Le giacche Moncler avranno una manica torinese

Moda – Lo scorso dicembre, l’acquisizione del più tecnologico marchio casual della moda maschile italiana, Stone Island, operata da un altrettanto, o forse ancor di più, conosciuta azienda tessile nazionale, la Moncler (da tempo non più francese), non è passata inosservata né agli addetti ai lavori, né agli esperti finanziari

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Lo scorso dicembre, l’acquisizione del più tecnologico marchio casual della moda maschile italiana, Stone Island, operata da un altrettanto, o forse ancor di più, conosciuta azienda tessile nazionale, la Moncler (da tempo non più francese), non è passata inosservata né agli addetti ai lavori, né agli esperti finanziari.

L’entità dell’investimento di Moncler supererebbe il miliardo di euro e le possibilità di ampliare le reciproche quote di  mercato  nel settore dei capi di qualità molto alta, grazie alle sinergie tra le due imprese, è stata ben apprezzata anche dalla Borsa di Milano, che ha visto un forte progresso nella quotazione del titolo azionario dell’azienda acquirente. Sono figure anche molto interessanti ed innovative, gli imprenditori coinvolti nell’operazione, il patron di Moncler, Remo Ruffini, e quello di Stone Island, Carlo Rivetti, eredi di due grandi tradizioni dell’industria tessile nazionale, rispettivamente quella comasca e quella biellese, che siederanno entrambi nel nuovo consiglio di amministrazione.

Gli esperti del settore arrivano ad auspicare  la possibile nascita di un vero e proprio “polo del lusso” italiano della moda, nel rispetto delle diverse caratteristiche dei due soggetti coinvolti, con prospettive di grande successo in un campo dove altre nostre eccellenze appartengono ormai a proprietà straniere.

Quello che, però, è quasi passato inosservato è che Stone Island, quindi ora anche Moncler, ha un’antica origine torinese. Infatti Carlo Rivetti è il figlio di uno dei fondatori del Gft, Silvio, ed è stato l’ultimo esponente della sua famiglia a lavorare in quella azienda. Il Gruppo Finanziario Tessile era l’azienda leader mondiale del vestito confezionato, a cui facevano capo i più noti marchi Facis, Cori, Marus, Revedi, … ed anche Stone Island. Per una serie di sfortunate vicende, tra le quali gli improvvisi decessi, pur in tempi diversi, dei soci Rivetti più impegnati nella conduzione aziendale, oggi non è rimasta quasi memoria di una società che arrivò ad avere oltre 10.000 dipendenti e stabilimenti in Italia, Stati Uniti, Messico e Cina, ma che aveva la sua sede operativa a Torino, in Borgo Aurora, e il suo principale stabilimento, iper tecnologico per l’epoca, a Settimo Torinese, visitato da concorrenti provenienti da tutto il mondo, che tentavano di carpire i segreti di una produzione all’avanguardia (e di un clima aziendale di inusuale collaborazione tra proprietà, dirigenza e maestranze, pur in anni molto difficili).

Se oggi stilisti italiani come Armani, Chiara Boni e Valentino, o anche stranieri, come Ungaro e Féraud, sono conosciuti al grande pubblico, e non solo agli addetti ai lavori o a pochi clienti molto facoltosi; se un loro vestito, già  confezionato, lo si può trovare in molti negozi sparsi per il mondo (e non solo in preparazione in qualche esclusiva boutique), … lo dobbiamo al Gft, ai suoi lavoratori, che seppero industrializzare il processo di produzione di un capo di vestiario, e alle intuizioni della famiglia Rivetti (e anche alle pubblicità di una altro famoso torinese, Armando Testa).

E’ una delle tante storie imprenditoriali subalpine  dimenticate che, speriamo, possa essere in qualche modo ripresa da questa nuova iniziativa imprenditoriale che ha tutte le caratteristiche per avere un luminoso futuro.

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