L’eutanasia contrasta con la Costituzione

Respinto il referendum – I Vescovi italiani prendono atto «con favore» del pronunciamento del 15 febbraio 2022 della Corte Costituzionale: «È inammissibile il referendum sull’omicidio del consenziente» e quindi «è confermata l’inderogabile scelta di tutela della vita»

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I vescovi italiani prendono atto «con favore» del pronunciamento del 15 febbraio 2022 della Corte Costituzionale: «È inammissibile il referendum sull’omicidio del consenziente» e quindi «è confermata l’inderogabile scelta di tutela della vita». Il referendum è contrario «al principio di “tutela minima costituzionalmente necessaria della vita umana, con particolare riferimento alle persone deboli e vulnerabili”». Per la Cei è «un invito a offrire il sostegno necessario per superare o alleviare la sofferenza o il disagio». La Cei invita a «rivolgere maggiore attenzione a chi, fragile o vulnerabile, va trattato con dignità e accompagnato con rispetto e amore».

Il referendum sulla depenalizzazione dell’omicidio del consenziente non si farà. La Corte ha così deciso sull’«abrogazione parziale dell’articolo 579 del Codice penale (l’omicidio del consenziente è punito con la reclusione da 6 a 15 anni)». Perché? Perché «a seguito dell’abrogazione, ancorché parziale, della norma, non sarebbe preservata la tutela minima costituzionalmente necessaria della vita umana, con particolare riferimento a deboli e vulnerabili». In sostanza, se vincessero i sì, le norme non assicurerebbero sufficiente tutela dei più fragili. L’«Associazione radicale Coscioni» è delusa e preannuncia battaglia. Intendeva arrivare all’eutanasia con la parziale abrogazione della legge sull’omicidio del consenziente. Nell’eventualità di consenso dato da minore, o da persona inferma di mente oppure carpito con inganno, si sarebbe proceduto per omicidio doloso. Di decisione «giustificata e comprensibile» parla don Renzo Pegoraro, cancelliere della Pontificia Accademia per la vita.

Pacato e profondo il commento di Marco Tarquinio, direttore di «Avvenire»: «C’è una tutela minima della vita umana che è costituzionalmente necessaria e il caterpillar referendario armato da quanti avrebbero voluto spalancare le porte all’omicidio del consenziente l’avrebbe fatta a pezzi». La Corte ha ribadito un principio cardine, «un perno di civiltà che non vogliono riconoscere i fautori dell’eutanasia che hanno dato degli ignoranti ai giuristi» che su «Avvenire», hanno dato l’allarme «sulla devastazione che un simile colpo d’accetta avrebbe prodotto. Dicevano “eutanasia, dolce morte” ma premeditavano un’assoluzione laica a chiunque avesse ucciso chiunque altro avesse invocato la morte. Abbiamo provato a spiegarlo, trovando orecchie tappate e presunzioni di granito. Gli slogan possono incantare un pezzo di opinione pubblica e più di un cronista, ma non possono cambiare i fatti. E la Consulta ha valutato i fatti. Non ci sono scorciatoie contro la civiltà».

«Pericolo scampato» affermano le associazioni cattoliche. Antonio Brandi, presidente di «Pro vita&famiglia»: la Corte «ha respinto il populismo bioetico dei radicali, che hanno tentato di portare l’eutanasia con un referendum che avrebbe permesso a chiunque di uccidere amici e parenti al minimo gesto di consenso. La Corte non si è fatta intimidire da pressioni politiche e mediatiche di ogni genere».

Soddisfazione da Jacopo Coghe, presidente del Comitato «No all’eutanasia legale»: «È stata sventata una deriva mortifera ma incombono ancora spinte eutanasiche».

