La vergogna delle donne schiave

La tratta a Torino – Un convegno in Consiglio Regionale, il 25 novembre, ha fotografato il drammatico mercato delle donne africane vendute sulle nostre strade. Un libro di Mariapia Bonanate racconta il calvario della coraggiosa nigeriana Joy

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«Cosa fa quella zia a quest’ora sulla strada?». È la domanda innocente di una bambina, in auto con la mamma, Marie-Jeanne Balagizi Sifa, congolese, coordinatrice del Forum Donne Africane Italiane, mentre rincasano attraversando le periferie torinesi dove la sera centinaia di donne africane, alcune minorenni, attendono i clienti del sesso. Marie-Jeanne ha riferito le parole della figlia – «in Africa siamo tutte sorelle e le nostre figlie ci chiamano zie» – nel suo intervento, venerdì 25 novembre, Giornata mondiale per l’eliminazione della violenza contro le donne, durante il convegno «Il diritto di essere libere», nella sala del Consiglio regionale del Piemonte a Palazzo Lascaris, promosso dal Comitato regionale per i Diritti Umani e Civili e dalla Consulta regionale femminile. Un «taglio», quello scelto dal Consiglio regionale, come è stato sottolineato nell’introduzione da Sara Zambaia e Giampiero Leo, vicepresidenti del Comitato regionale per i Diritti umani e civili, per denunciare una piaga profonda, quella della tratta, tra i crimini più efferati contro l’umanità. E per «smontare il nostro  pregiudizio» su chi è costretto a prostituirsi che non considera che se il commercio del sesso è fiorente è perché i clienti sono in crescita ed è necessario un intervento educativo innanzi tutto nelle scuole.

La violenza sulle donne è come un iceberg: in cima c’è la violenza delle parole con cui si trattano questi temi. Un esempio recente: la maggior parte dei Tg nazionali e dei grandi quotidiani ha diffuso la notizia delle tre donne uccise da un presunto serial killer nel quartiere Prati a Roma titolando «Tre prostitute uccise nella capitale». Pochissimi media hanno titolato «tre donne» sono state ammazzate barbaramente. Non è violenza su violenza questa? Non sarebbe stato più corretto informare l’opinione pubblica cercando di scavare nelle storie di sfruttamento delle tre vittime, donne prima che prostitute, evidenziando che sono 40 milioni le persone e i minori nel mondo vittime della tratta e che il 77%5 delle vittime di tratta ai fini di sfruttamento sessuale sono donne e ragazze? E ancora, quanti sanno che in Italia si calcola che ci siano tra i 9 e i 10 milioni di consumatori di sesso a pagamento? Spesso sono persone normali, professionisti, padri di famiglia e non maniaci o pregiudicati…

Poi c’è il fondo dell’iceberg, quello sommerso, tra cui la tratta che coinvolge donne e bambine (anche maschi) in tutto il pianeta, anche in Italia e sotto la Mole: basta transitare in auto la sera, come è accaduto a Marie-Jeanne e alla figlia, nelle periferie di Torino dove molte giovani donne sono sulla strada. Tra la punta dell’iceberg (la violenza delle parole) e il fondo sommerso (tratta, prostituzione, femminicidi) c’è la violenza domestica, psicologica, il cyberbullismo… «Quanto l’opinione pubblica viene invitata – non solo il 25 novembre – a riflettere  che la tratta degli esseri umani e delle donne, spesso ingannate dalle loro stesse famiglie, in un momento storico in cui l’accoglienza di chi fa più fatica sta diventando un ‘emergenza sociale’ anche in Piemonte’ – e  ad abbattere i pregiudizi e che tutti, nessuno escluso, siamo coinvolti nell’accogliere chi fa più fatica?» ha ricordato la scrittrice Mariapia Bonanate nel suo intervento. Non è merito nostro – ricordiamocelo sempre, è stato sottolineato con forza al convegno da tutte le relatrici –essere nati nella «culla giusta» e non a Benin city, nella baraccopoli di Manila o di Lagos, o donne in Iran o in Congo, dove le lobbies del coltan rendono schiavi i bambini/e nell’estrazione del metallo pregiato che permette a tutti noi di usare cellulari tablet e quant’altro. E l’elenco delle schiavitù in atto in questo mondo e nel nostro paese potrebbe occupare l’intero articolo. Ma veniamo ai dati e alle azioni messe in atto dalla Regione Piemonte in collaborazione con le Forze dell’Ordine per contrastare il fenomeno della tratta, come hanno illustrato Ylenia Serra, Garante regionale per l’infanzia e l’adolescenza, Ornella Toselli, presidente Consulta femminile regionale e Donatella Giunti, funzionario assistente sociale Prefettura di Torino.

