La via possibile dei santi, scrive padre Cesare Falletti

Festa dei Santi, memoria dei defunti – Sono l’occasione per leggere (o rileggere) l’esortazione apostolica di Papa Francesco sulla santità «Gaudete et exsultate». Padre Cesare Falletti, fondatore del monastero di Pra d’Mill, medita per «La Voce e il Tempo» la chiamata che ogni uomo e ogni donna riceve nel corso della vita: farsi «santo» valorizzando i doni ricevuti, senza aspettarne altri

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Novembre si apre con il ricordo dei santi: ricordo festoso che riempie il cuore di speranza e di desiderio. Purtroppo l’uomo riesce spesso a colorare di tristezza le più belle promesse del Signore e siamo più devoti al Venerdì santo che alla Risurrezione, o alla Madonna Addolorata che all’Assunta nella gloria della Trinità, così anche al ricordo dei morti che a quello dei santi, che sono anche coloro che abbiamo amato e che amiamo ancora. Ma ora abbiamo ricevuto una esortazione apostolica di Papa Francesco, la Gaudete et exsultate, che ci conduce a riflettere sulla nostra comune vocazione alla santità e a guardare i santi come coloro che, con le loro fragilità umane, hanno saputo rispondere a questa chiamata.

Questa chiamata universale alla santità, uguale per tutti i battezzati, è stato un grande tema del Concilio Vaticano II, forse un po’ tralasciato nella memoria collettiva della Chiesa, dei fedeli, dei battezzati in Cristo, mentre è il fondamento della vita spirituale.

La Lumen gentium fra l’altro dice: «I seguaci di Cristo, chiamati da Dio, non a titolo delle loro opere, ma a titolo del suo disegno e della grazia, giustificati in Gesù nostro Signore, nel battesimo della fede sono stati fatti veramente figli di Dio e compartecipi della natura divina, e perciò realmente santi. Il Signore Gesù… mandò a tutti lo Spirito Santo, che li muove internamente ad amare Dio con tutto il cuore, con tutta l’anima, con tutta la mente, con tutte le forze (cfr Mc 12,30), e ad amarsi a vicenda come Cristo ha amato loro (cfr. Gv 13,34; 15,12). Essi quindi devono, con l’aiuto di Dio, mantenere e perfezionare con la loro vita la santità che hanno ricevuto» (Lg 40)

Non possiamo dunque pensare che per essere santi occorre avere virtù ‘eroiche’ che proprio non sentiamo di avere, e che dunque quella chiamata si rivolge ad altri. Si diventa santi, nel cammino fra il Battesimo e la consegna di se stessi nelle mani del Creatore, con il bagaglio che si ha, facendo crescere i doni che ci sono propri e non aspettandone degli altri e facendo diventare questa attesa una buona scusa per non fare nulla. Sempre la Lumen gentium nello stesso paragrafo ci esorta: «Per raggiungere questa perfezione i fedeli usino le forze ricevute secondo la misura con cui Cristo volle donarle, affinché, seguendo l’esempio di lui e diventati conformi alla sua immagine, in tutto obbedienti alla volontà del Padre, con piena generosità si consacrino alla gloria di Dio e al servizio del prossimo».

Papa Francesco si inserisce, con la sua Esortazione apostolica, direttamente in questo insegnamento conciliare e invita alla santità, non proponendo cose straordinarie, ma qualcosa che tutti conosciamo essere il cuore dell’insegnamento morale di Gesù. Commentando la beatitudine dei misericordiosi dice: «Gesù non dice ‘beati quelli che programmano vendetta’, ma chiama beati coloro che perdonano e lo fanno ‘settanta volte sette’» (Mt 18,22). Occorre pensare che tutti noi siamo un esercito di perdonati. Tutti noi siamo stati guardati con compassione divina. Se ci accostiamo sinceramente al Signore e affiniamo l’udito, probabilmente sentiremo qualche volta questo rimprovero: «Non dovevi anche tu aver pietà del tuo compagno, così come io ho avuto pietà di te?» (Mt 18,33).

