Don Carlo Carlevaris, uno dei primi preti operai italiani, che ha saputo egregiamente indossare la stola e la tuta, è morto 92enne all’alba del 2 luglio all’ospedale Cottolengo di Torino. La preghiera del rosario si è tenuta il 3 luglio alle 18 nella parrocchia Santi Pietro e Paolo in largo Saluzzo a Torino. L’Arcivescovo Nosiglia ha presieduto i funerali mercoledì 4 luglio alle 10 nella chiesa grande della «Piccola Casa della Divina Provvidenza» in via Cottolengo 14. La salma è stata tumulata presso il Cimitero monumentale nella tomba dei sacerdoti.
Carlo Carlevaris nasce a Cardè, provincia di Cuneo e diocesi di Fossano, il 12 aprile 1926. Studia nel «Seminario dei Tommasini» della Piccola Casa. Ordinato sacerdote il 29 giugno 1950 dal cardinale arcivescovo di Torino Maurilio Fossati, viceparroco a San Giacomo (regione Barca) e poi a Beinasco, si avvicina all’esperienza dei «cappellani del lavoro», matura la convinzione che il rapporto fra preti e operai non può limitarsi all’assistenza spirituale in fabbrica ma deve diventare condivisione a tutto campo della vita e dei problemi.
CAPPELLANO DI FABBRICA LICENZIATO – Carlevaris (1952-62) è cappellano alla Fiat-Grandi Motori, Lancia, Michelin: nel 1962 la Fiat licenzia lui e don Antonio Revelli perché «cappellani non funzionali alla politica dell’azienda». A Torino della pastorale del lavoro si occupano tre commissioni – operai e impiegati; imprenditori, dirigenti, tecnici, artigiani, commercianti; rurali –, ben 22 preti operai e 9 incaricati di gruppi e associazioni: tra questi don Matteo Lepori, assistente delle Acli. Su incarico del cardinale arcivescovo di Torino Michele Pellegrino, il cappellano del lavoro don Esterino Bosco e don Lepori – ben visti dal mondo del lavoro – avviano l’Ufficio Pastorale del lavoro del quale Lepori è direttore (1971-94).
PRETE OPERAIO ALLA BERTO LAMET – Don Carlevaris è assunto come operaio alla Berto Lamet, azienda di stampi consociata Fiat con 350 dipendenti, e delegato sindacale. Con l’arrivo a Torino nel 1965 dell’arcivescovo Michele Pellegrino, il mondo del lavoro diventa centrale per la pastorale diocesana: gli operai diventano una priorità pastorale ma la Chiesa torinese mantiene il dialogo aperto con tutte le realtà sociali. Don Carlevaris si occupa della Gioventù operaia cristiana (Gioc) e dell’esperienza lavorativa di una decina di chierici del Seminario di Rivoli.
UN RUOLO NELLA «CAMMINARE INSIEME» – Determinante il suo ruolo nell’elaborazione della lettera pastorale «Camminare insieme. Linee programmatiche per una pastorale della Chiesa torinese» di Pellegrino. Matura dopo una lunga e articolata consultazione della base diocesana, parrocchie, associazioni, gruppi. Datata 8 dicembre 1971 e illustrata in una conferenza al Circolo della stampa il 16 gennaio 1972, la lettera pastorale ha uno strepitoso successo editoriale: 120 mila copie in varie edizioni e in vari anni. Nasce da scelte tipicamente pellegriniane: evangelizzazione, scelta preferenziale per i poveri e per il mondo del lavoro; dalla proposta di don Carlevaris e di alcuni operai; dallo studio «Vangelo e scelta di classe» del gesuita Bartolomeo Sorge; da un lavoro a vasto raggio che dura oltre un anno, coinvolge 1.500 persone, ha come motore propulsore il Consiglio Pastorale diocesano. Il 28 novembre 1970 don Carlo Carlevaris e gli operai Giovanni Cassetta, Giovanni Gambino, Mario Gheddo presentano la cosiddetta «mozione Carlevaris» preceduta dalla premessa teologica «La salvezza portata da Cristo». Dal lavoro di un centinaio di gruppi, Pellegrino scrive la «Camminare insieme».
EVANGELIZZAZIONE NUCLEO PORTANTE – Inoltre conversione e annuncio declinati nei valori di fraternità, povertà e libertà in una stagione di forte conflittualità sindacale. Pellegrino propone la «scelta preferenziale dei poveri» individuati, in quel contesto storico, negli operai e negli immigrati. La «scelta cristiana di classe» va intesa non con i paraocchi dell’ideologia ma con le categorie della pastorale, non con demagogia ma come imperativo etico. Scritto di schietta ispirazione biblica, avvalorata dai Padri della Chiesa e confermata dal Concilio, la lettera applica la dottrina sociale della Chiesa alla situazione torinese. La parola «poveri» ha una valenza ampia e si estende «alle categorie sociali che non contano, di cui si dispone senza chiedere il parere».
CON PELLEGRINO ALLA TENDA ROSSA – Nell’«autunno caldo» 1973 Pellegrino esprime solidarietà ai metalmeccanici. Alle 18 di sabato 31 marzo va alla «tenda rossa» in piazza Carlo Felice davanti alla stazione Porta Nuova. Quando se ne va, un gruppo di giovani canta «Bandiera rossa». Il padre esce in una battuta: «Così diranno che il vescovo è stato accolto al canto di Bandiera rossa». L’arcivescovo non è orientato ad accettare l’invito e prende tempo per riflettere. Si consulta, tenta di coinvolgere la Chiesa milanese. Decide di accettare l’invito e chiede a don Carlevaris di accompagnarlo. Operai e sindacalisti gli espongono la situazione.
I FATTI ALLA FIAT NEL 1980 – Dopo le vicende del 1980 alla Fiat – sciopero di 35 giorni e marcia dei 40 mila – don Carlevaris spiega: «La vicenda Fiat si è conclusa con la sconfitta del movimento operaio. I primi a essere travolti sono gli invalidi, i meno specializzati, gli immigrati. Si stabilirono in città attivisti di Lotta continua e Potere operaio, tra cui Adriano Sofri. Il loro progetto, messo a punto ben prima dei 35 giorni, era di cavalcare la protesta per abbattere la Fiat e scardinare il sindacato. La Chiesa era giustamente spaventata da una sinistra forte e potente».
LE FALSE ACCUSE DI ESSERE DEI COMUNISTI – Andato in pensione come operaio, don Carlevaris rimane presente nella vita ecclesiale. Si pronuncia contro la costruzione della chiesa del Santo Volto. In una lettera a «La Voce del Popolo» contesta il fatto che non sia stato consultato il Consiglio Pastorale, composto all’80 per cento da laici: «Stupisce che non si sia ritenuto di interpellare la stragrande maggioranza della Chiesa che sono i laici. Se il Diritto Canonico non obbliga a sentire i laici, neppure lo proibisce. Si è data l’impressione che chi conta veramente sono i preti e che i laici sono collaboratori a mezzo servizio». Alla storica Marta Margotti racconta: «Ci accusavano di dividere la Chiesa e di essere comunisti. Tutte accuse false».