Dilaga il contagio da Coronavirus nelle Residenze sanitarie assistenziali del Piemonte. Cresce il numero delle vittime tra i degenti non autosufficienti, già colpiti da gravi malattie, da quasi due mesi ormai separati dai loro affetti per le restrizioni totali alle visite nelle oltre 600 strutture del Piemonte, tutte accreditate con le Asl della Regione.
I primi dati (incompleti, giunti molto in ritardo rispetto a quelli degli ospedali) sono drammatici: almeno 450 morti nelle Rsa, quasi un quarto del totale dei decessi registrati nelle otto provincie piemontesi. Le notizie che arrivano da alcuni presidi sono allarmanti, unite al fatto che l’83% dei decessi su base nazionale ha interessato pazienti di oltre 70 anni (con una letalità, a quell’età, che oscilla tra il 23 e il 30%, dati dell’Istituto superiore di sanità) e che i degenti delle Rsa sono malati complessi, con necessità terapeutiche non rinviabili, ben distanti dalla classica immagine dell’anziano in «casa di riposo», bisognoso di un po’ di compagnia.
Qualche esempio. Nella Rsa Bosco alla Stella di Rivoli sono morti, da inizio emergenza, 25 pazienti e 72 persone sono state contagiate, tra cui due infermieri. Nella struttura Trisoglio di Trofarello i morti da inizio emergenza sono stati 24 (nove casi accertati, sugli altri sono in corso verifiche). Nella Rsa Le Terrazze di corso Toscana a Torino sono avvenuti 17 decessi da inizio emergenza, cinque certificati definitivamente come vittime di Coronavirus. A Grugliasco il sindaco Roberto Montà ha presentato esposto alla Procura chiedendo l’intervento dei Nas per la Rsa San Giuseppe: in meno di un mese una ventina di decessi, dieci nell’ultima settimana di marzo. Secondo Montà «ci sono stati gravi ritardi nell’esecuzione di tamponi». Anche nelle Procure del resto del Piemonte i magistrati hanno aperto fascicoli relativi ai decessi in Rsa, per ora senza ipotesi di reato e indagati.
Delibere contestate. Di fronte alla mole dei decessi, i sindacati e le associazioni di rappresentanza dei pazienti del Coordinamento sanità e assistenza hanno preso posizione contro due delibere della Regione Piemonte, entrambe firmate il 20 marzo dagli assessori Caucino (Politiche sociali) e Icardi (Sanità). Provvedimenti che «possono avere influito in modo determinante sull’espandersi del contagio», spiegano. Si tratta della decisione di reclutare per le Rsa personale non qualificato (nemmeno in possesso del titolo di operatore socio-sanitario) e di trasferire nelle strutture malati positivi al Covid-19. Decisioni che appaiono in contrasto con le linee guida nazionali che prescrivono attenzione massima a evitare qualsiasi occasione di contagio per i pazienti delle Rsa, «potenziando il personale delle strutture – infermieri e oss, poiché la copertura medica si limita al medico di medicina generale pur con degenti molto gravi – comunque non attrezzate per far fronte a situazioni di tipo ospedaliero», sottolinea la presidente della Fondazione promozione sociale, Maria Grazia Breda.
Triste primato. I dati generali sulla diffusione del Covid-19 e sulla mortalità inchiodano il Piemonte nella scomoda posizione di secondo in classifica, dopo la Lombardia, per aumento giornaliero di casi e di vittime. In termini assoluti, il Piemonte è terzo per morti accertate (1.729 al 12 aprile, dati della Protezione civile), preceduto – ma di poche centinaia di casi – dall’Emilia Romagna.

Esiste quindi un negativo «caso Piemonte» nella gestione dell’emergenza sanitaria? Critiche sulle misure sanitarie per evitare la diffusione del contagio sono state espresse dal vice presidente del Consiglio regionale del Piemonte, il luminare dei trapianti di fegato, Mauro Salizzoni, eletto in quota Pd: «quello che manca è l’assessorato alla Sanità», ha detto, «nell’analisi comparativa elaborata dall’Università Cattolica emerge, dati alla mano, come il Piemonte non abbia tenuto il passo non solo del Veneto, ma neppure di altre Regioni di Nord e Centro Nord. Indietro sul numero di tamponi, indietro su mascherine e dispositivi di protezione individuale, indietro sull’attivazione delle Usca», le Unità speciali di continuità assistenziale che avrebbero dovuto assicurare una gestione dei pazienti dagli ospedali al territorio.

Per l’assessore alla Sanità, Luigi Icardi, si tratta della «solita polemica politica da parte di chi ha gestito la Sanità piemontese negli ultimi cinque anni e ce l’ha consegnata con le sue eccellenze, ma anche con le sue tante e gravi criticità». Una su tutte, secondo l’assessore, la mancanza di laboratori di analisi per i tamponi: «Adesso sono diventati diciotto, a inizio emergenza erano due», spiega Icardi, «i posti in terapia intensiva più che raddoppiati e quelli in terapia sub-intensiva triplicati».
Scontro tra medici. I rapporti tesi tra Unità di crisi regionale (attivata il 22 febbraio per la gestione dell’emergenza, composta da medici, operatori della Protezione civile e funzionari) e i medici sul campo sono palpabili. Il sabato prima di Pasqua il dottor Roberto Testi, responsabile scientifico dell’Unità di crisi ha dichiarato: «Sono arrivate critiche dai colleghi, quei medici dai quali non mi aspettavo critiche fatte senza essere sul campo. Ci siamo sentiti un po’ colpiti alle spalle in battaglia». Immediata la replica dell’Anaao, sindacato dei dirigenti medici: «noi non diamo la colpa a quelli che erano sul campo. Diamo la colpa a voi che dovevate dirigere da dietro una scrivania. Voi che dovevate dare i camici idrorepellenti e le protezioni agli operatori sanitari ed i caschi respiratori ai pazienti. Voi che dovevate sorvegliare le Rsa invece che trasformarle in obitori».