L’Esortazione apostolica, come tutti i documenti di Francesco, si apre in chiave di gioia e di speranza. Anche Gesù, nel Vangelo di Matteo apre il suo grande discorso che esorta alla vita al suo seguito, con le Beatitudini e non terrorizzando. «Rallegratevi ed esultate» (Mt 5,12), dice Gesù a coloro che sono perseguitati o umiliati per causa sua. Il Signore chiede tutto, e quello che offre è la vera vita, la felicità per la quale siamo stati creati. Egli ci vuole santi e non si aspetta che ci accontentiamo di un’esistenza mediocre, annacquata, inconsistente. In realtà, fin dalle prime pagine della Bibbia è presente, in diversi modi, la chiamata alla santità. Così il Signore la proponeva ad Abramo: «Cammina davanti a me e sii integro» (Gen 17,1). La santità è dunque una risposta alla stima, direi all’entusiasmo con cui il Creatore ci guarda. Egli vede le magnifiche potenzialità, non a livello imprenditoriale o di ogni altra grandezza puramente terrena, ma quelle messe in ciascuno di noi da Lui stesso, che non fa differenze fra le persone e a tutti dona ciò che è necessario per arrivare a condividere la sua Gloria e la sua Beatitudine. Con due espressioni felici il Papa ci fa comprendere ciò che è essenziale: «Questa è tante volte la santità ‘della porta accanto’, di quelli che vivono vicino a noi e sono un riflesso della presenza di Dio, o, per usare un’altra espressione, ‘la classe media della santità’».

Allora, tutti sono santi? Tutti sono chiamati alla santità e ricevono i mezzi per arrivarci, ma ciascuno può anche o non muoversi per percorrere il cammino o prendere strade che non sono al seguito di Gesù. Il Papa ne mette in rilievo particolarmente due: quella che chiama lo gnosticismo e che definisce come «una mente senza Dio e senza carne e una dottrina senza mistero», in cui la ragione mantiene tutto alla superficie, senza far scendere nel cuore e nelle azioni l’insegnamento; e l’altra che chiama «il pelagianesimo attuale» che è una volontà senza umiltà. «In definitiva», dice il Papa, «fanno affidamento unicamente sulle proprie forze e si sentono superiori agli altri perché osservano determinate norme o perché sono irremovibilmente fedeli ad un certo stile cattolico».

Si comprende che la santità è strettamente legata alla carità e quelle due forme sono mosse dall’orgoglio e non dalla carità, dalla fiducia nella propria volontà e non sull’umile implorazione della Grazia. Tutto l’insegnamento di san Paolo e dei Padri ci dice che non siamo giustificati dalla nostra bravura, ma solo per Grazia divina, dall’opera dello Spirito santo e per i meriti acquisiti da Gesù con la sua morte per amore.

Le Beatitudini, che troviamo nel Vangelo di Matteo, sono una bella descrizione del santo secondo Gesù e dopo averle spiegate una per una il Papa dà una conclusione con delle frasi lapidarie. «Essere poveri nel cuore, questo è santità… Reagire con umile mitezza, questo è santità… Saper piangere con gli altri, questo è santità… Cercare la giustizia con fame e sete, questo è santità… Guardare e agire con misericordia, questo è santità… Mantenere il cuore pulito da tutto ciò che sporca l’amore, questo è santità… Seminare pace intorno a noi, questo è santità… Accettare ogni giorno la via del Vangelo nonostante ci procuri problemi, questo è santità».

In queste frasi, ben scolpite e che tutti possiamo imparare a memoria e farne la nostra linea di condotta, il Papa ci aiuta e ci guida verso una santità che illumina il quotidiano. Possiamo vedere intorno a noi segni di santità che illuminano il mondo e che rendono possibile vivere in un ambiente che tutti si affaticano a descrivere solo come una porta d’ingresso all’inferno. Così facendo pensano di più a un mondo dannato che a un mondo redento e santificato dal sangue del Salvatore. E questo, naturalmente, non è giusto.

La santità è anche per oggi e la si vive non come persone che recitano un dramma storico, ma come viventi che cantano l’Alleluia perché sanno di essere risorti con Cristo. Questo comporta un modo di essere che si sviluppa con la Grazia che lavora i doni ricevuti, non senza che la nostra volontà sia operosa, e che portano ad avere una capacità di sopportazione degli uomini nostri fratelli e degli avvenimenti che spesso non sono dovuti a volontà umana; avere in ogni occasione gioia (che richiede anche il senso dell’umorismo, che viene dal non essere troppo attaccati alla propria persona), audacia e fervore. Questo, dice il Papa, non si vive da soli, ma solo come comunità, come «Chiesa» luogo della presenza del Dio con noi.

E infine la preghiera costante. «La santità è fatta di apertura abituale alla trascendenza, che si esprime nella preghiera e nell’adorazione. Il santo è una persona dallo spirito orante, che ha bisogno di comunicare con Dio. E’ uno che non sopporta di soffocare nell’immanenza chiusa di questo mondo, e in mezzo ai suoi sforzi e al suo donarsi sospira per Dio, esce da sé nella lode e allarga i propri confini nella contemplazione del Signore. Non credo nella santità senza preghiera, anche se non si tratta necessariamente di lunghi momenti o di sentimenti intensi». (Eg 147)

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