L’eredità di Carlo Carretto a trent’anni dalla morte

4 ottobre 1988 – Il ricordo di uno dei più singolari «apostoli laici» nati e vissuti in Piemonte nel XX secolo. Nel difficile dopoguerra  imprime slancio all’Azione Cattolica italiana e contribuisce al suo potenziamento

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Carlo Carretto

«Il potere di meravigliarmi delle cose forse lo devo a mia madre che cantava sempre e che mi ha trasmesso una natura serena. Certo la meraviglia è un dono che Dio mi ha fatto». Lo confida uno dei più singolari «apostoli laici» nati e vissuti in Piemonte nel XX secolo. È Carlo Carretto, morto trent’anni fa, il 4 ottobre 1988.

Nasce ad Alessandria il 2 aprile 1910 da modesta famiglia proveniente dalla langorola Camerana (Cuneo): papà Luigi vince il concorso ed entra in fer­rovia. Carlo è il terzo di sei figli, quattro religiosi, tra cui il salesiano Pietro, missionario e vescovo in Thailandia. Dopo Moncalieri, i Carretto sono a Torino dove nel 1924 si inaugura l’oratorio salesiano della Crocetta che Carlo frequenta.

Con grandi sacrifici consegue nel 1927 il diploma magistrale e nel 1932 la laurea in pedagogia all’Università di Torino. Maestro elementare nelle province di Novara e Vercelli: Galliate, Gattinara – dove ha «la prima chiamata di Dio» – Cavaglio d’Agogna, Roasio. A Milano frequenta il corso allievi ufficiali di complemento. Pio XI nel 1931 reagisce energicamente con l’enciclica «Non abbiamo bisogno» alle vessazioni fasciste contro l’Azione Cattolica. Congedato nel 1932, è maestro a Sommariva del Bosco (Cuneo).

Nel 1932, dietro invito di Luigi Gedda – presidente della Gioventù cattolica di Torino, subentrato al canavesano Carlo Trabucco – Carretto si iscrive alla Gioventù italiana di Azione cattolica (Giac) nel circolo «Frassati» della parrocchia Crocetta fondato da Pier Giorgio. Nel 1940 vince il concorso di direttore didattico a Bono (Sassari) ma per i contrasti con il regime per l’insegnamento e l’influsso anche fuori della scuola, è trasferito a Isili (Cagliari) e poi rimandato in Piemonte, direttore a Condove (Torino). Richiamato alle armi come capitano, assume a Susa il comando di una compagnia del 3° reggimento Alpini. Firmato l’armistizio l’8 settembre 1943, l’Italia precipita nel caos. Carlo scioglie il reparto, manda a casa i soldati, non aderisce alla Repubblica di Salò ed è radiato dall’albo dei direttori didattici.

Dopo la caduta del regime e la fine della guerra, è riammesso nell’albo. Singolari le vicende parallele di Gedda e Carretto. Il primo nasce a Venezia nel 1902, torinese di adozione e di laurea in Medicina, genetista di fama mondiale e sindonologo. Il cardinale arcivescovo di Torino Maurilio Fossati nel 1932 lo chiama da Novara a Torino – dove diventa aiuto di Clinica medica – come presidente della Giac. Due anni e Pio XI lo nomina presidente nazionale Giac (1934-46) e Pio XII lo fa presidente Uomini di Ac (1946-49). Carretto succede a Gedda come presidente Giac torinese (1937-42) e nazionale (1946-52). Nel 1952 Gedda succede all’avvocato Vittorino Veronese come presidente generale dell’Azione Cattolica.

Avvertendo «la seconda chiamata di Dio», si dedica senza sosta all’apostolato. Nel difficile dopoguerra Carlo imprime slancio all’associazione e contribuisce al suo potenziamento. Raccoglie attorno al centro nazionale alcuni dei più vivaci giovani cattolici italiani; favorisce un forte impegno dell’Ac per la rifondazione della democrazia in Italia, per l’elaborazione della Carta costituzionale, per il successo della campagna elettorale del 18 aprile 1948, mobilitando i gio­vani a favore della Democrazia cristiana nello «scontro di civiltà» con il Fronte popo­lare socialcomunista.

Sotto il pontificato di Pio XII, durante e dopo la guerra, nascono numerosi movimenti e associazioni all’ombra dell’Ac che, fino al Concilio, è l’unica organizzazione laicale riconosciuta. Nel  maggio 1945, con Maria Badaloni, Carretto fonda l’Associazione italiana maestri cattolici (Aimc). Luigi e Carlo sono tra i fondatori del Centro Sportivo italiano (1944) e del Centro Turistico giovanile (1949). La loro forte personalità stimola un attivismo eccezionale. Gedda punta all’unità politica dei cattolici: l’8 febbraio 1948 istituisce i Comitati civici che in appena due mesi portano la Dc alla schiacciante vittoria del ’48. Nel settembre 1948 Carretto organizza – per l’80° dell’AC – l’adunata di 300 mila «baschi verdi» a Roma che cantano: «Bianco Padre, /che da Roma ci sei meta, luce e guida,/in ciascun di noi confida, /su noi tutti puoi contar. /Siamo figli della fede, /siamo araldi della Croce; /al tuo cenno, alla tua voce /un esercito ha l’Altar». Il 15 settembre è tra i fondatori del «Bureau international de la jeunesse catholique», di cui è vicepresidente.

