La lettera pastorale «Camminare insieme» del cardinale Pellegrino, uscita cinquanta anni fa, sorprese tutta Torino, ma non solo: si può dire che sorprese tutta l’Italia, anche per la modalità della sua elaborazione, che in un certo senso anticipava già i suoi contenuti. Il suggerimento dato da preti operai, la discussione prolungata col Consiglio Pastorale Diocesano e col Consiglio Presbiterale avevano prodotto un documento che concretizzava le indicazioni della Costituzione del Concilio sulla Chiesa, la «Lumen gentium», che aveva fatto passare la Chiesa da istituzione gerarchica (un mio pretino, in un contrasto con un membro dell’Azione Cattolica, aveva concluso «Qui la Chiesa sono io!») a ministero di comunione, con una gerarchia che è al servizio (in latino ministerium) del popolo di Dio, ma con una responsabilità di ciascun battezzato e confermato, pur coordinato dalla gerarchia.
Del resto gli Ordini religiosi e i Movimenti ecclesiali, che sono lievito all’interno della Chiesa, non nascono in genere dai livelli più alti della gerarchia (da ecclesiastici, non sempre preti come Francesco d’Assisi, e dai laici come Chiara Lubich).
La «Camminare Insieme» nasceva da una Chiesa-comunione e tendeva a una Chiesa sempre più comunione, al suo interno e nel mondo umano, soprattutto coi settori più poveri o più in difficoltà. Lo ricordiamo oggi, un tempo in cui Papa Francesco sta sollecitando una Chiesa sinodale, dalle parrocchie alle Diocesi e all’intera Chiesa, una Chiesa appunto in cui la gerarchia solleciti e organizzi la comunità cristiana e ciascuno dei suoi componenti a sentirsi membra vive, attive, corresponsabili della Chiesa. Credo che anche i giovani, in questa prospettiva, potrebbero sentirsi indotti ad una maggiore partecipazione e ad un più concreto impegno.
Direi che la «Camminare insieme» fu nello stesso tempo testimonianza e profezia.