«La morte va accolta, non somministrata» ed è disumano «accelerarla». Il Papa ricorda che eutanasia e suicidio assistito «sono inaccettabili: la vita è un diritto, non la morte». Le cure palliative aiutano a vivere l’ultimo tratto di strada «nella maniera più umana possibile ma non dobbiamo confondere questo aiuto con derive inaccettabili che portano a uccidere; dobbiamo accompagnare alla morte, non provocare la morte o aiutare il suicidio; va privilegiato il diritto alla cura per tutti affinché i più deboli non siano scartati». Si cerca in tutti i modi «di allontanare il pensiero della nostra finitudine, illudendosi di togliere alla morte il suo potere e scacciare il timore. La fede cristiana non è un modo per esorcizzare la paura della morte, piuttosto ci aiuta ad affrontarla. Dalla risurrezione di Cristo viene la luce che illumina il mistero della morte: solo con la fede possiamo affacciarci sull’abisso della morte senza essere sopraffatti dalla paura». Aggiunge: «Non ho mai visto, dietro un carro funebre, un camion di traslochi! Ci andremo soli, senza niente, perché il sudario non ha tasche».

La Chiesa ha sempre difeso la vita umana dal concepimento alla morte naturale, con particolare attenzione alle fasi fragili dell’esistenza. «Il no a eutanasia e accanimento terapeutico è un sì alla dignità e ai diritti della persona: inguaribile non vuol dire incurabile». La parola greca «eutanasia» significa «buona o dolce morte senza sofferenze». Per il «Catechismo della Chiesa cattolica» (1992) «l’eutanasia volontaria, qualunque siano le forme e i motivi, costituisce un omicidio. È gravemente contraria alla dignità della persona e al rispetto del Dio vivente». Nel 1957 Pio XII ribadisce la non liceità dell’eutanasia: non c’è obbligo di impiegare sempre tutti i mezzi terapeutici disponibili e, in certi casi, è lecito astenersene. Nell’enciclica «Mater et magistra» (1961) Giovanni XXIII sottolinea: «La vita umana è sacra: fin dal suo affiorare impegna direttamente l’azione creatrice di Dio» e nella «Pacem in terris» (1963) indica tra «i diritti di ogni essere umano quello connesso al dovere di conservarsi in vita».

La «Gaudium et spes» (1965) del Concilio Vaticano II pone l’eutanasia tra le violazioni del rispetto della persona e di «tutto ciò che è contro la vita: ogni specie di omicidio, genocidio, aborto, eutanasia, suicidio volontario; tutto ciò che viola l’integrità della persona: mutilazioni, torture al corpo e alla mente, costrizioni psicologiche; tutto ciò che offende la dignità umana: condizioni di vita subumana, incarcerazioni arbitrarie, deportazioni, schiavitù, prostituzione, mercato delle donne e dei giovani, ignominiose condizioni di lavoro e lavoratori trattati come strumenti di guadagno e non come persone libere e responsabili». Paolo VI nel 1974 accosta il fine vita alle questioni razziali; sottolinea l’uguaglianza di tutti gli esseri umani e la necessità di proteggere i diritti delle minoranze, «dei malati inguaribili e di coloro che vivono ai margini della società e sono senza voce».

Nell’enciclica «Evangelium vitae» (1995) Giovanni Paolo II osserva: per una presunta pietà verso il dolore del paziente l’eutanasia «è giustificata con una ragione utilitaristica, per evitare spese improduttive troppo gravose. Si propone la soppressione di neonati malformati, handicappati gravi, inabili, anziani, specie non autosufficienti, malati terminali. Si fa sempre più forte la tentazione dell’eutanasia, procurandola in anticipo. Ciò che potrebbe sembrare logico e umano, è assurdo». Papa Francesco ai medici cattolici italiani (2014) dice: «Il pensiero dominante, segnato dalla “cultura dello scarto”, propone una falsa compassione che ritiene un aiuto alla donna favorire l’aborto, un atto di dignità procurare l’eutanasia, una conquista scientifica “produrre” un figlio, usare vite umane come cavie».

Pier Giuseppe Accornero

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