Superato il momento della Chiesa trionfante, Carretto non condivide la linea di Gedda, uomo di fiducia di Pio XII, orientata alla politicizzazione e alla gestione autoritaria dell’Ac. I due sono legati da lunga e forte ami­cizia ma l’«Operazione Sturzo» del 1952 – accordo tra cattolici-democristiani ed ex fascisti per impedire che il Comune di Roma finisca ai social-comunisti – innesca la protesta di Carretto, fortemente critico verso la svolta conservatrice della Chiesa e dell’Ac. Nell’ottobre 1952 rassegna le dimissioni da presidente Giac. Se ne vanno anche Mario Rossi e don Arturo Paoli, vice-assistente centrale Giac. Le dimissioni sono subito accettate il 17 ottobre dalla Segreteria di Stato. In quegli anni la sua spiritualità si arricchisce: conosce il gruppo milanese attorno all’Università Cattolica: padre Agostino Gemelli, mons. Francesco Olgiati e Armida Barelli; entra nell’Istituto secolare della Regalità – cui aderisce anche Giuseppe Lazzati –, nel Terz’Ordine Francescano e nella Società operaia fondata da Gedda.

Dopo una laboriosa e sofferta ricerca nel 1954 Carretto entra fra i Piccoli fratelli di Gesù, fondati da Charles de Foucauld, parte per l’Algeria e raggiunge il noviziato di El Abiodh a sud di Orano. Per anni vive nel deserto del Sahara un’esperienza di vita inte­riore e preghiera, silenzio e lavoro, Il 15 settembre 1961 fratel Carlo di Gesù emette la professione perpetua. I dieci anni trascorsi nel Sahara influenzano profondamente la sua spiritualità e avviano una nuova stagione pubblicistica con libri di grande successo. Dopo «Disse Gesù» (1943) «Lettere dal deserto» (1964) è tradotto in inglese, francese, tedesco, spagnolo, portoghe­se, greco, ceco, polacco, sloveno, cinese, indonesiano, swahili; «Ciò che conta è amare» (1964) ha 24 ristampe e nel 2017 una nuova edizione. Clamoroso è il caso di «Famiglia piccola Chiesa», pubblicato nel 1949 che gli procura molti guai. La stampa laica, come «Candido» di Giovannino Guareschi, e parte della stampa cattolica si stracciano le vesti; prelati e benpensanti lo impallinano di brutto perché sostiene che la famiglia non è luogo dei cristiani in ritirata ma frutto di vocazione e che il matrimonio è dono del Creatore. L’espressione «Famiglia piccola Chiesa» diventerà centrale nella dottrina conciliare sul matrimonio. Al centro della sua vita – nel ’49 ha 39 anni e morirà a 78 anni – il libro coincide con la svolta quando entra in contrasto con l’attivismo poco attenta alla dimensione spirituale: è il passaggio da una spiritualità devozionistica a uno stile attento al matrimonio e alla famiglia, quando la Giac sponsorizzava purezza e verginità. Il filo conduttore del libro è il Cantico dei cantici.

Conclusa l’esperienza africana, Carlo costituisce a Spello una comunità di Piccoli fratelli dediti alla pre­ghiera e all’accoglienza, al lavoro e allo scambio di esperienze. Per oltre vent’anni è instancabile animatore della fraternità. Uomo della parola e della penna, le usa con grande efficacia per comuni­care la fede. Scrive «Il Dio che viene» (1972), «Il deserto nella città» (1978), «Io, Francesco» (1980), «E Dio vide che era cosa buona» (1988). Per il referendum sul divorzio nel 1974 il 7 maggio pubblica su «La Stampa» un intervento-preghiera contrario all’abrogazione della legge suscitando le ire de «L’Osservatore Romano». Riceve migliaia di lettere, indignate, addolorate, plaudenti, venate di speranza. Il 3 aprile 1975, Giovedì Santo, nella Cattedrale di Foligno, chiede perdono di fronte al vescovo per­ché la sua posizione ha fatto soffrire, ha diviso e minato la comunione ecclesiale, pur ispirato a misericordia e tolleranza verso i non credenti e senza cedimenti dottrinali. Nel maggio 1986 con la «Lettera a Pie­tro» difende la «scelta religiosa» dell’Ac e il suo presidente, l’albese Alberto Monticone. Fratel Carlo muore nell’eremo di San Girolamo a Spello il 4 ottobre 1988, festa di San Francesco d’Assisi, suo modello di vita spirituale.

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