«Sono molto contento di provare questa connessione via internet per stare insieme. Il coronavirus ci separa fisicamente, ma non deve separarci dalla vita spirituale: possiamo ancora pregare insieme!». È il 26 marzo e a parlare in inglese in un video appena caricato su YouTube, è don Paolo Burdino dalla sua casa parrocchiale a Tassia, periferia di Nairobi dove opera come fidei donum insieme a don Daniele Presicce.

Anche nella «nostra» parrocchia in Kenya è dunque arrivata la minaccia del coronavirus e don Paolo e don Daniele stanno attivandosi per essere vicini ai loro parrocchiani e per prepararsi con loro ad una Pasqua con le celebrazioni a porte chiuse.
Venerdì il primo video on line, poi sabato 28 e domenica 29 marzo le prime due Messe trasmesse in streaming e proprio domenica, all’inizio della celebrazione, la preghiera per i keniani, gli italiani: «per quelli che sono ammalati, per quelli che stanno guarendo…».
Un legame tra la comunità di Nairobi e la nostra diocesi che continua attraverso la preghiera reciproca (molte persone nei giorni scorsi sono passate in parrocchia ad informarsi sulla salute di don Mauro Gaino e don Beppe Gobbo che hanno preceduto don Paolo e don Daniele, e hanno fatto sentire la loro vicinanza) anche in questa situazione di difficoltà.
«Inizialmente», racconta don Burdino, «la pandemia ha toccato il Kenya attraverso le immagini che arrivavano sugli schermi dalla Bbc e da Sky, ma la gente pensava che fosse qualcosa di lontano e che anche se il virus fosse arrivato non avrebbe fatto niente perché qui la maggioranza è giovane. Poi circa una settimana fa ci sono stati i primi casi: keniani di rientro dall’Europa o dagli Usa. Ora il numero dei contagiati è salito a 38 e il Governo ha chiuso le scuole; domenica scorsa hanno vietato ogni raduno civile o religioso di massa, poi hanno dimezzato la capienza degli autobus e dal 25 marzo hanno chiuso i due aeroporti internazionali. Da questa settimana è stato istituito anche il coprifuoco dalle sette di sera alle cinque del mattino». Il Governo ha chiesto all’esercito di far rispettare le norme, ma oltre alle difficoltà di far capire la pericolosità del virus il contesto in molte zone è complesso e comunque difficilmente controllabile. «Siamo alla periferia est di Nairobi», prosegue don Burdino «e tra slum e palazzoni superaffollati mantenere la distanza sociale è inverosimile ed impossibile. Noi siamo tra le aree più densamente popolate del Kenya e la gente vive in alloggi di 10-12 metri quadri con i gabinetti in comune sul pianerottolo per ogni piano, senza acqua all’interno e con un’unica finestra che dà sullo stesso pianerottolo. La gente normalmente entra nelle ‘case’ solo per mangiare e dormire.
Non è proprio possibile rimanere in quelle stanze a lungo. Le strade sono affollate dal mattino fino alla sera e persino a notte inoltrata. Ora la città si sta pian piano svuotando: chi non ha lavoro è ritornato nei villaggi e per chi rimane in città la sopravvivenza sarà dura. Molte persone hanno già perso il lavoro: i maestri delle piccole scuole private sono rimasti a casa senza stipendio. La nostra parrocchia è vicina all’aeroporto Jomo Keniatta e molte persone lavorano per compagnie aeree o cargo e alcune, con la sospensione dei voli fino a data da destinarsi, sono state da subito licenziate. Qui nessuno ha qualche soldo da parte e appena arriva un po’ di crisi, subito alla fine del mese si trovano ad essere impossibilitati a pagare l’affitto e si ritrovano per strada!».
Anche sul fronte delle possibilità di cura la situazione si prospetta drammatica: «La sanità pubblica», aggiunge, «è praticamente inesistente. Per quanto ne so ci sono a disposizione circa 1000 letti di terapia intensiva per tutto il Kenya e quelli a pagamento sono troppo cari per la gente! Per i più poveri non sarà possibile accedere alle cure sanitarie e quindi ancora una volta saranno coloro che pagheranno il prezzo più alto!».
Proprio per i più poveri, anche in condizioni normali, l’affidarsi a Dio è l’unica speranza di guarigione così ora la difficoltà dei nostri fidei donum è sostenere i parrocchiani facendo capire loro che la sospensione delle celebrazioni non è una condanna.
«È difficile accettare la situazione di dover celebrare Messe, e soprattutto la Pasqua, senza fedeli!», aggiunge don Burdino, «ma è soprattutto difficile per i fedeli capire questa decisione! Un fedele mi ha scritto: ‘l’unico posto dove noi possiamo essere guariti veramente noi lo chiudiamo. Solo Gesù ci salva e proprio nel momento in cui ne avremmo più bisogno non possiamo venire a Messa! Gli ho spiegato che Gesù non ci abbandona e continua a rimanere al nostro fianco e che se è vero che non possiamo nutrirci della Comunione sacramentale possiamo nutrirci della sua parola, e della comunione in spirito, ma non so se l’ho convinto…».
Le Messe sono sospese, ma la gente continua a recarsi nella cappella dell’adorazione che resta aperta così come la chiesa grande. I guardiani alle porte regolano il flusso di persone in modo che non ci siano troppi fedeli nella cappella. «Ecco», conclude, «ci prepariamo alla Pasqua così, chiedendo al Signore di darci il coraggio della fede, confidando, come dicono i Kenyani che ‘Mungu ni mwema, kila wakati’ (Dio è buono sempre), e che potremo dire che Gesù è risorto anche ai tempi del coronavirus».