La XXI Giornata Caritas sulla carta e sul web

Diocesi di Torino – Per via del’emergenza Coronavirus la tradizionale Giornata Caritas (21 marzo) non si terrà in forma assembleare, ma individuale: ciascuno a casa propria, utilizzando i materiali disponibili sul La Voce e il Tempo e sul sito www.caritas.torino.it

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La Giornata Caritas quest’anno era doppiamente occasione di festa e di incontro. Lo è da trenta edizioni per tutti coloro che a vario titolo sono impegnati nei servizi caritativi del nostro territorio e che si ritrovano e confronto, lo era per l’anniversario – 40 anni che  – quest’anno celebra la Caritas Torinese. La pandemia ha cambiato i progetti, la forma ma non la sostanza. Così attraverso queste pagine e il sito (qr code al fondo che rimanda alla apposita pagina di www.caritas.torino.it) i contributi, le riflessioni potranno essere lette, ascoltate e diventare comunque oggetto di confronto e cambiamento. Cambiamento che he appare come parola chiave, filo rosso di tutti gli interventi previsti. Ma anziuttto va intesa nel suo significato propositivo che poi potrà essere declinato sui nostri territori.

«La risposta di fede», spiega il direttore della Caritas diocesana torinese, Pierluigi Dovis, è un percorso non un atto, fatto il quale, tutto è a posto. Anche il servizio si comporta allo stesso modo. Perché, direbbero gli antichi, si tratta di habitus, un vestito che ti cuci addosso poco alla volta. Lo sappiamo bene noi che abbiamo fatto del servizio l’andatura del cammino della vita. Abbiamo tante esperienze in questo senso che, però, facciamo fatica a condividere perché non è così immediato percepire in correlazione i due percorsi nella prassi quotidiana. Il servizio sta alla fede sia intorno alle radici che appoggiato sulla sua chioma. Da sotto si comporta come humus che rende fecondo il terreno che alimenta lo scorrere della linfa nell’albero. Da sopra si presenta come frutto maturo della fecondità dell’albero, che da ragione della sua bontà. Una fede che non sbocci in disposizione a farsi servo è come un albero da frutto piantato solo per far figura».

Il servizio

Ecco dunque l’importanza d inquadrare il contesto di chi si mette a disposizione sul nostro territorio con tante modalità: il Centro d’ascolto diocesano, 130 caritas parrocchiali, dormitori, mense, laboratori,  empori solidali. Realtà vivaci, non soltano nella grande città, ma sempre più anche nei centri più periferici della diocesi come Savigliano o Bra, o di paesi più piccoli come nel Canavese, nella bassa pinerolese….

«Un servizio», prosegue Dovis, «che non sia capace di agevolare l’adesione a Colui che è ‘venuto per servire e non per essere servito’ è strutturalmente limitante. Gli ormai venti anni di accompagnamento agli operatori di carità mi suggeriscono alcune condizioni date le quali il servizio fa davvero crescere la adesione di fede.  Lo fa, anzitutto, se al centro del servire sta esplicitamente l’altro in quanto immagine somigliantissima di Dio. Un servizio che parte da noi, dalle nostre capacità o idee e si impone nella vita dell’altro solo perché meno munito di strumenti non mi apre all’incontro con il Signore. È una forma idolatrica di servirsi del servire. Non siamo chiamati a convertire le esigenze dell’altro alle nostre, ma esattamente il contrario. Mi viene da domandarmi: come abbiamo impostato i servizi nelle nostre comunità? Abbiamo ceduto alla tentazione di applicare un cliché alla vita dei fratelli o abbiamo accettato il percorso di costruzione comune, con tutte le fatiche e i possibili fallimenti che tale percorso porta con se? Lo fa, poi, se il servizio non resta impantanato nelle dimensioni materiali ma sa farsi carico della persona in tutte le sue dimensioni:  relazionale, affettiva, spirituale, quella legata alla gioia o alla paura, quella della sete di infinito e di speranza. I bisogni materiali sono quasi sempre l’accesso al cuore dell’altro. E, per questo, vanno umilmente rispettati. Ma quando li facciamo diventare il tutto dell’altro lo riduciamo al suo bisogno. Anche questa è idolatria che cosifica e non riconosce la vita in colui che incontriamo.