In Piemonte l’82% delle persone prese in carico dal sistema anti-tratta sono donne e provengono in maggioranza da Nigeria (90%) e Costa d’Avorio. «L’80% delle persone identificate come vittime di tratta o di grave sfruttamento in Piemonte ha fatto richiesta di protezione internazionale» ha detto Donatella Giunti, capofila del progetto europeo Alfa (Accogliere le Fragilità, cofinanziato dall’Unione Europea e dal ministero dell’Interno). «Da gennaio ad aprile 2022, secondo i dati raccolti nel progetto Alfa, sono state seguite e assistite dalla rete anti-tratta 150 donne, 70 sono state accolte nelle strutture di accoglienza della rete. Tra queste 26 erano incinte, 41 con figli (34 con un figlio, 7 con più di un figlio da 0 a 3 anni). Inoltre sono state prese in carico 50 donne dal Comune di Torino, 27 con figli, inserite nei Centri di accoglienza della città metropolitana. Il Piemonte registra uno dei numeri più alti di presenza di nuclei monoparentali accolti nel sistema anti-tratta: dal 2018 ad oggi nei programmi dedicati alle vittime di tratta ne sono stati accolti 78».

Filo conduttore del convegno è stata la storia di Joy, protagonista del «libro confessione» scritto da Mariapia Bonanate, editorialista di Famiglia Cristiana e a lungo condirettore de «Il Nostro Tempo», che ha raccolto la coraggiosa testimonianza di violenza ma anche di redenzione di Joy Ezekiel, una giovane donna nigeriana venduta dalla famiglia con il miraggio di un lavoro onesto in Italia. Dopo la permanenza nei lager in Libia, la traversata nel Mediterraneo ecco l’inganno: l’incontro in Italia con la «maman» e il «lavoro» sulla strada per riscattare il debito di 35 mila euro contratto per raggiungere l’«Eldorado» dello sfruttamento. «Ma dopo le violenze, un aborto forzato e abusi inumani» come ha raccontato Joy collegata telefonicamente al convegno «ho trovato la forza di denunciare grazie alla Comunità ‘Casa Rut’ fondata da suor Rita Giannetta che accoglie le ragazze come Joy e che con la cooperativa sociale ‘New hope’ offre loro un’opportunità di riscatto con il lavoro e lo studio.

Marie Jeanne Balagizi Sifa, coordinatrice del Forum donne africane e italiane

Una storia «simbolo» della tratta che accomuna tante ragazze che sbarcano nel nostro Paese tanto che ha convinto Papa Francesco a scrivere la prefazione del libro. Il Papa ammonisce il lettore: «ci farà bene metterci al fianco di Joy… Dopo aver sostato lì, sarà impossibile rimanere indifferenti quando sentiremo parlare dei battelli alla deriva, ignorati e anche respinti dalle nostre coste. Il grido di dolore delle tante Joy è patrimonio dell’umanità». Per questo ha concluso Marie-Jeanne, ricordando le tante «sorelle» vittime della tratta, «se vogliamo davvero fare qualcosa per restituire loro il diritto di essere libere occorre che le associazioni e le altre organizzazioni della società civile africana siano coinvolte nella sensibilizzazione e nella lotta contro questo fenomeno: gli accordi tra Governi (spesso quelli africani sono corrotti e utilizzano i fondi non per creare sviluppo nei loro Paesi ma per arricchire le élites) non sono efficaci. Per combattere davvero la tratta è ora di cambiare strategia e interlocutori».

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