Il tratto torinese del fiume Po non è mai stato così asciutto. I flussi d’acqua sono ai minimi storici, la siccità che preoccupa gli agricoltori delle campagne piemontesi sta diventando un motivo di allarme anche in città. Ne parliamo con Francesco Tresso, assessore comunale al Verde Pubblico e alle Sponde Fluviali.

Rispetto all’anno scorso, il deficit di acqua nel tratto torinese del Po è intorno al 50%: come siamo arrivati a questo?
Incidono due fattori. Innanzitutto piove e nevica meno: i dati di Arpa Piemonte mostrano come gli afflussi di acqua dal cielo nel gennaio e febbraio di quest’anno siano diminuiti del 48% e del 75% rispetto alla media del periodo che va tra il 1991 e il 2020.
Questo si combina con l’innalzamento delle temperature. C’è un parametro chiamato «Snow Water Equivalent» (SWE) che consente di conoscere la quantità di acqua allo stato solido contenuta nella neve: rispetto agli ultimi 40 anni, l’equivalente di neve che poi si trasforma in acqua è sceso al 30% rispetto alla media. Di norma lo SWE è di 1830 Mmc, mentre l’anno scorso è sceso a 605 Mmc, quest’anno a 784. La poca neve comporta che le riserve d’acqua sotterranea, le falde, si stiano riducendo.
Un altro dato importante è quello dell’abbassamento delle falde: in 10 punti di osservazione su 13 la soggiacenza, cioè la distanza della falda dal piano di terra, è aumentata talmente tanto da raggiungere la massima storica degli ultimi 40 anni.
Anche la temperatura media del Po si è alzata di circa un grado e mezzo, cosa che sconvolge gli ecosistemi: un esempio è la proliferazione abnorme dell’alga Elodea avvenuta l’anno scorso. Per via delle elevate temperature questa specie vegetale ha trovato l’ambiente adatto per diffondersi: l’anno scorso ricopriva l’80% della vegetazione acquatica del tratto cittadino del Po. Si è studiato come intervenire e sono state raccolte 15 tonnellate di alghe, poi riutilizzate come compost.
Quali soluzioni concrete per contrastare la siccità?
Le azioni strutturali richiedono politiche più ampie, a livello regionale. In particolare, l’agricoltura utilizza in media il 70% delle risorse idriche ed è inevitabile che si vada verso un razionamento; è necessario riorganizzarla anche in termini di sprechi. Un nuovo metodo che per esempio viene usato nelle colture del mais è quello del goccia a goccia.
Siamo una nazione che spreca molto in generale: siamo tra le prime 3 nazioni europee per consumo pro capite giornaliero per usi domestici. Esiste un parametro «litri-abitante-giorno» che ci mostra quanti litri ogni abitante utilizza giornalmente; a Torino si parla di circa 200, mentre in altre nazioni come Spagna e Germania il consumo è dimezzato. Si sta, quindi, rivedendo il piano regolatore perché bisogna far attenzione al risparmio idrico anche su base civile.
Un’altra caratteristica delle città come Torino è quella di essere coperte di cemento che rende impermeabile il suolo: l’acqua non penetra nel terreno e non si accumula. Noi stiamo cercando di deimpermeabilizzare il più possibile, perché l’acqua piovana, quando arriva, possa essere assorbita dal terreno e immagazzinata. C’è un progetto specifico per il Parco del Valentino in cui si punta a ridurre i larghi viali di asfalto che oggi non sono necessari. In generale, comunque, Torino resta una città più verde di altre (37% della superficie urbana).
Si parla di costruire bacini per immagazzinare l’acqua: è una soluzione adeguata? Alcuni osservatori sono contrari perché temono danni agli ecosistemi …
Sono un fervente sostenitore che si debba costruire un numero maggiore di bacini, ma ovviamente bisogna valutare il modo con cui essi vengono realizzati: ci sono criteri di costruzione compatibili con l’ambiente e non è detto che si debbano costruire grandi invasi, ma si può lavorare su alcuni molto più piccoli e diffusi.
È un dato incontrovertibile: dal momento in cui piove meno, la risorsa che arriva dal cielo deve essere sfruttata al meglio. Raccogliere l’acqua vuol dire alimentare le falde e si crea tutto un sistema che rallenta la siccità.
Si poteva prevedere questa crescente siccità?
Sì, si poteva prevedere e non è che le voci non si fossero alzate. Ma la politica fino ad oggi è stata sorda davanti a queste problematiche .
È un problema mondiale: gli obiettivi che ci si è posti a livello di COP21 sono arrivati tardi e rischiano di essere disattesi.
Penso non ci sia una coscienza sufficiente del problema: non vuol dire essere catastrofisti, ma bisogna avere un’attenzione molto più forte verso l’ambiente. La politica su questo deve attivarsi, può avere un peso enorme.
L’esistenza di movimenti di giovani come FridaysForFuture ci insegna che forse c’è una capacità di sensibilizzazione anche nelle nuove generazioni. Sono loro che possono insegnarci a ragionare su una terra ancora abitabile.
Allo stesso tempo, ci sono azioni strutturali che comportano costi: se pensiamo a quanto si investe in armamenti capiremmo che il problema si potrebbe risolvere anche solo con una percentuale di quei soldi. Per esempio la soluzione della desalinizzazione dell’acqua marina è molto cara, ma è il futuro.
È chiaro che il numero di persone che potrebbero beneficiarne, se comparate a quanto si spende per l’industria bellica, è molto rivelante, ma è una questione di scegliere, se indirizzare investimenti verso la vita o verso la morte.
Cosa possiamo fare come singoli cittadini per fare fronte all’emergenza?
Credo che debba esserci un’azione di sensibilizzazione e cambiamento del comportamento: se faccio una doccia invece che un bagno non ho risolto il problema della siccità, però inizio ad avere un certo tipo di attenzione.
Un altro esempio può essere l’alimentazione: mangiare una bistecca ha un’impronta idrica maggiore che mangiare una melanzana. È necessario rendersi conto che se mangi quel cibo o utilizzi un certo tipo di prodotto stai apportando un maggiore impatto rispetto a un altro comportamento.
Le scuole possono avere una funzione fondamentale per quanto riguarda la divulgazione: parlando agli studenti parli alle famiglie e al mondo.
Ci sono azioni che anche la città può coordinare: i sistemi di gestione sono più a livello regionale, ma la città può iniziare a fare qualcosa come riutilizzare l’acqua e avere una progettualità attenta a ciò.
È importante pensare che non c’è un’azione risolutiva, ma è l’insieme di molte azioni articolate. Sono, però, urgenti e devono essere ben definite in modo da fornire un risultato. Serve un’azione integrata e consistente.