L’organo comincia a suonare nel santuario della Consolata pieno di gente alle 18 in punto. È lunedì 7 agosto 1978, 43 anni fa, 24 ore dopo la morte a Castel Gandolfo di Paolo VI. Fuori piove in una Torino svuotata dalle ferie di agosto.
Un migliaio di torinesi saluta Montini, Papa dal 21 giugno 1963, intellettuale e pastore, provetto pilota nella crisi del Novecento e grande innamorato della Chiesa che sgancia da ogni ambizione di potere e lancia sulle strade dell’evangelizzazione del mondo. L’arcivescovo di Torino mons. Anastasio Alberto Ballestrero conosce da vicino il Papa e lo presenta come testimone dal Vangelo, che ha creduto nella Chiesa e nell’uomo. Nella notte di domenica 6 agosto, festa della Trasfigurazione, interpellato dai giornalisti, mons. Livio Maritano, vescovo ausiliare e vicario generale, parla di «questo Papa che ha governato la Chiesa in anni difficili e che per qualche momento è sembrato lontano, alla fine è stato capito dalla gente perché ha saputo parlare agli uomini di oggi».
Con Ballestrero concelebrano Maritano e 46 sacerdoti. L’arcivescovo rammenta i ripetuti richiami del Papa: «Negli ultimi anni lo abbiamo sentito molte volte parlare del tramonto della sua vita con tanta serenità e pace che ne siamo stati incoraggiati e abbiamo capito come la fede possa essere limpida quando viene vissuta davvero. Ricordiamo in lui un instancabile evangelizzatore, teso alla testimonianza dei Vangelo. Quest’uomo di Dio ha condotto gli uomini al Signore». La prima che lo incontrò da Pontefice, disse a Ballestrero: «Non si stanchi mai di predicare il Vangelo. La partita di Dio è come una spada a doppio taglio: incide sugli uomini e riforma il mondo». L’arcivescovo lo definisce «uomo che ha amato e servito la Chiesa in tutta la sua vita, con una dedizione incominciata nella prima giovinezza, e mai più finita. Per la Chiesa è vissuto e si è consumato con desideri ardimentosi e fedeltà paziente, che lo hanno portato talvolta a non essere capito. Portò in porto il Concilio con coraggio umile e prudenza forte».
Un Papa che «ha avuto il senso degli uomini, li ha amati e serviti al di là di ogni confessione e di ogni fede, si è sentito mandato da Cristo a ogni creatura. Ha saputo vivere i drammi dell’uomo, entrare dentro le sue sofferenze, lasciandosi macerare e travolgere anche dalle sue atrocità. Si è davvero confuso con gli uomini, ne ha affermato diritti e dignità. Ha difeso la pace, è sempre stato puntuale sulla scena del mondo quando si è trattato di rivendicare i diritti degli uomini a vivere in pace, che ha proclamato alta, non frutto di compromessi ma di valori riconosciuti. Voleva bene agli uomini di ogni condizione ma ha preferito i poveri, gli umili, i non capiti, gli affaticati, i lavoratori di ogni genere e si è fatto interprete delle loro speranze».
Una predica lunga, 20 minuti commossi, sintetizzati nel messaggio ai torinesi: «Ci inchiniamo alla volontà divina, consapevoli del bene fatto alla Chiesa dal pontificato di Paolo VI, dalla conclusione del Concilio alla sua applicazione, alla promozione di una vera pace e di un autentico progresso dei popoli». Da Parigi, dove è per un incontro di studio, anche il ricordo del cardinale Michele Pellegrino, arcivescovo emerito: «In momenti come questi, di dolore e sofferenza, ma anche di speranza, dobbiamo tacere e pregare».
Negli anni Sessanta il cardinale arcivescovo di Milano Giovanni Battista Montini viene due volte a Torino: nel 1961 per una rapida visita al padiglione delle Regioni di Italia 61 nel centenario dell’unità, con una sosta di preghiera nella cappella. Molto più importante la visita di domenica 27 marzo 1960 quando benedice al Monte dei Cappuccini la statua in bronzo della «Madonna della FIAT». Mons. Vincenzo Barale, segretario del cardinale Maurilio Fossati, lo ricorda come «uomo attivo, giovanile, sorridente e vivace, con lo sguardo profondo». Il legame di Paolo VI con Torino si intreccia con la lunga amicizia con l’arcivescovo: «Ogni volta che Fossati andava a Roma, negli anni in cui Montini era in Segretaria di Stato, non mancava mai di chiedergli udienza. Erano visite d’omaggio: Fossati era cardinale e Montini sacerdote, ma il loro legarne era profondo e ogni volta il colloquio durava a lungo».
L’inaugurazione della statua ai Cappuccini – voluta dalla Fiat in una politica paternalistica – solleva molte polemiche. A Fossati, in quei giorni indisposto, i medici consigliano di rimanere in Curia. Ricorda mons. Banale: «Anche Montini lo pregò di non affaticarsi, di rinunciare alla cerimonia. Insistette a lungo, con affetto e amicizia. Ma il cardinale, anche per rispetto all’ospite, volle ugualmente recarsi a benedire la statua».
Prima, alle 10, nel gremitissimo Teatro Alfieri, Montini, «l’arcivescovo dei lavoratori», tiene un magistrale discorso su «Religione e lavoro». Troppo spesso, «l’uomo d’azione ha difficoltà a pensare a qualcosa che si distacchi dal campo quantitativo. Nel mondo del lavoro sovente i padroni sono ancora impregnati dell’obiezione razionalista e della pretesa illuministica, mentre i lavoratori vedono nella religione un motivo di distrazione dagli interessi economici e sociali». Ecco la necessità, secondo Montini, «di cercare una soluzione a queste obiezioni, una soluzione che non può non essere lenta e difficile. Ma è ormai tempo per la cultura italiana di uscire dai luoghi comuni che sono indice di pigrizia culturale».
Tre anni dopo Montini e Fossati alloggiano in stanze vicine durante il Conclave che il 21 giugno 1963 elegge Papa l’arcivescovo di Milano. Fossati ricorda l’amico come «sereno e tranquillo». Quando tocca all’anziano cardinale di Torino inginocchiarsi per l’obbedienza al nuovo Papa, Paolo VI prontamente scende dal tronetto e abbraccia l’87enne arcivescovo. Nel 1965 è personalmente Paolo VI a scegliere come successore di Fossati, mons. Michele Pellegrino come arcivescovo, «una sfida vincente» come la definisce mons. Luigi Bettazzi, vescovo di Ivrea. Nel 1973 per la prima ostensione televisiva Paolo VI definisce la Sindone «la sorprendente reliquia che rivela l’ansioso desiderio di vedere Gesù». Nel 1978 con Ballestrero l’ostensione popolare della Sindone – «che, spiega Maritano, il Papa ha permesso, o meglio ha voluto e consigliato» – scrive una lettera entusiasta: «L’ostensione è una felice circostanza pastorale».