticano a mantenere in piedi le strutture. Cosa chiedete allo Stato?

Non chiediamo la carità: chiediamo la parità. Le scuole paritarie sono un modello virtuoso di gestione perché riescono a fare una scuola di qualità spendendo solo un quarto di quello che spende lo Stato. In una scuola statale, una alunno costa 4 volte di più e, spesso, manca pure la carta igienica. Questo significa che le famiglie che iscrivono i figli nella nostra scuola, pagano due volte (le tasse e la retta), e fanno risparmiare alla collettività circa 8 mila euro a bambino. La scuola Cafasso, nell’insieme, fa risparmiare allo Stato circa 4 milioni di euro all’anno. Eppure, nonostante questo, le scuole paritarie ricevono contributi dagli Enti Pubblici pari solo al 25% delle spese; il resto lo pagano le famiglie. Se solo lo Stato pagasse le nostre insegnanti come paga le proprie – lasciandoci comunque la possibilità di sceglierle, come si auspica ogni buon dirigente anche delle scuole statali – potremmo abbattere i costi della nostra scuola quasi dell’80%. Ci rimarrebbero solo i costi della gestione dei servizi e delle utenze. Questo significa che una famiglia, con meno di 40 euro al mese, sarebbe veramente libera di scegliere la scuola che desidera per il proprio figlio.

La didattica a distanza sta penalizzando gli studenti, soprattutto quelli più fragili. Come siete riusciti a tenere insieme la comunità scolastica e le famiglie in questo tempo così difficile?

Smettere di vivere per non morire: è questa l’ideologia del lockdown che vuole combattere il virus eliminando i contatti, come se il nemico fosse la persona, non la malattia. Sembra di sentire Sartre: «Gli altri sono il mio inferno». Pochi giorni fa, al telefono, una mamma mi dice: «La mia figlia più grande non dorme molto e quella più piccola mi ha detto: mamma, ho paura». La solitudine, che è la principale causa di depressione, rischia di fare più danni del virus. A ben vedere, i luoghi più protetti, più controllati, dove si rispettano le norme, sono proprio le scuole; eppure serpeggia un’ansia irragionevole che, invece di aiutare ad affrontare le difficoltà, finisce per paralizzare. Mentre ascoltiamo le notizie come bollettini di guerra, dobbiamo aiutare i nostri figli a guardare tutti i fattori della realtà: Dio non ci abbandona. Alla Cafasso cerchiamo di vivere intensamente tutta la realtà che ci è data da vivere. Per il bene dei nostri ragazzi, non possiamo permetterci che l’unico criterio sia «chiudersi in casa». Senza demordere da tutte le attenzioni dovute, dobbiamo continuare a vivere. Con ragionevole prudenza, cerchiamo di far vedere ai nostri ragazzi che ci preoccupiamo della vita, non solo della salute.

Come hanno reagito i ragazzi alle norme del distanziamento anticontagio?

Un’altra mamma mi ha raccontato: «Stavamo per uscire di corsa, un po’ in ritardo e mia figlia, 6 anni, mi dice: ‘Mamma, la mascherina…’. Per i bambini non c’è trauma se vedono noi adulti «vivere e basta». Per loro, la mascherina a scuola, fa ormai parte del corredo, come l’ombrello quando piove o il cappotto quando fa freddo. Loro ci guardano vivere e io, quando voglio riprendere a vivere, vado a giocare con loro in cortile durante la ricreazione – meno male che abbiamo anche gli spazi dell’oratorio e «tenere il distanziamento» è diventato un gioco!

Perché una famiglia, nonostante le difficoltà economiche e i pochi aiuti statali, dovrebbe investire sull’istruzione nelle scuole cattoliche?

Perché le scuole cattoliche istruiscono educando e educano istruendo. I genitori sono ormai molto sensibili al tema dell’educazione. Intuiscono che non possiamo affrontare l’emergenza educativa – e la pandemia ha fatto da detonatore – solo con le regole, le idolatrate regole… «Ci vorrebbero più regole!», si dice, ma sarebbe come mettere le porte alla campagna. Anche negli ambienti cattolici, dopo il primo lockdown è diventato palese che il muro di recinzione della Chiesa è tutto sbrecciato, sono crollate tutte le evidenze, anche quelle basate sulla ragione. Pensi, ad esempio, all’ideologia gender. Non siamo in un’epoca di cambiamenti ma in un cambiamento d’epoca, ci ricorda il Papa citando Benedetto. Non basta più lottare per leggi cristiane o invocare più finanziamenti alle scuole cattoliche e alle opere di carità. Cercare di fermare, con questi mezzi, l’esodo delle masse dalla fede cristiana, è come affrontare uno tsunami con paletta e secchiello costruendo castelli di sabbia sulla spiaggia. È venuto il tempo della persona, cioè della responsabilità individuale e, quindi, dell’educazione. Per dirla con Recalcati, occorre qualcuno che dica: «Eccomi». Quando i genitori arrivano per iscrivere il figlio da noi, se sono una famiglia cristiana, la sosteniamo nel suo compito di educazione alla fede; se sono una famiglia che non vive la fede, ricordiamo loro il motto di don Bosco: «Buoni cristiani e onesti cittadini»… Ma mi lasci dire che non c’è una cosa senza l’altra, anzi, io penso che l’educazione a una vera cittadinanza attiva e solidale passa attraverso una buona educazione cristiana.

Cosa fate per le famiglie che vorrebbero scegliere le vostre scuole ma non possono permetterselo?

Facciamo quello che possiamo. Facciamo sconti per le famiglie con più bambini, teniamo le rette basse, cerchiamo di limare sempre di più le spese, tiriamo le tasche alle fondazioni o a qualche benefattore per avere borse di studio, partecipiamo ai bandi che si presentano… Ma anche chi non riesce a iscrivere il proprio figlio da noi ci viene a ringraziare perché un’oasi al centro della periferia è un segno di speranza per tutti. È la fontana che disseta tutto il villaggio.

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