Gli elettori non amano ‘l’uomo solo al comando’: Salvini ha trasformato il voto in Emilia-Romagna in un referendum sulla sua persona e ha perso, ampiamente; la stessa sorte era toccata a D’Alema, presidente del Consiglio, nelle regionali del 2000 e ad un altro premier, Renzi, nel quesito costituzionale del 2016.
Il segretario della Lega aveva già chiesto pieni poteri nell’agosto scorso, provocando la crisi di governo del Conte I; puntava ad elezioni anticipate, senza tener conto dei poteri costituzionali del Presidente della Repubblica; ora esce «ammaccato», con il Pd al primo posto sia in Emilia sia in Calabria, contestato nel centro-destra dalla crescente Meloni (che ha criticato la discussa e preoccupante scena del segretario leghista che citofona ad una famiglia tunisina, sospettata, senza prove, di spaccio di droga); ma anche Forza Italia al Nord, a cominciare dai piemontesi, lo attacca per il misero risultato degli Azzurri a Bologna (2,5 per cento), imputato al radicalismo esasperato dell’ex inquilino del Viminale.
Il governo, nel breve termine, è rafforzato dalla sconfitta di Salvini e ha già indetto per il 29 marzo il referendum sul taglio dei parlamentari: l’esito è scontato, ma le sue procedure rendono impossibili per alcuni mesi le elezioni anticipate; in una prospettiva più lunga la scena politica resta incerta per la crisi dell’altro sconfitto del voto regionale, il M5S, sceso in Emilia e in Calabria a risultati ad una cifra; Di Maio aveva previsto l’esito negativo e qualche giorno prima era ‘fuggito’ con le dimissioni da capo politico, lasciando un Movimento diviso, confuso, dilaniato da altre fughe di parlamentari. Ora sono annunciati gli Stati generali a marzo che dovranno ridefinire strategia, programmi, valori e, soprattutto, le alleanze: con il Pd o ancora da soli, a costo dell’irrilevanza, come a Bologna e Catanzaro?
Per i paradossi della politica il M5S, pur logorato, è il primo partito in Parlamento, essenziale per la governabilità della legislatura, che prevede anche l’elezione del successore di Mattarella. Reggerà questo ruolo politico o la sconfitta darà spazio alle spinte centrifughe, al richiamo della scelta originaria dell’opposizione?
Molto dipenderà dalla linea del Pd, ove alcune voci già si levano (anche a Torino) per la guerra aperta ai grillini, con una sopravvalutazione dell’esito regionale, dimenticando il contributo delle Sardine, l’impegno eccezionale del presidente Bonaccini, la disponibilità dei centristi; né il Pd può ignorare la sconfitta in Calabria (dove ha vinto la forzista Santelli), segno di un quadro politico ancora aperto, nonostante la «spallata mancata» di Salvini.
Il segretario dem Zingaretti punta decisamente al rafforzamento del governo Conte, consapevole che la sua caduta, con il ritorno al voto, sarebbe di fatto una vittoria del destra-centro; Zingaretti, che ha pubblicamente ringraziato le Sardine per il forte contributo politico (decisivo per l’aumento della partecipazione popolare) spinge su un forte programma di governo con il taglio del cuneo fiscale, investimenti green, programmi per la scuola e la famiglia, riforma della tassazione e delle norme per la pensione… Il premier Conte è in piena intesa con il segretario dem, mentre si propone di contribuire a una dialettica non distruttiva tra i grillini.
L’elettorale, che ha punito la linea radicale seguita dalla Lega, denota l’esigenza di governabilità e non premierebbe spinte radicali di segno opposto, perché il bene del Paese viene prima degli interessi di parte; dopo troppi mesi di una scomposta e continua campagna elettorale, con molte parole di odio, è il momento della costruzione, con una viva attenzione al ruolo legislativo del Parlamento: in particolare, come ha chiesto la Corte costituzionale, occorre definire una nuova legge elettorale di stampo proporzionale, con un tetto, per evitare tante nuove tensioni per ‘l’uomo solo al comando’. In questo contesto i giudici della Consulta sono stati ‘profeti’, anticipatori delle scelte popolari, per un dibattito politico sempre civile e nei limiti istituzionali.
Il voto regionale spinge certamente per il bipolarismo, ma non tra due partiti, ma due ampi schieramenti, pluralisti al loro interno; hanno ragione i forzisti che chiedono nel centro-destra il superamento dell’egemonia leghista; allo stesso modo si colloca nel centro-sinistra la linea del dialogo di Zingaretti, che propone un Pd aperto alle Sardine e alla società civile. Non una ‘guerra continua’, ma un confronto serio e costruttivo, nello spirito autentico della Costituzione repubblicana.