Montagna, viaggio e ambiente. Questi temi animano la creatività e l’azione di Paolo Cognetti, premio Strega nel 2017 con il romanzo «Le otto montagne»: una storia dalla scrittura limpida, sincera, evocativa, che è arrivata dritto al cuore dei lettori. «Senza mai arrivare in cima» (2018) e «La felicità del lupo» (2021) completano la trilogia della montagna, habitat naturale prediletto da quando, da bambino, trascorreva le estati nella baita di famiglia in Valle d’Aosta.
Diplomato alla Scuola di cinema, lo scrittore ha all’attivo numerosi documentari: dopo l’ultimo, «Sogni di Grande Nord» realizzato con il regista Dario Acocella sulle tracce di alcuni tra i maggiori autori della letteratura americana, da Vancouver all’Alaska, ne ha in cantiere uno nuovo, ambientato sul ghiacciaio del Monte Rosa. Il ritorno al mezzo audiovisivo è anche merito del clima respirato durante la lavorazione della versione cinematografica di «Le otto montagne». Il film, premio della giuria a Cannes 2022, ha costituito «una bella esperienza di amicizia e di incontro con altri talenti»: il riferimento è agli attori Luca Marinelli e Alessandro Borghi e alla coppia di registi belgi Felix Van Groeningen e Charlotte Vandermeersch.

Milanese, giovinezza alla Bovisa, ex quartiere operaio di Milano in cui «la necessità della politica è qualcosa che impari», Cognetti ha creato a Estoul, in Val d’Ayas, dove vive per sei mesi all’anno, un rifugio con una vocazione culturale, letteraria: in quello spazio reso sostenibile da pannelli fotovoltaici e riscaldamento geotermico, si raccolgono persone e gruppi a scrivere, lavorare, svolgere seminari di yoga. L’impegno dello scrittore si esprime anche nella lotta a disboscamenti e scavi finalizzati ad ampliare gli impianti da sci, a fianco dell’associazione internazionale Mountain Wilderness contro un turismo invadente e distruttivo. «La montagna è il luogo del fare, del corpo, dove si parla meno perché non serve» e della coscienza politica: «Questa parola bistrattata invece è così bella, deriva dall’idea della polis, della condivisione, dell’agire per il bene comune».
Cognetti, lei, che ha assistito al film tratto da un suo romanzo di successo, è anche autore di documentari…
La fase documentaristica corrisponde ai racconti di viaggio (New York, Himalaya..), l’altro filone della mia scrittura. Il documentario è un linguaggio che collego molto alla scoperta, all’esplorazione, all’incontro con le persone e le loro storie. Si scrive in solitudine, al contrario il cinema è un’attività collettiva: a volte lavorare con gli altri è liberatorio, è come aprire le finestre di quella stanza un po’ angusta che è l’ego. I due linguaggi, le due espressioni artistiche si completano nel mio lavoro.
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