Cosa si dà?

Pacchetti viveri, pagamento di bollette, posti dove dormire, indicazioni su come cercare di emergere dalle situazioni di disagio… l’offerta della Caritas torinese è vastissima, migliaia di ore, di risorse. Ma anche questo quadro può essere oggetto di cambiamento e di un nuovo piano, di un Agorà della carità che con la Giornata Caritas viene lanciato .  «Come abbiamo impostato i servizi del ‘dare’?», domanda Dovis, «Quanta attenzione mettiamo alla custodia delle varie dimensioni della persona? Ci accontentiamo della efficienza del servire, dell’ordine sugli scaffali dell’emporio, della regolamentazione dell’accesso all’ascolto, della presenza dei documenti necessari in dormitorio, dei turni precisi alla mensa? Ancora, abbiamo crescita nella fede se non siamo al servizio solo quando facciamo servizio ma se facciamo del servire la modalità concreta attraverso la quale rispondiamo ad ogni chiamata che il Signore ci fa attraverso l’altro. Qualsiasi altro, in ogni ambiente in cui ci troviamo, in ogni momento della nostra giornata. Il volontario part time che ‘smonta’ quando esce dalla porta del centro ascolto rischia di vivere l’idolatria dello strumento, il volontariato appunto. Tentazione che può anche colpire l’intero gruppo di operatori quando, caparbiamente, limitano la formazione alla sola informazione tecnica, o solo molto sbrigativamente rileggono l’evolversi della motivazione e il cambiamento dei bisogni alla luce del ‘abbiamo sempre fatto così’, o si sentono fuori dalla attività pastorale pensando – a torto –  di essere in questo modo Chiesa in uscita. In quarta battuta c’è crescita se il servire genera comunione a tutti i livelli, come percorso progressivo ma inarrestabile e da noi inarrestato. Se il nostro Pastore oggi ci chiede una agorà della Chiesa di Torino sulla carità non è un caso. Questo è il punto cruciale che genera, a sua volta, vera crescita, forte sviluppo, fecondità concreta, speranza, missione».

La provocazione di una nuova Agorà

«Se ci viene chiesto oggi», non sarà anche perché non lo abbiamo ancora sufficientemente realizzato? Come abbiamo curato la comunione tra i gruppi del territorio? A che punto siamo con il resto della nostra Unità Pastorale? Come abbiamo – o non abbiamo – modificato il modo di pensare e di agire perché sia sempre e solo corale e mai più voce solitaria? Qui c’è idolatria dell’individualismo paradossalmente vissuta in forza del principio per cui l’urgenza annullerebbe il dovere della comunione».

Ed ecco dunque che la revisione proposta da questa Giornata Caritas e più in generale dall’Agorà impone un collegamento stretto con il tema della Provvidenza e del collegamento a Dio del servizio. «Non mi riferisco», conclude Dovis, «ad un collegamento ideale, ma ad una necessità concreta e vitale. È la declinazione quotidiana dell’abbandono nelle mani della Provvidenza che sperimentiamo quando – pur senza sfrontatezza – non ci fermiamo al calcolo delle risorse disponibili, quando abbiamo il coraggio di dire di si anche se non tutto è già chiaro, quando anche davanti alle carenze decidiamo di non arretrare perché l’obiettivo è di valore assai più grande della fatica che dovremo sopportare. Li non può esserci idolatria ma solo adorazione dell’Onnipotente, non fatta cultualmente in ginocchio ma esistenzialmente abbandonati. In quel momento scopri che è Lui a fare tutto e tu non sei altro che uno strumento, come lo è stata Maria, la serva del Signore. Come lo fu il beato parroco di Lanzo Federico Albert (di cui ricordiamo i duecento anni dalla nascita): «Era non un burocrate, ma un artista della carità, pur essendone anche un organizzatore».

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